sabato 13 ottobre 2012

Concilio, nonostante siano passati 50 anni, i ricordi nel Papa continuano a suscitare forti emozioni (Giansoldati)


Il Papa: contro il deserto spirituale riproporre i valori del Concilio

di Franca Giansoldati


Nonostante siano passati cinquant’anni da un periodo gonfio di speranze e di attese, i ricordi nel Papa continuano a suscitare forti emozioni. 

Nella messa celebrata in piazza San Pietro per il  cinquantesimo anniversario dell’apertura del Vaticano II, Joseph Ratzinger ha evocato commosso  quando venne a Roma come consultore, chiamato dal cardinale Frings di Colonia, per prendere parte allo storico dibattito e contribuire alla stesura di basilari documenti. 
Allora era considerato un teologo progressista e piuttosto innovativo che guardava in avanti senza coltivare una visione pessimista del mondo, anche se il pianeta era spaccato in due blocchi e sull’orlo perenne di una nuova guerra mondiale tra Urss e Usa. 
La Chiesa però era tutta un fermento, il dibattito interno era appassionato, c’era voglia di prendere parte agli eventi, di guidare i cambiamenti storici, mostrando grande apertura al dialogo. 
Ovviamente non mancava la consapevolezza comune di far fronte ai germi della secolarizzazione che già all’epoca si insinuava pericolosa nelle società occidentali. 
Osservando a ritroso il percorso compiuto dalla Chiesa, il bilancio tracciato da Benedetto XVI è sembrato un alternarsi di luci e (tante) ombre. 
E se i cattolici sul pianeta sono aumentati numericamente, di contro, in questi cinque decenni, è avanzata una preoccupante «desertificazione spirituale». 
Da qui la convocazione dell’Anno della Fede come passaggio necessario per tutto il 2013. 
Nei mesi passati Benedetto XVI ha più volte denunciato la diffusa ignoranza religiosa, la tiepidezza della fede, il progressivo  allontanamento dai comandamenti. 
Insomma, Gesù questo sconosciuto.
«Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, ai tempi del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso». 
Papa Ratzinger ha condiviso la sua amarezza con gli oltre 400 vescovi arrivati da tutto il mondo, tra cui anche una decina di padri conciliari. «E’ proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne». 
La parola «deserto», intesa come luogo metafisico dell’anima, di passaggio obbligato per prendere coscienza dei propri limiti, è affiorata più volte nell’omelia. 
«Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel  mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita». 
Non è un caso se per tutto l’anno prossimo la Chiesa si concentrerà a riflettere sul nucleo centrale della sua missione, su come trasmettere la fede alle  nuove generazioni o come potere esercitare attrattiva sulle masse e fare diffondere il cristianesimo. 
Probabilmente ciò che manca sono dei validi testimoni che con la loro vita possano proiettare sul prossimo la gioia della fede. 
Una contentezza che sul volto (serissimo) di quasi tutti i cardinali e i vescovi sfilati in processione sul sagrato, avvolti in scenografici paramenti verdi (secondo il tempo liturgico di questo periodo), è sembrata difettare. 
Ma tant’è. Il Papa ha continuato: «Nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra  promessa e così tengono desta la speranza. 
La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada».
I padri conciliari che 50 anni fa cambiarono il volto della Chiesa «volevano ripresentare la fede in modo efficace; e si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno» proprio «perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano». 
La loro, dunque, non fu una fuga in avanti, nè una messa in discussione del cammino del passato, semmai fu un passaggio, una trasformazione positiva in sintonia con la Tradizione. E oggi? Risponde il Papa: «Ritengo che la cosa più importante» sia di «riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo». 

© Copyright Il Messaggero, 12 ottobre 2012

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