Sotto il segno di un'armonia crescente tra Chiesa e Stato
di Tarcisio Bertone
Sono davvero lieto di prendere parte all'inaugurazione così solenne di questa mostra, che vuole segnare in modo simbolicamente forte la chiusura del centocinquantesimo anniversario dell'unità politica italiana, coincidente con quello de «L'Osservatore Romano». Il quotidiano iniziò infatti le sue pubblicazioni con la data del 1° luglio 1861, poco più di cento giorni dopo la proclamazione di Vittorio Emanuele ii quale Re d'Italia, il 17 marzo.
Certo non fu una coincidenza, perché a fondare il giornale erano stati due laici di Forlì e di Cento, Nicola Zanchini e Giuseppe Bastia, entrambi avvocati, sudditi del Papa rifugiatisi a Roma dopo che gli antichi territori delle Legazioni, in Emilia e in Romagna, erano stati annessi al Regno di Sardegna nei mesi successivi alla seconda guerra d'indipendenza. L'intenzione dei due profughi politici, che furono sostenuti dal Governo pontificio, era quella di dare vita a un foglio che sostenesse le ragioni del Pontefice e del suo potere temporale, in quei drammatici frangenti della storia italiana.
Il nuovo giornale doveva chiamarsi «L'Amico della verità», ma più saggiamente si decise per una testata, già usata in precedenza, presto divenuta famosa in ambito internazionale e sotto la quale, dal primo numero del 1862, si leggono i due motti Unicuique suum e Non praevalebunt, in un accostamento che congiunge la tradizione classica e quella cristiana. Si apriva così l'ultimo tratto di un cammino che si sarebbe concluso un decennio più tardi con la presa di Roma, il 20 settembre 1870.
Questa piccola ma preziosa esposizione, che il Senato della Repubblica Italiana ha promosso e preparato con «L'Osservatore Romano», vuole mostrare attraverso documenti originali e immagini, tratti da archivi italiani e vaticani, alcuni tra i momenti salienti del secolo e mezzo da allora trascorso. Con l'occasione ringrazio per la collaborazione, che è davvero espressiva degli eccellenti rapporti tra Italia e Santa Sede, manifestatasi anche nel generoso impegno con cui molte persone si sono dedicate con entusiasmo ad allestire la mostra.
Il periodo illustrato da questa esposizione è stato segnato da avvenimenti di segno diverso. Basti solo accennare alla costruzione e poi al consolidamento dell'unità italiana -- alla quale di fatto hanno contribuito in modo decisivo anche i cattolici, nonostante difficoltà, contrasti, contraddizioni -- e, parallelamente, alla crescita progressiva della proiezione mondiale della Santa Sede dopo la perdita del potere temporale.
Del Novecento bisogna poi ricordare, almeno, gli anni della Grande Guerra, che Benedetto XV, incompreso e stretto tra nazionalismi contrapposti, definì «inutile strage», il ventennio fascista e la crescita nefasta dei totalitarismi; la Conciliazione e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano; il secondo conflitto mondiale e gli orrori che ha portato con sé; la nascita della Repubblica Italiana e la sua Costituzione; la ricostruzione e il boom economico; la preparazione e lo svolgimento del concilio Vaticano II; l'accordo di revisione del Concordato. Si giunge così all'attuale secolo, con una crisi globale che non è soltanto economica ma deve essere colta quale occasione per un rinnovato impegno morale, come Sua Santità Benedetto XVI ha più volte ricordato.
Tra i documenti esposti, vorrei menzionare il breve appunto interamente autografo di Pio XI, indirizzato al suo segretario di Stato il cardinale Pietro Gasparri, non datato ma risalente al 7 giugno 1929. Scrive il Papa: «Voglia far portare al nuovo ufficio Nostro telegrafico il seguente testo per la immediata trasmissione: A Sua Maestà Vittorio Emanuele III Re d'Italia. Il primo telegramma che mandiamo da questa Città del Vaticano è per dire a V.[ostra] M.[aestà] che lo scambio delle ratifiche delle Convenzioni Laterane è, grazie a Dio, da pochi istanti un fatto compiuto -- quod prosperum felix faustum fortunatumque sit -- e altresì per impartire di tutto cuore una grande e paterna apostolica benedizione alla M.[aestà] V.[ostra], alla Augusta Consorte, a tutta la Reale Famiglia, all'Italia, al mondo».
Il chirografo del Pontefice -- che sin dal giorno della sua elezione aveva mostrato chiaramente la sua volontà di risolvere la questione romana e di arrivare a una conciliazione tra Italia e Santa Sede -- riassume lapidariamente, nello stile incisivo e al tempo stesso solenne tipico di Pio XI, il senso di questa mostra, che ricostruisce efficacemente i principali momenti dei rapporti, per lungo tratto difficili e conflittuali, ma aperti a uno sviluppo per il bene comune, tra Italia e Santa Sede. Lungo gli anni, attraverso la Conciliazione, la nascita della Repubblica Italiana, lo svolgersi del concilio Vaticano II, il consolidarsi della Conferenza episcopale italiana e l'accordo di revisione del Concordato, questi rapporti sono divenuti eccellenti ed esemplari nella ricerca costante di un'armonia crescente tra Stato e Chiesa, e sono stati seguiti ogni giorno, per un secolo e mezzo, dal giornale del Papa.
