venerdì 16 marzo 2012

Intelligenza collettiva. Nel prossimo numero della «Civiltà Cattolica» (O.R.)

Nel prossimo numero della «Civiltà Cattolica»

Intelligenza collettiva

La diffusione delle tecnologie digitali permette alle persone di rimanere «connesse», di aprire cioè con immediatezza e gratuitamente canali di comunicazione senza barriere o distanze: è da questa consapevolezza che parte Antonio Spadaro, sul numero in uscita de «La Civiltà Cattolica», nell'articolo Le sfide dell'“intelligenza collettiva”.
«L'intelligenza interconnessa -- scrive il direttore della rivista dei gesuiti -- ha fatto immaginare a qualcuno la prospettiva di un corpo unico che, vivendo di connessioni fitte, si esprime come unità pensante, intelligente. Il maggior teorico di tale visione è il filosofo francese Pierre Lévy, con il suo libro L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio. Leggendolo però, prosegue Spadaro, «ci si rende conto che le radici del suo pensiero sono molto antiche. L'intelligenza collettiva realizzata dalle Reti ha infatti una radice esplicitamente teologica di origine medievale. Lévy costruisce la sua teoria di comprensione dell'intelligenza in Rete basandosi sulla teologia neoplatonica dei filosofi islamici dell'xi secolo quali Al-Fârâbi e Ibn Sina, conosciuto come Avicenna. Essi hanno posto al cuore della loro antropologia l'idea di un'intelligenza unica e separata, identica per tutto il genere umano, e che dunque può essere considerata un intelletto comune, una coscienza collettiva. L'intelletto comune in tale quadro è concepito come congiunzione tra Dio e gli uomini».
Ebbene, Lévy si fa ispirare da questa visione «e la ribalta, operando una conversione dal trascendente all'immanente, dalla teologia all'antropologia. Invertendo i termini dello schema, Dio si tramuta in una possibilità aperta per il divenire umano, il mondo angelico o celeste diviene la regione dei mondi virtuali attraverso i quali gli esseri umani si costituiscono in “intellettuali collettivi”».
«Nei ragionamenti di Lévy -- prosegue Spadaro -- è attiva una sfida. Come pensare una intelligenza comune tra gli uomini? La soluzione da lui adottata è l'adozione dello schema teologico neoplatonico islamico, perché esso gli sembrava adatto a fornire categorie di pensiero. La sua strategia è stata quella di capovolgerne la natura teologica per farla diventare antropologica e sociologica fino a esiti di carattere marxista. Uno dei problemi maggiori dello schema è il ruolo della singola persona all'interno del sistema. La sfida è dunque la seguente: sarà possibile pensare a una forma di intelligenza comune senza che essa diventi «collettiva» in modo tale da assumere i tratti di una utopia collettivistica e spersonalizzante?». Derrik De Kerckhove «ha cercato di integrare l'approccio del suo amico Lévy, preferendo la definizione di “intelligenza connettiva” a quella “collettiva”, valorizzando la prassi, l'apertura alla connessione, piuttosto che la dimensione collettivista. Ma la sfida resta aperta».
Spadaro conclude quindi citando il vescovo di Ratisbona Gerhard Ludwig Müller: «Nell'ottica della costituzione Gaudium et spes del concilio Vaticano II, internet è un'eccellente possibilità per mettere in rilievo la responsabilità della Chiesa nella formazione di una cultura umana collettiva, per la quale la società odierna, con la sua rete di connessioni internazionali -- globali -- fornisce del resto degli ottimi presupposti».

(©L'Osservatore Romano 16 marzo 2012)

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