Verso la conclusione della prima tappa del viaggio
L’entusiasmo travolgente del popolo messicano
dal nostro inviato Mario Ponzi
Non poteva mancare. Il Papa con il sombrero, in Messico, non poteva proprio mancare. Ci hanno pensato domenica mattina due tra i tanti giovani che avevano trascorso la notte sul prato del Parco del Bicentenario a León, in attesa della messa. Mentre Benedetto XVI faceva il suo giro in papamobile tra le centinaia di migliaia di fedeli raccolti sull’immensa distesa, si sono avvicinati e gli hanno offerto il sombrero più elegante della collezione messicana, il modello di El Charro, tessuto in felpa vellutata nera con ornamenti argentati. Il Pontefice lo ha indossato e ha proseguito il suo giro tenendolo in testa. L’entusiasmo della gente, già altissimo, ha raggiunto livelli stellari.
È stato il tocco che mancava per rendere anche visibilmente concreto lo slogan che accompagna a ritmo incessante ogni sua uscita: Benedicto, hermano, ya eres mexicano. E lo stesso Benedetto XVI lo ha confermato al termine della giornata, quando, improvvisando un saluto in italiano alla folla che lo applaudiva dinanzi al collegio Miraflores, ha confidato: «Adesso, posso capire perché Papa Giovanni Paolo II ha detto: “Io mi sento un Papa messicano!”». E ha assicurato: «Ho fatto tanti viaggi, ma mai sono stato ricevuto con tanto entusiasmo. Porterò con me, nel mio cuore, l’impressione di questi giorni. Il Messico sarà sempre nel mio cuore».
In effetti, resteranno a lungo nella memoria di questa popolazione le giornate vissute accanto al Papa. Riponeva tante speranze nella sua venuta. E ora si aggrappa a lui come fosse l’unica ancora di salvezza. Rimane sulle strade anche ben oltre il suo passaggio. Anche sabato sera per esempio, a fine giornata, davanti al Collegio Miraflores c’era una folla incredibile che per oltre quaranta minuti ha continuato a cantare e a chiedere al Papa di uscire ancora una volta. «Benedicto — gridavano — te amamos, por eso no nos vamos», «Benedetto ti amiamo per questo non ce ne andiamo». È dovuto uscire il nunzio apostolico Christophe Pierre per far capire che l’ora tarda e la giornata faticosa non consigliavano una nuova uscita del Papa. Ha recitato un Pater Noster con i presenti e li ha benedetti. Hanno compreso e hanno taciuto. Ma sono rimasti ancora a lungo in preghiera davanti alla residenza.
Il Papa era rientrato da poco da Guanajuato, dove aveva trascorso un pomeriggio scandito dagli incontri con le autorità e con i bambini. Nel palazzo del Conde Rul, tra l’altro, Benedetto XVI si è era soffermato a lungo con i familiari di alcune vittime della tragica violenza che sconvolge il Paese. Commovente il pianto della moglie di un poliziotto, ucciso di recente dai narcotrafficanti. Alcuni dei presenti avevano portato foto dei loro cari, che il Papa ha benedetto. L’eco di questo incontro è poi riecheggiata all’indomani nelle parole pronunciate dal Pontefice all’Angelus, quando ha rivolto di nuovo il suo pensiero a tutte le vittime delle violenze e in particolare del narcotraffico.
Altrettanto bello e commovente il momento dell’incontro con i bambini, sabato sera, a Guanajuato. Il Papa sembrava felice, così come era circondato dai bambini. E tanti altri erano giù in piazza con il naso all’insù per vederlo apparire al balcone. Forti le sue parole quando ha invitato tutti a «difendere e ad accudire i bambini, perché mai si spenga il loro sorriso». C’è, in questa esortazione, molto senso della sua visita in Messico, e non solo. C’è l’accorato appello a porre fine alla violenza, da qualunque parte essa provenga, perché certo non fa sorridere i bambini; c’è l’invito a sanare le controversie, vecchie e nuove, che sfaldano la società umana rendendola triste e buia per i bambini; c’è l’indicazione della carità come via della solidarietà perché nessun bambino abbia a soffrire per la fame o la malattia; c’è la rivendicazione del rispetto della dignità della persona, grande o piccola che sia, nata o in attesa di nascere perché tutti hanno diritto a sorridere alla vita; c’è, infine, il richiamo evangelico alla purezza dei bambini, i prediletti di Gesù, per riscoprire in senso dell’amore che deve governare il mondo se ancora si vuole tenere aperta la porta alla speranza.
E dunque quell’incontro fugace — è durato pochi momenti — e, per certi aspetti, inconsueto, ha segnato in modo indelebile questa tappa messicana del viaggio. Davanti a Benedetto XVI si è come concretizzato il futuro di un Paese che, come i suoi bambini, vuole e deve crescere.
