venerdì 17 agosto 2012

Anno della fede. Brasile: risveglio missionario per la fede del «gigante» (Capuzzi)


Brasile: risveglio missionario per la fede del «gigante»

Non è solo il santuario più famoso del Brasile. La basilica di Nostra Signora di Aparecida è metafora del percorso di rinnovamento seguito dalla Chiesa latinoamericana dopo il Concilio. Lì, nel maggio di cinque anni, si svolse la quinta Conferenza generale dell’episcopato del continente (Celam), e i vescovi rifletterono insieme a Benedetto XVI sull’importanza di una nuova evangelizzazione. 
Missione a cui ogni fedele è chiamato per trasmettere l’amore di Cristo attraverso una testimonianza coerente. Non è un caso, dunque, che la Chiesa brasiliana abbia scelto di cominciare le celebrazioni per l’Anno della fede proprio ad Aparecida. Il 12 ottobre – 520° anniversario del primo incontro tra Europa e America, data che quest’anno cade il giorno dopo l’inizio dell’Anno della fede –, la basilica ospiterà una cerimonia cui sono invitati i pastori del Paese più grande del continente, che conta ben 275 diocesi. 
«Sarà un ritorno ai grandi temi affrontati cinque anni fa nella Conferenza – spiega ad Avvenire padre Antonio Luiz Ferreira Catelan, responsabile nella Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) per la dottrina della fede – per rafforzare i fondamenti della religione cristiana e poterla testimoniare nella nostra vita, perché la fede è una riscoperta continua».
Riscoperta, riflessione, impegno sono le tre principali direttrici lungo le quali la Chiesa brasiliana intende muoversi nell’Anno della fede. 
A ottobre, uscirà l’edizione ufficiale dei documenti del Concilio Vaticano II curata dalla Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb), che pubblicherà una miscellanea dei discorsi di Benedetto XVI sulla fede, oltre all’edizione ufficiale del Catechismo e un compendio del Catechismo. «È il fondamento del nostro credo, dobbiamo approfondirlo di continuo – continua padre Catelan –. Per questo a settembre si svolgerà un congresso teologico a Curitiba».
Non è solo uno sforzo teorico. La conoscenza della fede implica a sua volta un rinnovato slancio missionario, dai forti connotati sociali. Nonostante il recente "milagro economico" – è la sesta economia del mondo –, il Brasile rimane una nazione sfregiata da marcate diseguaglianze: quasi un terzo degli abitanti è povero e oltre la metà vive in condizioni abitative precarie. 
«La Chiesa brasiliana ha una grande tradizione di impegno e solidarietà che dobbiamo proseguire», spiega padre Antonio. È una sfida importante in un momento cruciale: insieme al boom, nel Paese avanza anche la secolarizzazione. L’offerta religiosa si moltiplica. Accanto alla forte e radicata presenza della Chiesa cattolica, dilagano le sétte protestanti, in particolare di matrice evangelico-pentacostale. Se ne contano ormai migliaia di denominazioni, per un totale di oltre 42 milioni di fedeli, il 26% della popolazione, in base alla ricerca realizzata nel 2010 dall’Istituto brasiliano di geografia e statistica. I numeri evidenziano, inoltre, un calo dei cattolici, che restano comunque oltre 123 milioni, pari al 64% dei brasiliani, in un Paese che è anche atteso da un quadriennio sotto i riflettori del mondo: Gmg 2013, Mondiali di calcio 2014, Olimpiadi 2016, tutt’e tre a Rio.
Al di là delle cifre, «si nota, però, una religiosità più partecipata: chi si professa cattolico non lo fa più per tradizione ma per convinzione profonda», afferma monsignor Giuliano Frigeni, vescovo di Parintins, al confine tra gli Stati di Amazonas e Parà, nel cuore della selva. Bergamasco, missionario del Pime, da 33 anni in Brasile, "dom Giuliano", come si fa chiamare, è un vescovo che vive ai margini del Brasile "rampante": nel Nord amazzonico il governo latita mentre i latifondisti impongono con la forza il loro potere a contadini e indigeni. Questi ultimi rappresentano l’8% della popolazione della diocesi di Parintins. «Per testimoniare il Vangelo in questi luoghi si deve fare come Gesù: vivere in mezzo alla gente – dice il vescovo. – La fede non è solo un apparato dogmatico, qui è soprattutto amore paterno e materno, accoglienza incondizionata di tutti, forti e fragili. Evangelizzare vuol dire trasmettere questo messaggio, ai meticci come ai nativi. Senza alcuna arroganza o forzatura, o pretesa di colonialismo culturale e religioso, ma con affetto infinito. Lo stesso affetto di Gesù, cui dobbiamo sforzarci di assomigliare ancor di più in quest’Anno della fede». 

© Copyright Avvenire, 17 agosto 2012  consultabile online anche qui.

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