lunedì 15 ottobre 2012

Domenica la canonizzazione di Caterina Tekakwitha, prima santa pellerossa


Domenica la canonizzazione di Caterina Tekakwitha, prima santa pellerossa 

La Chiesa attende la canonizzazione di 7 nuovi Santi. Domenica, sul sagrato di Piazza San Pietro, sarà il Papa, insieme ai Padri sinodali, a presiedere la Messa. Tra i nuovi santi 4 saranno religiosi, 3 i laici: tra di loro ha suscitato molta curiosità la storia della Beata Caterina Tekakwitha, scomparsa a soli 24 anni nel 1680, e che sarà la prima santa pellerossa. Costretta a fuggire dal suo villaggio per la sua fede cattolica e per non acconsentire ad un matrimonio combinato, si rifugiò in una tribù di nativi del Canada e qui potè dedicare l’intera vita a Gesù. Conosciuta nei secoli come “il giglio degli irochesi”, Giovanni Paolo II la scelse come icona della Gmg del 2002 di Toronto. Benedetta Capelli ha intervistato per il Centro Televisivo Vaticano padre Paolo Molinari, postulatore della Causa di canonizzazione:  

R. - È la prima ad essere portata come un esempio, una giovane donna, un’indiana che ha vissuto nei villaggi indiani. Quindi il fatto che la Chiesa la dichiari santa evidentemente costituisce per gli Indiani del Nord America, del Canada - che hanno sofferto molto attraverso i secoli per la colonizzazione e anche per la privazione di tutte le loro terre, i loro boschi - un riconoscimento di queste tribù e della loro ricchezza. E questo è stato molto apprezzato già ai tempi della beatificazione voluta da Giovanni Paolo II. Mi ricordo che allora parecchi capi tribù, con i quali avevo un rapporto, si gloriavano del fatto che la Chiesa riconoscesse tutto il valore di uno di loro, e con questo la ricchezza delle loro tradizioni, e della loro cultura.

D. - La Beata Tekakwitha è ancora una figura attuale?

R. - Sì, molto. Giovanni Paolo II nella Giornata Mondiale della Gioventù a Toronto, in Canada presentò Caterina Tekakwitha come un modello per tutti i giovani del mondo. Era una giovane donna che nel momento in cui i capi tribù avevano scelto un ragazzo destinato - secondo loro - ad essere suo marito, si rifiutò di accettare sia in base ad un senso cristiano ma evidentemente sotto l’influsso della grazia di Dio. Lei aveva un grande anelito, non soltanto a vivere da cristiana, ma anche a dare completamente la sua vita a Nostro Signore, considerando Gesù come suo sposo. Quando noi pensiamo a ciò cui oggi sono esposti i giovani, una cultura che non è veramente impregnata di cristianesimo e che scarta l’idea della purezza e dell’autentica vita di donazione a Cristo, questo diventa in Caterina Tekakwitha un esempio perché lei fu perseguitata, maltrattata. Canonizzando un’indiana, nativa degli Indiani del Nord America, viene messa in luce non solo la persona, ma tutto quello che una persona rappresenta: una cultura della tradizione, un modo di vivere in cordiale rapporto, come fanno loro in una tribù.

D. – C’è un episodio della vita di Caterina che può essere considerato emblematico? 

R. - Dopo il Battesimo, che essa ricevette in seguito agli incontri con alcuni missionari gesuiti, che furono tra i primi missionari nel Nord America, Caterina fu molto colpita dalla bontà di queste persone, dal modo in cui essi vivevano interessandosi di chi aveva bisogno. Allora si sentì sempre più desiderosa di favorire quei semi che sua mamma cristiana aveva messo in lei da bambina parlandole di Gesù e della sua vita. Fu ammessa quindi all’Eucarestia. Allora quando arrivava l’inverno, le donne indiane andavano a caccia. Lei aveva fatto una croce con due rami d’albero, e si metteva così a pregare Gesù Crocifisso. E quindi aveva un'autentica devozione per Cristo Crocifisso. Questa è forse una delle sue caratteristiche della sua spiritualità: Gesù nell’Eucarestia, Gesù Crocifisso.

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