domenica 18 novembre 2012

Un perdono che non è solo una parola. Gesù risorto e la consegna dello Spirito ai discepoli (Gerhard Ludwig Müller)

Gesù risorto e la consegna dello Spirito ai discepoli

Un perdono che non è solo una parola


di Gerhard Ludwig Müller


Nel descrivere la grandiosa scena dell'apparizione del Risorto agli intimoriti discepoli radunati nel Cenacolo, l'evangelista Giovanni ci offre un quadro suggestivo, ricco di elementi di grande importanza (cfr. Giovanni, 20, 19-23). Dopo aver offerto loro il dono della pace e aver mostrato i segni tangibili delle ferite alle mani e al costato, Gesù costituisce gli apostoli come suoi continuatori, affidando loro, in particolare, la missione di perdonare i peccati. Ecco come il quarto evangelista ci riferisce in proposito: «Gesù disse di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”» (Giovanni, 20, 21-23).

Soffermiamoci su alcuni particolari. C'è anzitutto il gesto del Risorto che “alita” sui discepoli. Questo soffio di Gesù e le parole che lo accompagnano esprimono la consegna dello Spirito Santo che egli trasmette agli apostoli come dono di grazia che dovrà sostenere, guidare e illuminare la loro futura missione: «Ricevete lo Spirito Santo» (Giovanni, 20, 22). Per mezzo dello Spirito Santo la Chiesa continua l'opera di Cristo che consiste nel riconciliare il mondo con lui. In tutte le epoche la Chiesa è la comunità dei fedeli che si sono riconciliati con Dio, la comunità di coloro che hanno ricevuto la riconciliazione voluta dal Padre e ottenuta mediante il sacrificio del suo amato Figlio. Inoltre la Chiesa è per sua natura sempre riconciliante, perché trasmette agli altri il dono che essa stessa ha ricevuto, il dono di essere stata perdonata. La Chiesa assolve questa missione in vari modi, ma specialmente attraverso i sacramenti e in modo particolare attraverso il sacramento della Confessione, mediante il quale conduce ogni fedele davanti a Cristo per ricevere da lui perdono, forza e misericordia.
Ritorniamo alla nostra scena nel Cenacolo. Subito dopo la consegna dello Spirito, il Signore Risorto si rivolge ai discepoli: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Giovanni, 20, 23). Da queste parole si comprende facilmente che Gesù ha legato il suo perdono al perdono della Chiesa, anzi al giudizio della Chiesa. 
Le parole con le quali il Signore conferisce il mandato ecclesiologico in tema di perdono, parlano di un potere, comunicato mediante lo Spirito Santo, di «rimettere e ritenere» (Giovanni, 20, 23) e di «legare e sciogliere» i peccati (Matteo, 16, 19; 18, 18); non soltanto un atto giuridico-disciplinare, ma un atto che ha un significato salvifico. In esso avviene un giudizio escatologico che è intimamente orientato alla remissione del peccato. A motivo dell'intima unità tra amore di Dio e amore del prossimo, il rapporto del battezzato con Dio riguarda sempre anche la Chiesa, che come comunità santa non può che reagire al peccato. Nella Chiesa antica esistono chiare indicazioni circa tale contesto ecclesiale fatto di grazia e di peccato. Ogni peccato è un colpo inferto all'essenza santa della Chiesa. I peccati (anche quelli occulti) contro Dio turbano la comunione spirituale con lui. La Chiesa allontana da sé il peccatore per perdonargli i suoi peccati mediante la concessione di una nuova comunione con lei. Di tale processo fanno parte, come nel Nuovo Testamento, il pentimento, la conversione, la confessione, le opere di penitenza quale rinnovamento dell'amore.
