lunedì 8 ottobre 2012

50 anni del Concilio: dal film di Olmi alla lettura di Ratzinger. Sopravvivono 96 padri conciliari, i loro ricordi (Izzo)

50 ANNI DEL CONCILIO: DAL FILM DI OLMI ALLA LETTURA DI  RATZINGER

Salvatore Izzo


(AGI) - CdV, 7 ott. 


Con il film "E venne un uomo", il regista Ermanno Olmi celebro' nel 1965  la novita' del Concilio Vaticano II (del quale il prossimo 11 ottobre ricorrono i 50 anni) e di Giovanni XXIII che lo aveva convocato con un annuncio a sorpresa nella Basilica di San Paolo, il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al Soglio Pontificio. Annuncio fatto, come confido' il Papa stesso, "tremando un poco, di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito". 

"Quel film - sottolinea Mondo Voc, la rivista on line del portale Vocazioni.net - contribui' a far passare l'idea di un'intuizione profetica quanto  improvvisa del Pontefice bergamasco, al quale certo va attribuito il grande merito di un'iniziativa tanto coraggiosa e importante. In realta' pero' la convocazione del Concilio era la risposta ad un'attesa molto sentita, gia' da tempo, da tutta la Chiesa".
Per questo  presentare il Concilio come assoluta discontinuita' - come ha fatto ad esempio lo storico Giuseppe Alberigo, leader della cosiddetta "Scuola di Bologna" - ha probabilmente contribuito a una serie di ricadute negative che comunque non oscurano la grandezza dell'evento. Romano Guardini, il grande teologo italo-tedesco che possiamo considerare il maestro di Joseph Ratzinger, annunciava nel 1922: "Un processo di incalcolabile portata e' iniziato: il risveglio della Chiesa nelle anime". Dopo il Concilio Vaticano I (1869-1870), il cui svolgimento fu condizionato dalla Questione Romana e cioe' dalla perdita del potere temporale ("provvidenziale", disse un secolo più tardi Paolo VI) si era aperto infatti quello che Yves Congar, teologo che fu protagonista del Concilio Vaticano II, defini' "il secolo della Chiesa". E con il risveglio del senso della Chiesa si sperimento', proprio a partire dal 1920, tutta l'insufficienza della dottrina sulla Chiesa, cosi' statica e ferma alle categorie sociologiche e giuridiche che sembravano eterne e intoccabili. 
Le nuove esperienze e un rinnovato ricorso alle fonti bibliche fecero sentire il bisogno di uscire da un concetto di Chiesa come societa' perfetta, obbligando la riflessione teologica ad elaborare nuove sintesi, ad intraprendere nuove strade.
L'esigenza dunque di un nuovo Concilio era molto avvertita nella Chiesa Cattolica della prima meta' del '900, ma due guerre mondiali ne impedirono la convocazione. ll  discorso fu ripreso nel dopoguerra, quando il Concilio Vaticano II fu attentamente e diligentemente preparato da Pio XII, come testimoniano gli stessi documenti definitivi del Concilio, che contengono 201citazioni o riferimenti a 92 atti del magistero del suo Pontificato.  Nella sola costituzione dogmatica "Lumen gentium" si contano 58 citazioni che rinviano al magistero di Pio XII.
"Se si studiano gli indici del Vaticano II, si puo' agevolmente rilevare che, dopo quelle
 tratte dalla Sacra Scrittura, le citazioni piu' numerose sono quelle ricavate dagli scritti di questo Pontefice", affermo' il cardinale Giuseppe Siri, intervenendo al Sinodo del 1983, alla presenza di Giovanni Paolo II, che da parte sua commento': "non possiamo dimenticare quanto Pio XII contribui' alla preparazione teologica del Concilio Vaticano II, soprattutto per quanto riguarda la dottrina circa la Chiesa, le prime riforme liturgiche, il nuovo impulso dato agli studi biblici, la grande attenzione ai problemi del mondo contemporaneo".
E quella straordinaria assise dei vescovi di tutto il mondo (parteciparono in quasi 3000), inaugurata da Giovanni XXIII l'11 ottobre 1962, cioe' un anno prima di morire, fu condotta in porto da Paolo VI che lo concluse dopo quattro sessioni, il 7 dicembre 1965, sottolineando come il Concilio avesse rivolto "la mente della Chiesa verso la direzione antropocentrica della cultura moderna", senza che pero' questo interesse  fosse disgiunto "dall'interesse religioso piu' autentico, soprattutto a motivo del collegamento dei valori umani e temporali con quelli  propriamente spirituali, religiosi ed eterni: la Chiesa sull'uomo e sulla terra si piega, ma al regno di Dio si solleva".
Una apertura che fu attuata, nel suo Pontificato itinerante, da Giovanni Paolo II. Ed oggi da un altro Papa, Benedetto XVI, che all'indomani dell'elezione, il 20 aprile 2005, ha voluto riaffermare con forza "la decisa volonta' di proseguire nell'impegno di attuazione del Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuita' con la bimillenaria tradizione della Chiesa".
Un appello forte Benedetto XVI lo ha rivolto anche lo scorso 15 luglio ai ragazzi cattolici, perche' nel loro cammino di fede si avvicinino ai documenti del Concilio Vaticano II, troppo presto archiviati anche da chi, a parole, dice di difenderli (e anzi arriva addirittura ad accusare il Papa di averli traditi, ad esempio nel tendere la mano ai tradizionalisti per favorire il superamento dello scisma voluto da monsignor Marcel Lefebvre che al Concilio si era opposto a tutte le aperture). I testi conciliari, ha spiegato nell'omelia della messa celebrata a Frascati, "contengono una ricchezza enorme per la formazione delle nuove generazioni cristiane, per la formazione della nostra coscienza". 

