mercoledì 10 ottobre 2012

Come il Papa e alcuni Padri conciliari si prepararono alla prima sessione del concilio (Roncalli)

Esposti nel Palazzo della Provincia di Bergamo preziosi manoscritti inediti dall'archivio della Fondazione Giovanni XXIII

Il Vaticano II in mostra


Come il Papa e alcuni Padri conciliari si prepararono alla prima sessione del concilio


di Marco Roncalli*


Libri, convegni, documentari, marce, veglie, incontri. Sembra soffiare ancora lo spirito del concilio. A Bergamo, sino al 15 ottobre, a raccontare la grande assise è una mostra ospitata nel Palazzo della Provincia. Un'esposizione documentaria voluta dalla diocesi e realizzata dalla Fondazione Papa Giovanni XXIII, diretta dal teologo don Ezio Bolis, che presenta qui parte del suo tesoro: una selezione dei manoscritti originali -- in larga parte inediti -- ai quali il Pontefice e alcuni Padri conciliari affidarono i loro pensieri durante la preparazione, l'apertura e la prima sessione del Vaticano II.

Usciti per la prima volta dagli archivi della Fondazione che il prossimo 11 ottobre vedrà l'inaugurazione della sua nuova sede (nell'antico Palazzo Morandi, a pochi passi dal seminario, nella Bergamo Alta), i preziosi documenti costellano il percorso del visitatore insieme a sequenze fotografiche e filmati di repertorio, e sono presentati in un catalogo curato da monsignor Goffredo Zanchi, Francesco Mores e Orazio Bravi.
Il catalogo, Lo Spirito del Concilio nella mente di Papa Giovanni XXIII (Roma, Studium, 2012, pagine 120, euro 12), aperto da una nota augurale del vescovo Francesco Beschi, si rivela ricco di nuovi tasselli per la storia di un concilio connotato -- caso unico nella storia della Chiesa -- da una duplice cifra: «l'origine nella decisione di una singola persona e l'ispirazione pastorale». Se poi è vero che, letti complessivamente, percorso espositivo e catalogo, finiscono per indicarci un Papa capace di raccogliere intorno a sé un consenso crescente sino a far diventare il “suo” concilio l'espressione della comunità ecclesiale, sono diverse le soste innanzi a varie carte roncalliane, che offrono spunti di approfondimento.
Ne segnaliamo alcune, a conferma, non solo della volontà di chiamare a raccolta l'intera Chiesa per una riflessione collettiva in ordine a scelte rilevanti, quindi a collaborare a un progetto di un concilio nuovo (che non poteva essere il mero completamento del Vaticano i di Pio IX interrotto per l'occupazione di Roma), ma proprio di quel progressivo associarsi di vescovi e uomini di Chiesa intorno al programma di Giovanni XXIII (determinato nel mostrare «in faccia al mondo la santa libertà dei figli di Dio»). Le principali tappe di questo coagularsi della maggioranza dell'episcopato tracciano infatti la linea che “in filigrana” attraversa i documenti esposti.
Si va dall'adesione del segretario di Stato, il cardinale Domenico Tardini, del cui appoggio il Papa avverte il bisogno per dare concretezza all'“ispirazione”, o dall'invito ai vescovi di tutto il mondo, perché esprimano con i loro vota i temi del concilio, alla complessa fase preparatoria dove si affacciano subito diverse sensibilità, sino alle decisioni del Pontefice che mutano scenari ed equilibri.
Ed ecco allora la richiesta al Papa del cardinale Agostino Bea per l'istituzione del Segretariato per l'unità dei cristiani, con il compito di dialogare con le Chiese separate (e che avrà un ruolo determinante nella Dignitatis humanae sulla libertà religiosa) o i primi appunti giovannei sull'organigramma della Commissione centrale preparatoria, realmente rappresentativa dell'episcopato mondiale. Oppure si pensi al piano del cardinale Léon Joseph Suenens, diventato dopo la bocciatura del De fontibus, punto di riferimento per la prosecuzione del lavoro conciliare, o all'istituzione della Commissione Centrale di coordinamento per organizzare i testi da discutere quanto alla Chiesa ad intra e ad extra.
Si pensi alla lettera Mirabilis ille del 6 gennaio 1963, con Giovanni XXIII a chiedere che il lavoro della Commissione Centrale di coordinamento non avvenga a porte chiuse, ma con la collaborazione dell'episcopato mondiale.
Ma troviamo qui altri testi di notevole importanza. Ad esempio circa le relazioni con le Chiese separate. Come una lettera del 5 maggio 1961 in cui Bea presenta a Giovanni XXIII una relazione sullo stato dei rapporti con gli Ortodossi (che «stanno peggiorando» e necessitano «qualche passo») o la relazione dei colloqui avuti dal benedettino Chrysostomos Dahm con il Patriarca Athenagoras di Costantinopoli, i vescovi del Phanar e i teologi di Challki, e con il Patriarca ortodosso Venediktos di Gerusalemme nel gennaio 1961 (dove si legge «l'anno del 1962 sarà apportatore di grandi prove a tutta la Cristianità, per le difficoltà ad essa create dai pagani, dai comunisti e dai nemici della Chiesa. Il Papa attuale è uomo di grande coraggio, con il cuore pieno di carità [...]. I Patriarchi della Chiesa ortodossa sarebbero disposti a raccogliersi intorno al Papa di Roma, come a capo supremo di tutta la Chiesa, ma non a sottomettersi a lui»). Inedita è pure la lettera del 22 maggio 1961 in cui Bea informa Giovanni XXIII che il primate anglicano ha raccomandato ai membri della Church of England preghiere per la buona riuscita del concilio insieme ad altre interessanti dichiarazioni sull'incontro avuto con il Papa in Vaticano.