La struttura fondamentale del sacramento della Penitenza diventa particolarmente chiara nella forma che aveva nella Chiesa antica. Tutta la Chiesa partecipa al processo penitenziale. Tutti accompagnano il peccatore intercedendo e pregando per lui e sostengono la sua volontà di convertirsi. Al sacerdote, quale rappresentante dell'unità della Chiesa e in cui agisce Cristo capo della Chiesa, spetta l'attuazione autoritativa della riconciliazione o della promessa del perdono mediante l'assoluzione. Al riguardo -- come ho avuto modo di scrivere nel mio volume Dogmatica cattolica. Per lo studio e la prassi della teologia (Cinisello Balsamo, San Paolo, 1999) -- una rinnovata teologia della penitenza «dovrebbe ispirarsi a questa struttura fondamentale e tenere nello stesso tempo conto delle sue diverse realizzazioni pratiche e delle diverse accentuazioni teologiche in essa possibili».
La prassi penitenziale della Chiesa, nelle sue molteplici forme che si sono succedute nei secoli, ha sempre trovato il suo vertice nel sacramento della Penitenza, segno sacramentale della salvezza, operata dalla morte e risurrezione di Gesù e da lui donata alla Chiesa con l'effusione del suo Spirito. Il sacramento della confessione si rivela in tal modo necessario non soltanto per ottenere il perdono dei peccati commessi dopo il battesimo, ma anche per assicurare autenticità e profondità alla virtù della penitenza come atteggiamento cristiano e alle diverse pratiche penitenziali della vita cristiana. Mediante il sacramento della confessione, infatti, lo stesso Spirito Santo effuso da Gesù continua ad agire e a ricreare il cuore dei fedeli, diventando legge di vita per un'esistenza convertita e penitente.
Nel nostro tempo, come sappiamo, il valore della confessione sacramentale e della virtù della penitenza si è fortemente affievolito. Eppure il sacramento della confessione, unitamente alle altre forme di penitenza, appartiene da sempre alla vita della Chiesa. Esso risponde, infatti, al bisogno permanente del cristiano di conversione al regno di Dio, di richiesta di perdono per i peccati, di implorazione dell'aiuto divino, di rendimento di grazie e di lode al Padre. Per il cristiano la penitenza non è mai fine a se stessa né si configura come semplice strumento di controllo di sé, ma rappresenta la via necessaria per partecipare alla morte gloriosa di Cristo: in questa morte egli viene inserito con il Battesimo e dal Battesimo riceve il dono e il compito di esprimerla nella vita morale (cfr. Romani, 6, 3-4), in una condotta che comporta il dominio su tutto ciò che è segno e frutto del male. 
A evitare una certa disistima nei confronti della Confessione, la Chiesa ci ricorda che il frutto di questo sacramento non è solo la remissione dei peccati: «Esso opera una autentica “risurrezione spirituale”, restituisce la dignità e i beni della vita dei figli di Dio, di cui il più prezioso è l'amicizia con Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1468).
In questo Anno della fede vogliamo riscoprire il valore del sacramento della penitenza e della penitenza come virtù cristiana ad esso associata. Mi auguro che questo terzo Simposio organizzato dalla Penitenzieria Apostolica, oltre all'approfondimento scientifico di alcune tematiche storiche, canoniche e teologiche, possa risvegliare nei fedeli la necessità di ricorrere alla misericordia di Dio, come efficacemente ha insegnato Benedetto XVI (Omelia nella solennità di Pentecoste, 15 maggio 2005): «Il sacramento della penitenza è uno dei tesori preziosi della Chiesa, perché nel perdono si compie il vero rinnovamento del mondo. Nulla può migliorare nel mondo, se il male non è superato. E il male può essere superato soltanto con il perdono. Certamente, deve essere un perdono efficace. Ma questo perdono può darcelo solo il Signore. Un perdono che non allontana il male solo a parole, ma realmente lo distrugge. Ciò può avvenire soltanto con la sofferenza ed è realmente avvenuto con l'amore sofferente di Cristo, dal quale noi attingiamo il potere del perdono».

(©L'Osservatore Romano 18 novembre 2012)

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