Padre Cantalamessa parla delle meditazioni quaresimali per la Curia romana
Cosa si prova a fare la predica al Papa
Gianluca Biccini
È stato il bolognese Prospero Lambertini — Papa dal 1740 al 1758 con il nome di Benedetto XIV — a riservare nel 1743 la carica di predicatore della Casa Pontificia all’ordine dei frati minori cappuccini. E anche venerdì 9 marzo, quando inizieranno in Vaticano le prediche per la Quaresima di quest’anno, a parlare davanti a Benedetto XVI su quattro grandi dottori della Chiesa orientale, ci sarà un sacerdote con il saio francescano: è padre Raniero Cantalamessa, che svolge questo compito dal 1980.
Erano gli albori del lungo pontificato di Giovanni Paolo II. E oggi sulla cattedra di Pietro c’è Joseph Ratzinger. Trentadue anni sono tanti: come fa ogni volta a trovare spunti sempre nuovi e originali di riflessione?
Non è poi neanche tanto difficile, perché la Parola di Dio è inesauribile. Inoltre san Gregorio Magno affermava: Scriptura cum legente crescit, cioè essa cresce con chi la legge, perché il Vangelo è vivo ogni volta che lo apriamo e cerchiamo di metterlo in pratica. Un altro elemento da considerare sono le sfide e le grazie di un determinato momento: nell’Anno paolino mi sono concentrato sull’apostolo delle Genti, in quello del sacerdozio mi ispirai ai preti, lo scorso anno, caratterizzato dall’istituzione da parte di Benedetto XVI di un apposito Pontificio Consiglio, parlai della nuova evangelizzazione. Ora c’è l’Anno della fede, con il suo invito a rileggere la Scrittura alla luce delle domande dell’uomo contemporaneo. E poi comunque, al di sopra di tutto, opera lo Spirito Santo, che io amo paragonare — anche se può sembrare irriverente — alla figura del suggeritore in teatro: c’è ma non si vede e senza di lui non si potrebbe fare la rappresentazione.
Atanasio, Basilio, Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno: per questa Quaresima 2012 ha scelto quattro padri della Chiesa delle origini. Cos’hanno da dire ai cristiani di oggi?
Anzitutto vorrei sottolineare che questa è la prima volta in cui mi appoggio esplicitamente a questi padri. Magari altre volte mi hanno accompagnato nelle predicazioni, ma stavolta ho voluto metterli in primo piano. L’idea mi è venuta da un passo della lettera agli Ebrei, quello in cui l’autore dice: «Ricordatevi dei vostri capi e imitatene la fede» (13, 7). Questo mi ha suggerito che nella costruzione della Chiesa i padri dell’antichità costituiscono il secondo strato, quelli venuti subito dopo gli apostoli. Durante le quattro prediche metterò in luce altrettanti aspetti del loro essere maestri di fede, della loro capacità di farci riscoprire una fede che va vissuta e non solo creduta. Nelle loro opere infatti si trova una linfa vitale, grazie alla quale sono in grado di trasportarci in questo mistero affascinante che è il nostro essere cristiani, discepoli di Gesù Cristo. Anche Papa Wojtyła ha ribadito che i padri sono una struttura stabile della Chiesa e per la Chiesa di tutti i secoli adempiono a una funzione perenne. Si tratta solo di aprire i magazzini della ricchezza di questa tradizione.
Ciascuno dei quattro padri è definito da lei un «gigante» a proposito di un determinato dogma. Quale di loro potrebbe essere maggiormente attuale in questi tempi che il Papa ha definito di «analfabetismo religioso»?
Mi è difficile dire chi sia più moderno. Per loro utilizzerei la categoria dell’essenziale, che si riferisce a ciò che non passa mai di moda. Ciascuno ha sviluppato uno dei dogmi fondamentali per la nostra fede: Atanasio la divinità di Cristo, Basilio lo Spirito Santo, Gregorio Nazianzeno la Trinità e il Nisseno la conoscenza di Dio.
E quale dei quattro le sembra più vicino alla sensibilità teologica di Joseph Ratzinger?
Se dovessi proprio dare una risposta, direi che Gregorio di Nissa corrisponde maggiormente alle preoccupazioni attuali di Benedetto XVI, perché la sua ricerca ha che fare con le vie dell’uomo per arrivare a Dio. Quando la strada tradizionale non sembra essere più efficace, allora c’è il senso del mistero, ciò che nella fenomenologia religiosa viene definito il «numinoso», quel dato primario, irriducibile a ogni altro sentimento che coglie l’uomo quando si trova davanti alla rivelazione del soprannaturale. Il «numinoso» si manifesta in gradi diversi: da uno più grezzo a quello più puro, che è la manifestazione della santità di Dio.
Non teme in qualche modo il confronto con la grande preparazione di Benedetto XVI ?
Non bisogna paragonare un nano con un gigante!
Eppure lei è stato un enfant prodige della patrologia, come giovanissimo assistente di Giuseppe Lazzati all’Università Cattolica. Per non parlare della laurea in teologia a Friburgo...
La interrompo e preferisco ripetere una battuta che risale al pontificato di Giovanni Paolo II, quando il cardinale Joseph Ratzinger era assiduo, anzi fedelissimo, in prima fila durante le prediche di Quaresima e di Avvento: «Provate a mettervi nei miei panni — confidavo ai miei interlocutori — e immaginate cosa si prova a parlare davanti al prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede!». Comunque mi tranquillizza sempre il fatto che io non devo inventare un sistema, devo solo predicare il Vangelo.
Torniamo ai nostri quattro padri. Provengono tutti dalla Chiesa orientale. Quali sono le specificità di questa spiritualità che dovrebbero essere riscoperte anche nel mondo occidentale?
Al di là delle connotazioni geografiche, bisogna vedere se l’Occidente è in grado di tendere l’orecchio. E a parte questo, bisogna inoltre filtrare tra le polemiche contingenti — dell’epoca in cui Atanasio, Basilio, il Nazianzeno e il Nisseno vissero — e ciò che è perenne. Essi hanno adattato il messaggio evangelico alla mentalità dei loro contemporanei, alimentando con le verità della fede il popolo di Dio. Del resto, sottolineavano la necessità di «masticare» la Parola: la ruminatio della Scrittura, cioè ritornare sul testo, richiamarne le parole, ritrovare il tema centrale e imprimerlo profondamente nel cuore. Questo hanno fatto i padri dell’Oriente, così come lo hanno fatto i padri latini, sui quali ho intenzione di soffermarmi, se Dio vorrà, nel prossimo Avvento.
Paolo VI ebbe a dire che i padri «furono per lo sviluppo della Chiesa quello che erano stati gli apostoli per la sua nascita». Chi saranno allora gli artefici di questa fase storica che esige una nuova evangelizzazione?
Lo stesso Papa Montini ha dato una risposta nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975, affermando che l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. In pratica occorre ricongiungere catechesi, teologia, Scrittura, liturgia e vita in un’unità, alla quale attingere per restituire slancio e freschezza al nostro credere.
(©L'Osservatore Romano 9 marzo 2012)
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1 commento:
Bello e umilissimo il paragone tra un nano e un Gigante, anche se P. Cantalamessa non è affatto un nano e Papa Bendetto ascolta tutti son estrema umiltà e semplicità, non come Papa, ma come Uomo alla ricerca del Volto di Dio. Anche per questo è così Grande. Grazie per la bella segnalazione
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