Ed ecco l'inedito dattiloscritto di monsignor Loris Capovilla, segretario del Papa, che ne esplicita le raccomandazioni circa forma e stile per la redazione della bolla di indizione del Vaticano II, l'Humanae salutis, postillata dallo stesso Giovanni XXIII non propenso a seguire quella del Vaticano i (vi si legge tra l'altro «né per la sostanza, né per la forma essa corrisponderebbe alle condizioni attuali», e vi si ribadisce quanto all'ordine temporale che «la Chiesa ha dimostrato di voler essere mater et magistra»).
Diversi documenti restituiscono il clima delle trattative con l'Unione Sovietica per consentire ai vescovi cattolici di partecipare al concilio e ottenere l'invio di osservatori della Chiesa Ortodossa Russa che arrivano alla vigilia conciliare dopo la visita a Mosca del rappresentante del Segretariato, monsignor Johannes Willebrands. E qui troviamo la conferma di alcune garanzie richieste: come l'assicurazione di evitare la condanna del comunismo, che avrebbe comportato inevitabili riflessi di carattere politico per il riferimento all'Unione Sovietica, con spiacevoli ricadute sulla Chiesa russa.
Lo stesso valeva per altri argomenti come la pace e l'ateismo. Si legge nell'allegato a una lettera di Bea dell'8 ottobre 1962 al cardinale segretario di Stato, Amleto Cicognani (succeduto a Tardini), che fa riferimento a informazioni ottenute durante la visita di Willebrands: «L'arcivescovo [Nikodim] ha posto la questione dell'Ateismo. In che modo si intende trattarlo? Si può evitare di parlarne in modo tale da evitare un'interpretazione politica, diretta contro certe nazioni? Non penserete certo che noi come vescovi ortodossi russi difendiamo l'ateismo! Questo non è vero, ma noi chiediamo comprensione per la nostra situazione. Si può parlare di ateismo senza menzionare o fare allusione a una nazione determinata. Diversamente si correrebbe il rischio di trasformare un documento religioso in uno politico».
Anche altri documenti attirano l'attenzione. Ecco l'appunto di Giovanni XXIII che nel luglio 1962, a Castel Gandolfo, correggendo di suo pugno alcuni fogli e soffermandosi su molte considerazioni «Intorno all'ordine morale» annota: «Sempre la buona dottrina, e la verità: ma c'è modo e modo di dirla. Dir tutto e sempre, ma con discrezione, con gusto, tanto più penetrante, quanto meno passionale nella sovrabbondanza dell'eloquio». Ecco, nella versione autografa, la nota lettera del cardinale Montini che lamenta con Cicognani la carenza di un piano organico per il concilio, ma pure quella inedita con cui il cardinale Ernesto Ruffini mette in guardia il Papa da quanti si accingono a bocciare lo schema sulla Divina Rivelazione. «Il Concilio Ecumenico Vaticano II, tanto auspicato, sta attraversando un momento di eccezionale gravità. Un numeroso gruppo di cardinali e vescovi tedeschi, francesi, olandesi e belgi si è proposto di promuovere la sostituzione dello schema presentato De fontibus revelationis con un altro schema, del quale sono state distribuite -- privatamente -- migliaia di copie. Questo secondo schema lascerebbe il tempo che trova, non contenendo alcuna affermazione che valga a frenare l'audacia di coloro i quali, con la veste di critici, sconvolgono l'esegesi biblica tradizionale ledendo -- forse non intenzionalmente ma in realtà -- gli stessi fondamenti della Fede. Per riuscire a sopprimere, del tutto o in massima parte, lo schema in questione, si fa appello a Vostra Santità [...]. Ma che cosa si può insegnare se non si possiede saldamente e con certezza la vera dottrina? Si obbietta che tale dottrina sta in tutti i manuali scolastici delle scuole teologiche e sia pure! Ma di fatto corrono oggi un po' dappertutto teorie pericolosissime e false che fanno ricordare con profonda tristezza il modernismo».
Com'è noto Giovanni XXIII riconoscerà la validità delle ragioni che avevano indotto i Padri a respingere questo schema oggetto di dibattito nell'Aula conciliare. Lapidario ma eloquente il suo commento in proposito: «1) La parola e l'invito del Papa nel discorso inaugurale in S. Pietro -- l'11 ottobre 1962 -- a non sollevare se non per rispettosa conferma, punti dottrinali dei Concili Tridentino e Vaticano, fu perfettamente ignorata e negletta da una parte dei Padri del Concilio. 2) Inde irae: irritazione degli spiriti della grande maggioranza dei convenuti» registra un altro appunto inedito di Giovanni XXIII, scritto in terza persona ed esposto nella mostra di Bergamo.
Sì, la decisione papale di rimandare questo schema in una commissione per una completa rielaborazione finiva per apparire come una sconfessione del lavoro di preparazione. In realtà, oltre a costituire una svolta nel concilio aprendo la via all'importantissima costituzione Dei Verbum, testimoniò pure che nessuno dei Padri poteva ritenersi la comparsa di un copione già scritto.
Nella libertà maturava anche la nuova coscienza conciliare della Chiesa.

*Presidente della Fondazione Papa Giovanni XXIII


(©L'Osservatore Romano 10 ottobre 2012)

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