E, in questa luce, più penetranti sono sembrate le parole dell’omelia della messa celebrata domenica mattina a León, nel Parco del Bicentenario, dove idealmente, accanto a quanti hanno trovato posto nello spazio limitato a disposizione, sono convenuti i milioni di fedeli che fanno dell’America Latina e dei Caraibi, il «continente della speranza». La televisione ha provveduto a radunare tutti ai piedi dello stesso altare per pregare insieme, nel giorno della festa più importante per ricordare la conquistata libertà. Per alcuni rimasta ancora solo sulla carta.
Di strada in effetti ne è stata fatta tanta, ma tanta ne resta ancora da fare. Il Papa è qui, in mezzo a loro, per indicare un cammino possibile. Un passaggio breve ma ai loro vescovi, ai vescovi del continente, Stati Uniti d’America e Canada compresi, ha affidato l’incarico di confermare e rafforzare la fede dei loro fedeli, quando, sul finire della giornata domenicale, li ha incontrati nella cattedrale di León per recitare insieme i vespri.
Si avvia dunque a conclusione la tappa messicana del ventitreesimo viaggio papale. Attraverso i titoli delle decine e decine di pagine dedicate all’avvenimento dai quotidiani nazionali, tornano alla mente le immagini e i momenti vissuti in queste indimenticabili settantadue ore trascorse in Messico.
Le persone innanzitutto. Dell’entusiasmo di questa gente si sa; della loro capacità di trasformare ogni cosa in occasione di festa altrettanto; del loro modo, originale, di esternare la loro gioia sono piene le cronache. Ma dalla loro capacità di non dare mai l’impressione di essere una folla anonima bensì eterogenea e perfettamente identificabile in ogni sfumatura etnica o in ogni particolarità di appartenenza a un gruppo, si resta sorpresi. Un cappellino uguale per tanti, una maglietta, uno striscione, una canzone e così ognuno parla in qualche modo di sé, si presenta. Per non parlare della gara che si è scatenata fra quanti sono riusciti a vedere più volte il Papa, a sfiorare la sua mano, a strappare una carezza per il proprio figlio, o anche semplicemente a toccare le persone che, per il loro lavoro, sono normalmente accanto al Pontefice.
E poi gli incontri o le celebrazioni. Di gran lunga più importante il momento della messa celebrata nello spazio attrezzato con una serie di padiglioni dove si conservano le testimonianze più significative della lotta nazionale messicana. È stato realizzato proprio per ricordare i duecento anni dell’indipendenza del Paese. Benedetto XVI è giunto in elicottero, dopo aver sorvolato la statua del Cristo re che svetta dal santuario sul vicino monte Cubilete. Qualche ora dopo, il Papa stesso — con accanto il cardinale Bertone, il nunzio Pierre, l’arcivescovo di León e il governatore di Guanajuato — ha attivato, spingendo un pulsante, il nuovo sistema di illuminazione del santuario.
Insieme al Pontefice, oltre agli ecclesiastici del seguito, hanno concelebrato più di 250 tra cardinali, arcivescovi e vescovi dell’America latina e dei Caraibi, degli Stati Uniti e del Canada. Oltre tremila i sacerdoti. L’altare, costruito su un palco imponente, era dominato dall’immagine della Vergine di Guadalupe, davanti alla quale Benedetto XVI ha pregato in silenzio appena conclusa la messa. Subito dopo ha benedetto statuine raffiguranti la Madonna e le ha donate a ciascuno dei vescovi rappresentanti le 91 diocesi messicane affinché ognuno di loro le porti con sé al rientro in diocesi, come dono e invocazione di grazia. Incredibili le manifestazioni di affetto riservate al Papa da migliaia di giovani che lo hanno atteso tutta la notte accampati nel parco accanto ai sacerdoti.
Una bella immagine di una Chiesa aperta al futuro. E così l’hanno presentata al Pontefice i vescovi dell’intero continente durante l’incontro pomeridiano in cattedrale a León. Il terreno è fertile, indubbiamente; ma il futuro è difficile da orientare. Anche il Papa, parlando con loro, non ha nascosto le numerose difficoltà che si prospettano. Certamente le grandi manifestazioni di pietà e di devozione popolare portate, soprattutto in questi giorni, sulle strade, parlano di un popolo fedele. Eppure le statistiche rivelano un lento ma progressivo avanzare del secolarismo; a volte si avverte la tentazione di cercare di adattare il messaggio cristiano a certe esigenze individualiste. C’è il rischio, insomma, di vedere travisati alcuni concetti fondamentali sul senso cristiano e sul reale significato della presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo. È su questo che Benedetto XVI ha chiesto ai vescovi di vigilare. Così come ha raccomandato impegno nel difendere la libertà di religione. Una raccomandazione questa, ribadita dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, durante la cena che ha offerto ai presuli e alle autorità a conclusione della serata.
(©L'Osservatore Romano 26-27 marzo 2012)
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