Davvero significativa è, pertanto, la quasi perfetta coincidenza del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia e dell'inizio delle pubblicazioni dell'«Osservatore Romano». Un giornale che, tra l'altro, ha dato conto di queste celebrazioni con convinzione e simpatia. Anche così è stata espressa l'attenzione e l'amicizia della Santa Sede per la Nazione italiana, in un rapporto che, oggi, è rappresentato, al più alto livello, dalla considerazione e dalla stima reciproche tra Lei, Signor Presidente della Repubblica, e il Sommo Pontefice. E per questa felice occasione Sua Santità mi ha incaricato di rinnovare l'espressione dei voti più fervidi per l'amata Nazione italiana e per quanti la servono nelle sue istituzioni.
(©L'Osservatore Romano 9 marzo 2012)
Dal conflitto alla collaborazione
di Renato Schifani
Sono lieto di accogliervi a Palazzo Giustiniani in occasione dell'inaugurazione della mostra «Stato e Chiesa dal Risorgimento ai nostri giorni», che sarà aperta al pubblico fino a sabato 17 marzo e con la quale si chiudono le celebrazioni in Senato del 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
Rivolgo innanzitutto un ringraziamento doveroso all'Archivio Storico del Senato, e soprattutto a «L'Osservatore Romano», agli Archivi della Segreteria di Stato della Santa Sede e all'Archivio Segreto Vaticano, che hanno permesso, attraverso i loro eccezionali contributi documentali, di dar vita a questa importante iniziativa.
La mostra, allestita nella Sala Zuccari, ha il merito -- come evidenzia lo stesso sottotitolo che è stato scelto -- di legare la contemporanea ricorrenza dei centocinquant'anni dell'Unità d'Italia e della fondazione del quotidiano vaticano.
Come è noto, proprio la proclamazione del Regno d'Italia, avvenuta il 17 marzo 1861, a pochi mesi dalla sconfitta delle truppe pontificie a Castelfidardo da parte dell'esercito piemontese e della conseguente annessione della gran parte del territorio dello Stato della Chiesa, segnò l'inizio di un periodo di accesa conflittualità tra la monarchia sabauda e la Santa Sede.
La fine del potere temporale della Chiesa, che durava da oltre un millennio, non poté infatti non generare una situazione di attrito e di grande preoccupazione in seno alla Chiesa. Roma, benché ancora sotto la sovranità papale, era già stata proclamata Capitale d'Italia e questo significava il venir meno di quello che per secoli era stato il baluardo politico della spiritualità universale della Chiesa cattolica.
In questo contesto fu fondato «L'Osservatore Romano», espressione proprio della preoccupazione che, come si scriveva nel suo primo numero del 1° luglio 1861, riportando le parole del Pontefice, «gli attuali rivolgimenti d'Italia (...) non avessero altro scopo che di abbattere, se fosse possibile, la Religione».
Per fortuna la storia riservava altri esiti, ed è proprio ciò che la mostra intende mettere in luce.
Il burrascoso inizio dei rapporti tra lo Stato Italiano e la Chiesa cattolica e il successivo lungo percorso di riavvicinamento tra le due istituzioni viene dunque ripercorso nella mostra attraverso documenti, anche inediti, provenienti, oltre che dall'Archivio Storico del Senato, anche dagli Archivi della Segreteria di Stato della Santa Sede e dall'Archivio Segreto Vaticano. A questi si aggiungono alcune delle pagine più significative e i contributi archivistici e fotografici dell'«Osservatore Romano».
È un cammino pieno di ostacoli che comincia dalle origini della Questione Romana e dalla proposta cavouriana di una terza via tra la prospettiva neoguelfa e quella neoghibellina, per passare, all'indomani della presa di Roma, alla Legge delle Guarentigie del 1871 che stabiliva precise garanzie per il Papa e la Santa Sede; fino ad arrivare alle elezioni del 1913 e all'analisi della strategia del pontificato di Pio X, che si prefisse l'obiettivo di dare una base giuridica alla posizione internazionale della Chiesa.
Sono poi documentate le trattative della Santa Sede con gli ultimi governi liberali in vista del recupero di una minima sovranità territoriale, fino ai Patti lateranensi nel 1929 e la fine della Questione Romana.
Viene affrontata la progressiva apertura dei cattolici al mondo politico e vengono ripercorsi i primi passi del partito di ispirazione cristiana in Italia nonché la sua evoluzione nel corso degli anni e il suo rapporto con il Vaticano durante la Repubblica.
