giovedì 18 ottobre 2012

«La Civiltà Cattolica» su separazioni e divorzi (Salvini)


«La Civiltà Cattolica» su separazioni e divorzi

Ma l'amore per sempre è possibile

In Italia «sia divorzi sia separazioni sono in continua crescita»: l'allarme, quantificato in base ai dati Istat relativi al 2010 diffusi il 12 luglio scorso, viene confermato da «La Civiltà Cattolica» che nell'ultimo quaderno, datato 20 ottobre, pubblica un approfondito articolo sul preoccupante fenomeno, del quale riportiamo ampi stralci.

di Gianpaolo Salvini

Se nel 1995 ogni 1.000 matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2010 le separazioni sono salite a 307 e i divorzi sono 182 (cioè più che raddoppiati).
I dati che abbiamo riportato sono già da soli abbastanza eloquenti e confermano la percezione generale. La famiglie italiane sono sempre più fragili. Chi si sposa, nella grande maggioranza dei casi spera di costruire un progetto di vita durevole e possibilmente «per sempre». Ma la prova dei fatti è ben diversa. Non per questo la gente si arrende dopo un primo fallimento. I secondi matrimoni nel 2010 sono stati il 14 per cento del totale. Non disponiamo dei dati che riguardano specificamente i matrimoni religiosi e la loro durata. Ma è bene ricordare che la maggior parte dei matrimoni celebrati in Italia sono ancora religiosi. Tuttavia il 36 per cento circa del totale è già celebrato soltanto in Comune (con grandi differenze tra Sud e Nord, e soprattutto tra grandi città e il resto del Paese). Non abbiamo infine dati sulle coppie di fatto, sia di persone libere (che cioè potrebbero sposarsi, se lo volessero) sia di persone ancora legate da un matrimonio precedente, il cui numero è certamente in aumento. Più volte abbiamo scritto su questo argomento. Spesso dissuade dal matrimonio l'esperienza negativa conosciuta in famiglia, oppure non tanto la difficoltà di sposarsi, quanto quella di potersi poi separare (con pratiche che durano anni) in caso di eventuali dissapori profondi. La presenza di figli rende certamente più cauti i genitori prima di separarsi. A costituire la coppia oggi, infatti, più che il matrimonio (che si tende a ritenere solubile, in caso di necessità), è il figlio e le responsabilità che egli comporta: un figlio o una figlia non si cancellano, e nessuno dei due genitori vorrebbe perdere il rapporto quotidiano con essi. Nuovo è il fenomeno di chi si separa dopo i 60 anni: la vita è ancora lunga, ci si sente in forze, i figli ormai sono grandi e autonomi, fuori dalla casa paterna e molti genitori vogliono essere «liberi». E a quell'età, anche se con sofferenze, alle volte ci si separa in modo più amichevole.
In questo quadro profondamente mutato e che risente di tutte le incertezze che anche la crisi porta con sé, ci pare che la Chiesa sia ancora l'unica a proporre un modello di famiglia che risponde all'anelito di «amore per sempre» che esiste nel cuore di ogni persona che si sposa. Ma essa dovrà tenere conto, dal punto di vista pastorale, anche della fragilità umana e di un ideale che non sempre si riesce a realizzare. Sulle cause di questa maggiore fragilità si è già scritto molto. Non esiste più la pressione sociale di una volta, che considerava il matrimonio un «bene pubblico» da tutelare. L'ingresso massiccio delle donne nel mondo del lavoro le ha rese economicamente autonome e quindi in grado di prendere l'iniziativa di una separazione, gesto una volta quasi esclusivamente maschile. Le coppie sono molto sole.
La Chiesa certamente oggi cura la preparazione al matrimonio con maggiore attenzione di una volta, ma non è in grado di accompagnare le coppie sposate anche dopo il matrimonio in modo adeguato, cosa che soltanto una vera comunità può assicurare. Soprattutto la Chiesa si trova di fronte in modo massiccio a situazioni che non corrispondono ai propri insegnamenti: convivenze prematrimoniali, nuove famiglie in cui uno o ambedue i coniugi sono separati o divorziati e così via. La Chiesa certamente non può rinunciare a proporre un ideale molto alto, che già spaventò i discepoli quando Gesù lo propose loro (cfr. Matteo, 19, 10), né può banalizzare le varie situazioni “irregolari”, ma deve certamente trovare il modo di accompagnare anche (e forse soprattutto) le persone in tali situazioni (spesso subite, più che cercate) senza farle sentire fuori dalla Chiesa in un periodo in cui avrebbero più che mai bisogno di un sostegno e della grazia che le aiuti a fare le giuste scelte. Infine ci si può chiedere se la maggioranza di coloro che chiedono di sposarsi in chiesa sappiano veramente che cos'è il sacramento del matrimonio o non contraggano invece un rapporto superficiale, rispetto all'ideale che la Chiesa non deve stancarsi di presentare.

(©L'Osservatore Romano 19 ottobre 2012)

1 commento:

Anonimo ha detto...

"Infine ci si può chiedere se la maggioranza di coloro che chiedono di sposarsi in chiesa sappiano veramente che cos'è il sacramento del matrimonio o non contraggano invece un rapporto superficiale, rispetto all'ideale che la Chiesa non deve stancarsi di presentare."
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Probailmente è in questa constatazione una chiave di comprensione e anche di soluzione di una difficoltà, insieme pastorale e canonica, che si fa sempre più acuta.

Quanti sono stati e quanti sono i matrimoni celebrati tra cattolici in chiesa, magari anche dopo il "corso" parrocchiale, che in realtà sanciscono unioni intenzionalmente infeconde, a prova, con riserva, sotto costrizione e quindi nulle?

D'altra parte, quanti battezzati non praticanti, che magari per principio rifiutano il "rito" ecclesiastico (non conoscendone il significato) e si presentano al sindaco o decidono di convivere di fatto; quanti di questi, che si scelgono per sempre e aperti alla generazione, sono consapevoli di dar vita a un vero matrimonio naturale, elevato da Cristo alla dignità di Sacramento e perciò bisognoso di essere "regolarizzato" pubblicamente dalla testimonianza e benedizione della Chiesa?

Quanti sanno che celebranti e autori del Matrimonio - Sacramento sono gli sposi cristiani nella loro unione spirituale e carnale, e non il prete?

Penso che, anche se ci vorrà del tempo, dalla rinnovata chiarificazione e forse "rifoma" della dottrina e dei canoni, riportanto in luce l'autentico significato umano e perciò cristiano del Matrimonio, verrà la soluzione del problema, che tanto assilla pastoralmente, di moltitudini di "coppie di fatto" e "divorziati risposati". Certo passando dal deserto della secolarizzazione, quindi disposti a pagarne con coraggio il prezzo; e passando per la conversione, cioè per la Fede alla quale Benedetto XVI ci guida.