sabato 17 novembre 2012

Per cancellare pregiudizi e diffidenze. Il segretario del dicastero per il dialogo interreligioso parla del messaggio agli indù per Deepavali (O.R.)


Il segretario del dicastero per il dialogo interreligioso parla del messaggio agli indù per Deepavali

Per cancellare pregiudizi e diffidenze


Porgere «auguri di felicità e pace agli oltre 950 milioni di fratelli indù sparsi in tutto il mondo»: è l'obiettivo dell'annuale messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso in occasione della festa di Deepavali. A spiegarlo è il comboniano Miguel Ángel Ayuso Guixot, che in questa intervista al nostro giornale sottolinea come il dicastero vaticano di cui è segretario abbia «il compito di stabilire relazioni amichevoli con persone di altre tradizioni religiose e in tal senso, nel corso degli anni, ha intrapreso varie iniziative al fine di contribuire a costruire un clima di reciproco rispetto, solidarietà e cooperazione per il bene della famiglia umana. Molto apprezzata ed efficace -- aggiunge -- è l'usanza di un messaggio in occasione delle festività più importanti. Dal 1967 vengono inviati gli auguri ai musulmani per la festa di Id-al-Fitr, e dal 1995 ai buddisti e agli indù rispettivamente in occasione del Vesakh e del Deepavali. Per ora il messaggio si limita solo alle festività delle religioni maggiori -- rivela -- ma si spera in futuro di poter estendere tale consuetudine anche ad altre religioni».


Qual è il significato della festa di Deepavali?


È la «festa delle luci». Deepavali o Diwali significa «una varietà di luci». La luce, come sappiamo, è un simbolo universale. È anche un elemento essenziale della nostra fede cristiana. La luce dissipa le tenebre, dona calore e vita. Quindi il Deepavali esprime la distruzione di ogni genere di tenebra e di forze negative, la vittoria del bene sul male, ed è perciò un incoraggiamento e un'esortazione per gli indù e per tutti a procedere sul cammino della luce, compiendo buone azioni. E in questa occasione, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso porge gli auguri di felicità e pace a più di 950 milioni di fratelli indù sparsi in tutto il mondo.


Il tema di quest'anno è «Cristiani e indù: formare le giovani generazioni ad essere operatori di pace». Vi è un motivo particolare per questa scelta?


Nel corso degli anni abbiamo spesso sentito dire che «i giovani d'oggi sono il futuro di domani» e questa è una realtà che nessuno può negare. Come è stato per noi un tempo, così essere il futuro tocca ora ai giovani d'oggi. Garantendo loro un presente che faciliti la loro crescita integrale, responsabile ed amorevole, noi possiamo giustamente sperare in un futuro migliore e più pacifico. Attualmente, quando diverse forze negative sono all'opera per disturbare l'equilibrio di una coesistenza pacifica fra persone di differenti culture e religioni, i giovani sono la nostra speranza. Anche Benedetto XVI ha attirato l'attenzione del mondo intero verso questa realtà nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace intitolato «Educare i giovani alla giustizia e alla pace». Formare i giovani a essere operatori di pace non è solo responsabilità di individui isolati, ma richiede una «responsabilità collettiva» e un'«azione comune» da parte di tutti coloro a cui sta cuore il bene comune.


A chi si rivolge il messaggio?


È indirizzato a tutti coloro che sono impegnati nel mondo delle comunicazioni e che hanno a cuore la causa della pace, in particolare a genitori, insegnanti, anziani, capi politici e religiosi. I genitori, per il fatto stesso di essere i «principali educatori alla pace», hanno il dovere di far crescere i propri figli in quei valori che costruiscono fraternità e pace; gli insegnanti -- e gli altri responsabili della formazione -- hanno il compito di assicurare un'educazione che promuova la buona volontà e l'amicizia; i capi politici e religiosi hanno il ruolo di offrire assistenza alla famiglia e alla scuola; i mass media al mondo d'oggi hanno enormi possibilità di promuovere la pace in tutti i suoi aspetti; e, infine, i giovani stessi debbono essere coerenti con ciò che affermano, come si aspettano dagli altri.


Quale azione comune propone il messaggio?


Incoraggia gli indù e i cristiani a sviluppare nuove modalità di formare i giovani a essere operatori di pace -- persone che sappiano pensare e siano formate ad agire rettamente e giustamente in amore e libertà -- e a considerare le differenze religiose e culturali come ricchezze, e non come una minaccia o un pericolo.


Che ruolo hanno in questo processo di formazione i capi religiosi?


A motivo della loro vocazione a essere guide spirituali e morali, i capi religiosi godono di grande fiducia e rispetto, in generale, in ogni parte del mondo, a qualsiasi religione appartengano. Le persone, in particolare i giovani, guardano a loro in cerca d'ispirazione e guida. Quei capi che praticano fedelmente gli insegnamenti della propria religione e considerano il mondo come un'unica famiglia umana, possono influire molto sul modo di pensare, parlare e agire dei giovani, ispirandoli a percorrere la via della pace e a diventarne testimoni.


Al di là del messaggio annuale, in quali altri modi il Pontificio Consiglio promuove relazioni cordiali con gli indù?


Più del dicastero, a doversi impegnare in modo concreto nella promozione del dialogo con persone di altre religioni, a livello di base, sono le Chiese locali. È ovvio che il Pontificio Consiglio confida che esse facciano la loro parte. Le Chiese locali, in India e in altri Paesi con considerevoli comunità induiste, sono molto coinvolte in tale dialogo. Laddove si avverta la necessità di un sostegno alle Chiese locali, il nostro dicastero le affianca. Per esempio, nel 2011 è stato organizzato insieme alla Chiesa in India un colloquio indù-cristiano, al quale hanno preso parte il cardinale presidente Jean-Louis Tauran, il mio predecessore come segretario, l'arcivescovo Pier Luigi Celata, e il responsabile dell'ufficio per l'induismo del Pontificio Consiglio. Già in precedenza, nel 2009, il cardinale Tauran aveva partecipato a Mumbai al primo incontro ufficiale fra capi cattolici e indù. Entrambi gli avvenimenti sono stati molto utili per eliminare pregiudizi e possibili diffidenze fra le due comunità.


(©L'Osservatore Romano 17 novembre 2012)

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