lunedì 26 marzo 2012

Padre Lombardi: primo bilancio del viaggio in Messico e l'attesa a Cuba

Padre Lombardi: primo bilancio del viaggio in Messico e l'attesa a Cuba

Per un primo bilancio del viaggio del Papa in Messico e sull’attesa della tappa a Cuba, ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Giancarlo La Vella:

R. - Certamente come centro del messaggio (in Messico) c’è stato un invito alla speranza per un popolo che ha delle sue difficoltà e delle sue sofferenze per i motivi che ben conosciamo. Quindi le parole di incoraggiamento e di speranza del Papa sono quelle che resteranno più profondamente nel cuore. Quello che, però, mi sembra anche un risultato molto evidente è l’incontro con il popolo messicano: questo incontro è riuscito in profondità e in grande gioia e serenità. Abbiamo avuto - un po’ come ci immaginavamo, perché ricordavamo bene i viaggi precedenti di Giovanni Paolo II - le centinaia di migliaia di persone lungo le strade, milioni di persone mettendo tutti insieme i momenti di questa visita. Pensiamo alla moltitudine della Messa; una Messa estremamente festosa, bella, in un ambiente assolutamente meraviglioso. Una celebrazione, quindi, di una gioiosità e di una serenità e di una intensità di preghiera difficilmente prevedibile, e direi veramente, veramente e straordinariamente bella; un momento di grande grazia. Quindi intorno all’Eucaristia si è consumato l’incontro tra un Papa che veniva per rispondere ad una attesa, che sapeva molto viva, di un popolo che ama il Papa e che nella sua tradizione ha fortemente questo legame spirituale anche con la Sede di Pietro; un popolo che lo aveva invitato e che sentiva molto il desiderio di vederlo, avendo fatta tanta esperienza di presenza del suo predecessore e quindi sentendo il Successore di Pietro come presente anche fisicamente nella sua storia. Il Papa sapeva che c’era questa attesa ed è venuto incontro a questa attesa portando un suo messaggio chiaro, semplice, essenziale, ma centrale di speranza e di conforto: quindi fede e speranza che possano rinnovare il cuore e rinnovare la vita della persona e della società. Da parte del popolo messicano direi che si è avuto proprio quello che esso si attendeva e cioè anche la conoscenza personale del Papa Benedetto XVI, perché per la gran parte dei messicani l’immagine del Papa rimaneva naturalmente collegata a Giovanni Paolo II e quindi la figura del Papa, del successore, era certamente forte nella fede, ma non così viva nell’immaginazione, nella conoscenza personale se non per i pellegrini che potevano averlo incontrato a Roma o in altri luoghi. Invece lo hanno avuto! Lo hanno avuto nel loro Paese, lo hanno avuto nel cuore del loro Paese, lo hanno avuto per un tempo breve, ma in situazioni in cui ha potuto manifestare pienamente la sua spiritualità, il suo modo di parlare, di esprimersi, la sua gentilezza, la sua vicinanza alle singole persone che incontrava lungo la strada, anche nei piccoli momenti di incontro con i bambini, con i malati, con gli anziani. Ecco quindi che i messicani hanno conosciuto e incontrato il Papa Benedetto XVI. Questo è un risultato estremamente importante che, in qualche modo, completa quello che è il ricevere il suo messaggio, i contenuti del suo messaggio, e lo spirito con cui egli lo ha portato. Ora questo messaggio lo possono connettere anche alla figura concreta di chi lo ha annunciato.

D. - Lei parlava del proverbiale entusiasmo, dell’allegria di questo popolo: è un modo di vivere la fede, direi anche in modo profondo. Come ha vissuto questo il Papa?