Si arriva alla Costituzione: l'articolo 7, nel formulare il principio regolatore delle relazioni Stato-Chiesa, realizza pienamente la sintesi tra laicità dello Stato e libertà religiosa. I principi della nostra Carta fondamentale e i dettami della Costituzione pastorale Gaudium et spes scaturita dal concilio Vaticano II segnano l'instaurazione di un sistema di cooperazione, indispensabile per la civile e serena convivenza della società italiana.
Il 18 febbraio 1984 viene firmato, a Villa Madama, il nuovo accordo, che vede la luce dopo un lungo e travagliato processo di revisione del Concordato iniziato nel 1967. L'esplicito richiamo nelle premesse ai principi sanciti dalla Costituzione e alle dichiarazioni del concilio ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti tra la Chiesa e la comunità politica segna l'avvio di una felice fase di intesa e di preziosa collaborazione tra la Repubblica Italiana e lo Stato della Città del Vaticano. Ne sono prova gli scambi di visite ufficiali ai vertici più alti.
Da presidente del Senato mi preme citare in particolare, la visita del Santo Padre Giovanni Paolo II al Parlamento in seduta comune a Montecitorio e, più recentemente, la presenza, ormai tradizionale, del cardinale segretario di Stato al concerto di Natale in Senato.
Nel rinnovare i ringraziamenti a coloro che hanno permesso l'ideazione e l'allestimento della mostra, al termine di questo anno di celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia auguro che essa possa dare un contributo importante ai cittadini che la visiteranno, e specialmente ai giovani, per la comprensione della storia dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa.
(©L'Osservatore Romano 9 marzo 2012)
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6 commenti:
armonia crescente? ma se hanno deciso di tassare immobili della Chiesa e si discute di estendere l´orario di apertura anche alla domenica. Non parliamo poi della politica pro-famiglia (ironia!) di questo governo.
Ma dove vive card. Bertone?
Quindi i rapporti "per lungo tratto difficili e conflittuali" tra Italia e Santa Sede aspettavano solo il passare del tempo per giungere a un'idilliaca armonia.
Il Cardinale non sa, o meglio non vuole sapere, che la Questione Romana era considerata INSOLUBILE da entrambi i versanti e in sede internazionale. Sa il Cardinale che l'intero quartiere Prati di Roma, accanto al Vaticano, fu costruito ai primi del '900 senza chiese, con toponomastica che celebrava una presunta civiltà politico-giuridica antipapalina (Cola di Rienzo, Cavour, Libertà, Risorgimento...) e in modo tale che da NESSUN PUNTO si vedesse la Cupola di San Pietro?
Dulcis in fundo, i 150 anni dell' "Osservatore", fondato in funzione antipiemontese, diventano "felicemente coincidenti" con i 150 anni dell'annessione della Penisola degli Italioti (sottosviluppati catto-africano-mediterranei) al Piemonte.
Questo sono i Salesiani piemontesi postconciliari, o meglio "trasformati" nel Post-concilio, data l'età del Cardinale
non solo il quartiere Prati,un' altra buona parte dell bellissima città costruita nei secoli dai papi,che almeno disponevano di notebole gusto estetico,ma per costruire l'orribile altare della patria,venne rasa al suolo una buona parte di costruzioni sicuramente meglio di quello scempio,poi venne via della Conciliaziovne ed altro vulnus e così scempio dopo scempio siamo qua a celebrare un'occupazione militare,violenta ed ingiustificabile di uno stato sovrano,riconosciuto da tutto il mondo e i cui sudditi mai e poi mai si sognarono di ribellarsi al loro re.......
Il quale "re", caro Anonimo delle 10:03, si considerava e si comportava come luogotenente dell'Apostolo Pietro nel gestire un ampio territorio frutto di donazioni successive.
Questo per dire che lo Stato Pontificio non aveva quasi nulla dello "Stato" come pensato e attuato dai rivoluzionari francesi e dai loro continuatori piemontesi.
Ai confini con il Regno di Napoli, si parlava comunemente di "Petricoli" (abitanti del "Patrimonium Sancti Petri") e "Regnicoli" (abitanti del "Regno" per antonomasia).
sì,Andrea,ma per l'Europa era uno stato politico a tutti gli effetti,la mia non era una critica al papa re,come nei film cdi Magni,era solo per far capire che aveva giurisdizione politica a tutti gli effetti.Dei francopiemontesi ne abbiamo tutti fatto le spese...e adezsso se ne colgono i frutti.GR2
Sentivo oggi un conferenziere ripetere il concetto che l'irrefrenabile "voglia" massonica di sopprimere lo Stato Pontificio scaturisce dal fatto che esso realizzava visibilmente la Regalità Sociale di Nostro Signore.
Dal 1929, il nuovo Stato Pontificio (SCV), di cui il Papa è Sovrano assoluto, realizza lo stesso inestimabile valore; di conseguenza, anch'esso, per certe persone, dev'essere minato e abbattuto.
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