mercoledì 24 ottobre 2012

La sentenza per il furto di documenti riservati del Papa. Pubblicata e illustrata nella Sala Stampa della Santa Sede (Ponzi)

Pubblicata e illustrata nella Sala Stampa della Santa Sede

La sentenza per il furto di documenti riservati del Papa

di Mario Ponzi

È stata pubblicata e diffusa nella mattinata di oggi, martedì 23 ottobre, la sentenza di condanna a tre anni di reclusione inflitta a Paolo Gabriele il 6 ottobre scorso dal Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, a conclusione del procedimento penale per «furto aggravato» di documenti riservati del Papa. La stessa sentenza di condanna aveva stabilito la riduzione della pena a diciotto mesi di reclusione in virtù del riconoscimento di alcune attenuanti generiche e attribuito a Gabriele l'onere delle spese processuali, che ammonterebbero a un migliaio di euro.
In quindici pagine, suddivise in nove punti, la sentenza ripercorre la vicenda processuale, esplicitando le motivazioni che hanno guidato il collegio giudicante -- composto dal presidente Giuseppe Dalla Torre, estensore della sentenza, e dai giudici Paolo Papanti-Pelletier e Venerando Marano -- ad assumere ogni singola decisione e nell'accogliere o nel rigettare le istanze e le eccezioni sollevate dalla difesa e dal promotore di giustizia.
Nulla di nuovo, in sostanza, rispetto a quanto già era stato reso noto grazie alla trasparenza e alla pubblicità dello svolgimento del processo, compresa l'accettazione della richiesta presentata dall'avvocato di Claudio Sciarpelletti (il tecnico informatico impiegato negli uffici della Segreteria di Stato, imputato di favoreggiamento) di scorporare dal processo principale il procedimento a carico del suo assistito. In proposito il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, durante l'affollato incontro svoltosi questa mattina per illustrare la sentenza, ha comunicato che il processo a carico di Sciarpelletti inizierà alle 9 di lunedì 5 novembre prossimo e si svolgerà con le stesse modalità di quello nei confronti di Gabriele.
Tra le motivazioni della sentenza, va rilevata la ridefinizione del reato da «furto aggravato» a «furto qualificato», delitto consumato in virtù del rapporto particolare di servizio con la parte lesa, rapporto basato essenzialmente sulla fiducia. L'analisi dei giudici ha seguito il procedimento istruttorio, confermando l'imputabilità di Gabriele, tra l'altro reo confesso, in base alla perizia eseguita dal perito d'ufficio. Atto, quest'ultimo, avvalorato dall'accettazione da parte della difesa dell'imputato. L'attenzione si è quindi spostata sulle eventuali complicità, smentite dall'imputato e non emerse dalle indagini della polizia giudiziaria vaticana, secondo le quali «non si ricavano indizi» tali da far ritenere il contrario. Quanto poi all'«eventuale sussistenza di un determinatore o istigatore al reato», i giudici hanno stabilito che, dall'indagine svolta in seguito all'ammissione, in fase istruttoria, da parte di Gabriele di aver subito «suggestioni» tali da convincerlo ad agire, il termine «suggestione» usato dall'imputato fosse attribuibile non tanto a persone specifiche, quanto genericamente a un ambiente. Questo avrebbe indotto Gabriele a ritenere «che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa sul giusto binario». A dichiararlo era stato l'imputato nell'interrogatorio del 5 giugno scorso, secondo «un convincimento soggettivo ma erroneo», come sottolinea la sentenza.
Su questo convincimento soggettivo ha insistito la difesa, imputando il comportamento dell'assistito alla volontà «di agire per motivi morali», pur nella consapevolezza di commettere atti illeciti. La sentenza osserva invece che l'azione di Gabriele è lesiva «della persona del Pontefice, dei diritti della Santa Sede, di tutta la Chiesa cattolica e dello Stato della Città del Vaticano» ed è altresì «oggettivamente lesiva di diritti ed interessi di persone fisiche ed istituzioni, da cui i documenti illegalmente sottratti pervenivano od a cui erano diretti. In particolare l'azione del Gabriele ha violato non solo il fondamentale diritto alla buona fama e alla riservatezza di tutti i soggetti coinvolti, ma anche il segreto proprio degli atti di un soggetto sovrano». Tuttavia il tribunale ha ritenuto di poter riconoscere alcune attenuanti che hanno portato alla diminuzione della pena, quali la confessione dell'imputato, il servizio da lui svolto nel periodo antecedente ai fatti contestati e il pentimento una volta compreso di aver tradito la fiducia del Papa. Il tribunale ha però deciso di non applicare i benefici di legge della sospensione della pena e della non menzione nel casellario giudiziario.
Quanto agli effetti conseguenti alla sentenza, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha detto che bisognerà ora attendere che trascorra il periodo di quaranta giorni a disposizione del promotore di giustizia della Corte d'appello dello Stato della Città del Vaticano per presentare opposizione. Se questa non ci sarà, la sentenza diventerà definitiva e scatterà la pena detentiva. Da parte sua la difesa di Gabriele aveva lasciato trascorrere il periodo di tre giorni entro i quali avrebbe potuto opporsi alla sentenza. Da segnalare infine che per la legge vaticana numero 5o promulgata da Paolo VI nel 1969 -- nella quale è prevista la facoltà del tribunale di diminuire la pena sino a tre quarti di quella stabilita dal codice, per le attenuanti generiche riconosciute -- l'esiguità della pena da scontare effettivamente non comporta l'interdizione dai pubblici uffici e dunque la perdita della possibilità di lavorare.

(©L'Osservatore Romano 24 ottobre 2012) 

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