R. - Sì, il Papa si è appellato a queste radici profonde della fede dei messicani. Allo stesso tempo, come sempre, il Papa invita a non fermarsi sugli allori, ma anzi a rendersi conto anche dei problemi e delle difficoltà che la fede vive nel nostro tempo e anche qui in Messico, perché i problemi della secolarizzazione, i problemi della diffusione delle sette, i problemi dello scoraggiamento che vengono dalla violenza o dall’inganno della droga sono molto presenti e ci sono famiglie che non sanno come educare i loro figli. Quindi i problemi ci sono. La fede ha delle radici profonde, ma devono essere continuamente vivificate e bisogna trovare il modo per aiutare questa fede a tradursi continuamente in pratica, anche nell’azione quotidiana, nell’impegno quotidiano. A questo il Papa ha fatto numerosi riferimenti, sia parlando al popolo direttamente, sia poi parlando anche ai vescovi nell’incontro nella cattedrale di León, perché la Chiesa è fatta, anche nelle sue diverse dimensioni, di diverse responsabilità e quindi chi nella Chiesa porta una responsabilità di guida e di magistero deve essere sempre attento affinché la fede venga fatta crescere nella sua completezza. Il Papa ha lanciato un “Anno della Fede”, parla di nuova evangelizzazione, con la Conferenza di Aparecida - che si era svolta con la presenza del Papa in Brasile anni fa - ha lanciato la “missione continentale” nell’America Latina: questi sono tutti modi per alimentare una fede che rimanga profonda e che, però, continui ad arricchirsi e ad essere capace di esprimersi, che sia consapevole anche delle sfide del mondo di oggi e non sia fatta di puro sentimento, perché questo può essere uno dei rischi anche della fede in questi Paesi, in cui il cuore, il sentimento è molto vivo, ma non deve essere una dimensione esclusiva della religiosità.

D. - In questo senso dal Messico parte un messaggio che non vuole essere solo indirizzato a questo popolo, ma a tutte le Americhe e, forse, anche oltre: una sorta quasi di ponte con la prossima tappa di questo 23.mo viaggio, che è Cuba…

R. - Di per sé la presenza in Messico aveva proprio intenzionalmente un significato continentale. E questo lo si è visto anche con la presenza dei presidente delle Conferenze episcopali di tutto il continente latinoamericano e anche dell’America del Nord, che ha pure partecipato e si è fatto pure presente. Il messaggio dal Messico voleva guardare a tutto il continente, appellandosi anche al bicentenario dell’indipendenza che questi Paesi festeggiano e che quindi rappresenta un momento storico importante per ravvivare le proprie radici, la propria vocazione, il proprio senso di dignità come popoli e avere la Chiesa con sé in questo momento come elemento positivo e costruttivo. Il viaggio a Cuba si pone anche in questo contesto, naturalmente, ma non ci si può però negare che la situazione di Cuba e la sua storia del secolo passato hanno una specificità, anche per l’esperienza che la Chiesa vi ha passato, per le difficoltà che vi ha passato anche quando il regime l’ha privata di tante delle sue attività in decenni passati. Diciamo quindi che la Chiesa in Cuba si trova in una situazione di rinascita se vogliamo, di nuovo sviluppo e nuovo contributo positivo a una società che anche si sente in una fase di transizione e che guarda al futuro nonostante le difficoltà che vive. Quindi direi che il viaggio a Cuba certamente si pone nel contesto latinoamericano più ampio per tanti aspetti, però ha delle sue innegabili specificità a cui il Papa certamente farà riferimento nei suoi discorsi e nella sua presenza.

D. - Per concludere, se dovessimo portarci nel cuore una fotografia, un’immagine di questo viaggio, quale potrebbe essere?

R. - Io onestamente devo dire che l’Eucaristia nel Parco del Bicentenario - a mio avviso - è stata la più bella, anche come ambiente e come contesto, che io ricordi del Pontificato di Benedetto XVI. Sarà difficile dimenticare questa celebrazione eucaristica che poi è proprio un po’ come il culmine dell’incontro per una visione di fede, perché è nell’Eucaristia che ci si incontra e qui il Papa si è incontrato con il popolo messicano nella fede, intorno alla tavola dell’Eucaristia e poi col Santuario e con la grande statua del Cristo Re che si vedeva nello sfondo e che benediceva. Ecco per me sarà difficile trovare un’altra immagine, anche se ce ne sono tante bellissime come l’incontro con i bambini…. Ma questa credo che rimarrà veramente un po’ il centro, il cuore, il culmine di questo viaggio in Messico. (mg)

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