Secondo il Pontefice, lo studio di questi documenti va inteso dunque come una tappa indispensabile verso un impegno maturo, a livello ecclesiale ma anche civile, perche' essi ci fanno "riscoprire la bellezza di essere cristiani, di essere Chiesa, di vivere il grande 'noi' che Gesu' ha formato intorno a se', per evangelizzare il mondo".
"Fedelta' alla tradizione, apertura al futuro": e' questa per il Papa teologo l'interpretazione piu' corretta del Concilio Vaticano II, che, ha spiegato recentemente il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l'unita' dei cristiani, "resta la magna charta della Chiesa anche nel terzo millennio". 


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50 ANNI DEL CONCILIO: SOPRAVVIVONO 96 PADRI, I LORO RICORDI


Salvatore Izzo


(AGI) - CdV, 7 ott. 

Benedetto XVI, che ha promosso l'Anno della Fede per ricordare i 50 anni del Concilio Vaticano II (che ricorrono in questi giorni) e' anche uno degli ultimi protagonisti viventi di quell'evento, al quale l'allora 38enne sacerdote tedesco contribui' in veste di perito. "Ero un teologo giovane, senza grande importanza invitato chissa' perche'", ha ricordato lo scorso 9 luglio in occasione della visita al Centro dei padri verbiti a Nemi, dove si erano riuniti vescovi ed esperti per mettere a punto il testo del decreto sulle missioni Ad Gentes.

"Ero in compagnia di tanti grandi", ha tenuto a sottolineare Ratzinger dando voce a una sensazione che mezzo secolo dopo sembra unire tutti i testimoni sopravvissuti. Su quasi 3000 vescovi partecipanti ne sono ancora vivi 96, "Mondo Voc", rivista on line del portale "Vocazioni.net" ha raccolto le loro testimonianze. Conferma l'impressione di Papa Ratzinger  monsignor Salvatore Nicolosi, vescovo emerito di Noto, oggi novantenne, che partecipo' ai lavori a partire dal 29 settembre 1963, data di inizio della seconda sessione"entrai nell'aula conciliare con timore, avvertendo la grandezza del dono e la responsabilita' di essere tra i Padri conciliari". Nella Basilica di San Pietro trasformata in aula conciliare lo colpirono l'immagine di una Chiesa capace di andare "al cuore della vita cristiana" e allo stesso tempo di "dialogare con l'umanità" ed il clima di apertura che si percepiva "grazie alla
 sinfonia di voci di un cosi' grande numero di vescovi provenienti da tutti i continenti". 

