Il supremo interesse della teologia
Alla ricerca del senso perduto
di Inos Biffi
Quando Tommaso d'Aquino scrive che la sacra dottrina «più che una scienza pratica è una scienza speculativa», non intende dire che la teologia si occupa di realtà astratte, non pertinenti o non connesse con la prassi dell'uomo. La ragione del carattere primariamente speculativo della teologia è il fatto -- spiega l'Angelico -- che essa «tratta prevalentemente delle realtà divine che non degli atti umani, presi in esame in quanto mediante tali atti l'uomo viene ordinato alla perfetta conoscenza di Dio, nella quale consiste la beatitudine eterna» (Summa Theologiae, i, 1, 4, c).
In questo senso l'affermazione del carattere speculativo della teologia equivale al riconoscimento del primato di Dio, d'altronde in conformità con la genesi stessa della teologia, consistente nell'iniziativa di Dio che rivela all'uomo la propria vita intima, ponendosi così come l'attrattiva suprema dell'uomo.
Non vi è nulla che possa essere più interessante della Trinità o di più avvincente del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Non è per ciò negata l'indole pratica della sacra dottrina. Sempre Tommaso asserisce che la sacra dottrina «include in sé tanto il sapere speculativo», «quanto il sapere pratico» o morale, relativo all'azione dell'uomo. Tuttavia, il suo Soggetto -- noi diremmo l'Oggetto -- è Dio, o in Sé o quale principio e fine (ibidem, 7a). Tutto quanto in essa viene considerato dal profilo teo-logico, o «in relazione a Dio».
E l'Angelico precisa: anche il contenuto cristologico della scienza sacra rimanda ultimamente a Dio. Gesù Cristo non ferma e non conclude a se stesso: egli rivela la Trinità e tutto rimanda a essa, in particolare l'umanità. A predominare è sempre «il riferimento a Dio», quasi la passione divina, anche se la nostra conoscenza non riesce a cogliere la sua essenza, ma si limita ai suoi effetti «di natura o di grazia» (ibidem).
Senza dubbio, occorre sottolineare che il Dio che è il “soggetto” della teologia è il Dio trinitario, e che a rappresentare l'attrazione e l'interesse supremo sono le Tre persone divine, in tal modo condividendo l'attrattiva di Gesù per il Padre.
Tommaso, parlando della sua scelta di impiegare la propria vita allo “studio della sapienza”, cioè a far teologia, dichiara che «tutte le sue parole e i suoi sentimenti saranno dedicati a dire Dio» (Summa contra Gentiles, i, 2).
Può invece avvenire che il teologo si stanchi di dire soltanto o prevalentemente Dio e trovi più gratificante e più attuale «dire l'uomo», oltre tutto in conformità con la cosiddetta «svolta antropologica» della teologia: una svolta carica di ambiguità, se non di equivoci. Certamente la precomprensione e quindi il profilo antropologico contrassegnano qualsiasi accostamento l'uomo faccia della realtà, compresa quella divina. Senza dubbio il suo sarà sempre un linguaggio “umano”, anche quando si riferisce a Dio; ma è proprio la tensione a Dio, la passione per Lui, che definisce e qualifica il discorso della sacra dottrina e lo rende inesauribile.
Nessuna novità è più accattivante della Trinità; nessuna notizia è più stupefacente ed entusiasmante di quella riguardante il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo e la loro intima vita, per quello che ne possa trasparire all'intelletto del credente, che si applica all'inesauribile meditazione teologica, la cui sorgente è la fede.
Esiste una radicale improporzione tra le verità divine e la capacità umana di comprensione, ma non per questo il teologo si lascia deprimere o inibire. Scrive Tommaso: «La ragione umana nel conoscere le verità di fede, che possono essere evidenti solo a coloro che contemplano l'essenza di Dio, è in grado di raccoglierne certe analogie, che però non sono sufficienti a dimostrare codeste verità o a comprenderle per intuizione intellettiva. Tuttavia è proficuo per la mente umana esercitarsi in tali ragionamenti per quanto inadeguati, purché non si abbia la presunzione di comprendere o di dimostrare: poiché poter intendere anche poco e debolmente le cose e le realtà più sublimi procura la più grande gioia. Tale considerazione è confermata dall'autorità di S. Ilario, il quale afferma nel secondo libro del De Trin. [c. 10, 11], a proposito delle verità di fede: “Nella tua fede inizia, progredisci, insisti: sebbene io sappia che non arriverai alla fine, mi rallegrerò del tuo progresso. Chi, infatti, si muove con fervore verso l'infinito, anche se non arriva mai, tuttavia va sempre avanti. Però non presumere di penetrare il mistero, e non ti immergere nell'arcano di una natura infinita, immaginando di comprendere il tutto dell'intelligibile: ma cerca di capire che si tratta di realtà incomprensibili”» (ibidem, 8).
È un programma stupendo e stimolante per il teologo, dove si intessono umiltà e audacia, e dove a muovere la ricerca non è la presunzione -- «che è madre dell'errore (ibidem, 5)» --, ma l'amore, a cui è innato il desiderio della visione ed è quindi incitamento per l'intelletto.
Anche il più piccolo frammento di verità divina e trinitaria è più prezioso e dà più gusto della più sottile verità concernente le creature. Lo affermava san Tommaso, citando (ibid., 5) quanto diceva già Aristotele, a suo modo: «Per quanto sia poca la nostra conoscenza delle nature superiori, tuttavia questo poco è più amato e desiderato di tutta la conoscenza che abbiamo delle nature inferiori (...). Sebbene i problemi relativi ai corpi celesti non possano avere che una soluzione modesta e solo probabile, tuttavia producono in chi l'ascolta un grande godimento» (De Partibus animalium, i 5).
Aristotele parlava delle «nature superiori». Il teologo è invece teso alla conoscenza di Dio, meglio della Trinità, nella quale d'altronde egli incontra in luogo privilegiato l'uomo, collocato col Figlio di Dio fatto carne nel cuore della Trinità.
E allora da speculativa la teologia diventa pratica. O più esattamente: proprio in quanto speculativa e quindi fissata sulla Trinità, essa si configura come scienza pratica, o scienza dell'azione umana progettata da Dio come riflesso e continuità con l'azione dell'Unigenito del Padre fatto uomo.
Trovando il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, il «sapiente» -- come Tommaso definisce il teologo -- sorprende l'uomo con la sua vocazione e il suo destino di grazia; ossia l'unico uomo che Dio abbia eletto dall'eternità.
(©L'Osservatore Romano 30 agosto 2012)
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