Le sfide di «Témoignage chrétien»
Per farsi ascoltare da tutti
Lucetta Scaraffia
La cultura cattolica sta conducendo ardue battaglie sul piano morale e bioetico, per di più dalla difficili posizione di chi vuole proporre le proprie soluzioni come valide per tutti, credenti e non credenti. Una battaglia, questa, in cui sono indispensabili molte e valide ragioni, senza limitarsi a una ripetizione autoreferenziale dei documenti delle istituzioni cattoliche: naturalmente questo è compito degli intellettuali laici.
Compito non facile, di cui si ha un esempio interessante nei redattori e collaboratori della rivista cattolica francese «Témoignage chrétien», che affrontano, quasi in ogni numero, un problema attuale, spesso di tipo bioetico, scoprendo nuovi argomenti di discussione che contribuiscono ad ampliare il dibattito e a rafforzare il punto di vista cattolico sul tema.
Basta uno sguardo agli ultimi numeri per rendersene conto: in novembre un dossier sull’eugenetica intitolato Il grande ritorno porta nuovi dati sulla pratica eugenetica ancora in corso in vari Paesi. Nel cuore dell’Europa, ad esempio, si sterilizzano forzatamente le donne rom, così come nel Perú di Fujimori sono state sterilizzate le donne delle minoranze etniche. Per di più, questo avviene spesso in condizioni igieniche deplorevoli, e con metodi che — pur ufficialmente definiti volontari — sono in realtà coercitivi.
Ma una sorpresa ancora più forte è offerta dalla Francia, dove per molti anni si è praticata la sterilizzazione forzata delle donne handicappate: solo nel 1966 furono sterilizzate 211 donne handicappate o in gravi difficoltà sociali. Dopo la legge del 2001 che regola questa operazione, subordinandola al giudice tutelare, questi casi sembra siano scesi a una decina all’anno. Naturalmente la rivista non dimentica di segnalare che una vera e propria strage eugenetica viene realizzata sugli embrioni e sui feti imperfetti o differenti dal sesso desiderato. Per cui, se nei Paesi orientali prevale la selezione sessuale — i maschi sono preferiti alle femmine — in occidente si seleziona il neonato sano, senza limitarsi alle malattie più gravi. Nel Regno Unito, ad esempio, si selezionano i feti anche per non avere figli affetti da strabismo.
«Témoignage chrétien» ha denunciato, in un numero successivo, la doppiezza degli ecologisti: da una parte, pronti a combattere ogni manipolazione vegetale o animale, dall’altra indulgenti nei confronti di quelle verso gli esseri umani, per paura di essere assimilati alle religioni. Come se i problemi relativi alle manipolazioni tecno-scientifiche dell’essere umano fossero solo problemi religiosi. Ma gli ecologisti desiderano essere considerati progressisti, e quindi accettano che, per quanto riguarda gli esseri umani, in nome della libertà individuale e della ricerca sia necessario andare nel senso delle innovazioni tecnologiche. In fondo, conclude il dossier della rivista, la sinistra pare sottomessa a una vera e propria religione del progresso che la trascina ad accettare ogni scoperta tecnologica sugli esseri umani, e così il mondo dell’etica ambientale rimane separato e incomunicabile da quello dell’etica umana.
La riflessione sulla tecnica è approfondita anche da un dossier speciale sul pensatore Jacques Ellul, intellettuale fertile e originale, fervente protestante, che ha sviluppato una critica alla cultura tecnica per molti versi profetica già negli anni sessanta del Novecento. Ellul descrive la tecnica come un sistema che funziona in maniera automatica e autonoma, un sistema in cui l’essere umano non ha possibilità di scelta. Non si possono accettare alcuni aspetti e non altri; i danni all’ambiente — scrive — non sono errori del sistema tecnico, ma il sistema stesso. E invoca quindi un ripensamento sulla cultura tecnica nel suo complesso, invece di procedere con una risposta a ciascun problema che essa provoca. Si tratta di una proposta molto interessante, che potrebbe aprire un nuovo dibattito intellettuale.
In marzo è infine stato pubblicato un dossier sul gender: se il modo di porre il problema, volutamente neutro e pronto ad accogliere anche il punto di vista di chi difende l’uso di questo concetto, solleva questioni interessanti, come la constatazione che solo i cattolici parlano di “teoria del gender”, mentre gli altri si attestano sul più neutro “studi di genere”. Il dossier però — molto aperto all’uso del gender, se pure non nel senso estremo della polemica femminista — dimentica di considerare punti di vista critici anche laici, come quello della filosofa francese Sylviane Agacinski, che difende la necessità di pensare la differenza naturale dei sessi e soprattutto ricorda che, anche se in passato è stata la differenza naturale fra i sessi che ha potuto legittimare l’ineguaglianza femminile, non è negando questa differenza che si può conquistare l’uguaglianza.
Si tratta in ogni caso di una discussione libera e creativa, che cerca di uscire dagli irrigidimenti teorici per suggerire nuove possibilità di lavoro intellettuale, per rafforzare la cultura cattolica e renderla sempre più convincente e credibile anche per chi cattolico non è.
(©L'Osservatore Romano 17 marzo 2012)
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