Un clima, confida, nel quale "abbiamo potuto sperimentare una effettiva e ricca collegialita'" con la presenza dei maggiori teologi che "spingevano al largo la riflessione" e "i primi contatti ecumenici". Secondo il presule siciliano, "la ricchezza del Concilio nasce dall'effettivo ascolto di tutti". Ancora oggi, osserva, "mi sembra che cosi' dobbiamo attuare il Concilio: restando aperti allo Spirito attraverso uno studio intelligente e sereno della realta', una grande lungimiranza e lucida diligenza". Un'esperienza per molti versi analoga e' quella del cardinale Roger Etchegaray, 93enne sottodecano del Collegio cardinalizio e allora giovane perito: "Quello che mi colpi' - racconta - fu il senso universale della Chiesa, grazie all'impressionante partecipazione di oltre 2500 vescovi ma anche per la presenza, per la prima volta, di una ventina di osservatori delle cosiddette Chiese separate. 
Ancor oggi sconcertano le cifre di quell'evento: i dibattiti pubblici, ad esempio, hanno riempito 1500 ore di registrazione. Mi impressiono' pure la maestria e l'abilita' diplomatica del segretario generale, monsignor Pericle Felici, che fu in grado di tenere la rotta durante le quattro sessioni. 
E rammento come fosse ieri il discorso di Papa Giovanni e la messa del cardinale Eugene Tisserant, con la sua leggendaria barba. Per me - riassume - il Concilio ha rappresentato un'esperienza spirituale straordinaria".
Impressionato dalla grandezza e dall'umilta' dei suoi protagonisti fu pure il cardinale George Cottier, novantenne teologo emerito della Casa Pontificia, allora giovane frate domenicano, che partecipo' ai lavori anche lui in qualita' di perito. "Certamente - spiega - mi colpi' la grande laboriosita' di Yves-Marie Congar, ma anche la sua diversa visione teologica ed ecclesiologica rispetto a Jean Daniélou. Mi impressiono', ad esempio, la fatica redazionale che impegno' il sacerdote belga Gerard Philips per preparare le bozze e gli schemi della Lumen Gentium. 

E poi l'intelligenza e l'irruenza vulcanica di Karl Rahner di cui, a mio avviso, gia' allora erano in nuce certe critiche alla Chiesa che si concretizzeranno nel post Concilio. Conservo poi un bellissimo ricordo - continua il porporato svizzero - di don Giuseppe Dossetti: avvertii in lui un animo molto spirituale nel quale era molto marcata la sua
 esperienza alla Costituente italiana".
"Non posso negare - confessa da parte sua il cardinale Roberto Tucci, anche lui 90enne ed allora giovane direttore della Civilta' Cattolica - che mi aiuto' molto aver studiato a Lovanio e aver respirato quella impostazione teologica cosi' lontana, in quegli anni, da quella insegnata negli atenei pontifici romani come la Gregoriana, la Lateranense o l'Angelicum. Questa mia formazione francofona mi aiuto' molto, nella mia veste di perito nominato da Giovanni XXIII, ad essere accettato dai vescovi belgi e francesi che mi sentivano uno di loro: per scherzo venivamo chiamati quelli del 'Lovaniense secundum', con un chiaro riferimento al Vaticano II".
Tra i "grandi" del Concilio, il cardinale gesuita cita in particolare un suo confratello, padre Agostino Bea, biblista ed ex rettore del Biblico di Roma (che poco tempo dopo venne creato cardinale da Paolo VI): "un uomo eccezionale che non si turbava mai", lo descrive ricordando le levate di scudi che provocarono le sue proposte, che tuttavia "in gran parte poi furono accolte nella dichiarazione sulla liberta' religiosa Nostra aetate e nel decreto De Oecumenismo".
Documenti che ancora oggi trovano grandi opposizioni ma che rappresentano per monsignor Luigi Bettazzi, il vescovo emerito di Ivrea che a 88 anni e' uno dei piu' giovani padri conciliari oggi viventi, "una novita' epocale, che peraltro - tiene a chiarire - era il riemergere delle visuali bibliche e patristiche, originarie e antecedenti alle sistemazioni teologiche realizzate nei secoli". Per monsignor Bettazzi, la piu' grande intuizione del Concilio e' stata del resto "la riscoperta della centralita' del valore della Parola di Dio come alimento di una fede viva, di un 'tu per tu' personale e comunitario con Dio". L'altro elemento da sottolineare, aggiunge, e' "la visione della Chiesa nella sua dimensione di comunione e di corresponsabilita' di tutti i cristiani con l'ultima parola alla Gerarchia". Una Chiesa, cioe', "aperta a essere lievito di tutta l'umanita' verso un mondo di solidarieta' e di pace, in cui si concretizza qui sulla terra il regno di Dio". "Arrivai alla seconda sessione - ricorda monsignor Bettazzi - e scoprii la Chiesa Cattolica, cioe' universale, nella molteplicita' e varieta' dei vescovi e, in certo modo, di tutti i popoli e di tutte le culture che finalmente potevano esprimersi in un'assise conciliare.

Era quello - conclude - che Papa Giovanni aveva inteso aprendo un Concilio piu' 'pastorale' che 'dogmatico': partire dalle persone piu' che dalle verita' in astratto". 

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