domenica 25 marzo 2012

Grande festa della fede. All'arrivo a Guanajuato il Papa accolto dal calore del popolo messicano (Ponzi)

All'arrivo a Guanajuato il Papa accolto dal calore del popolo messicano

Grande festa della fede

dal nostro inviato Mario Ponzi

Un primato il Messico lo ha già conquistato: trentacinque chilometri di gente schierata dall'uscita dell'aeroporto internazionale di Guanajuato -- dove Benedetto XVI è giunto alle 16.o8 di venerdì 23 marzo -- sino al collegio Miraflores, a León, dove si trova la sua residenza in questa prima tappa del nuovo viaggio apostolico. Non si era mai visto prima, né qui né in alcun'altra città del Paese e, probabilmente, del mondo.
Dunque un popolo in festa quello che ha accolto Joseph Ratzinger. E non poteva essere diversamente. Il viaggio del Papa per la gente di Guanajuato ha avuto il sapore particolare di un'antica promessa mantenuta. Il perché l'ha spiegato il Pontefice stesso appena messo piede nella regione, centro geografico dell'esteso Paese latinoamericano. «Il mio venerato predecessore -- ha detto subito dopo i rituali ringraziamenti -- avrebbe desiderato tanto venire in questi luoghi, già durante il suo primo viaggio». Il riferimento era a Giovanni Paolo II, il quale, nonostante le sue cinque visite al popolo messicano, non poté mai realizzare il suo sogno di fermarsi nella terra dominata dalla grande statua del Cristo Re del Cubilete, alla cui ombra è cresciuta la popolazione forse più devota dell'intera nazione. Egli poté solo benedire il popolo di Guanajuato mentre ne sorvolava in aereo il territorio. Fu una benedizione telegrafica, nel vero senso della parola: in quell'occasione inviò un messaggio dall'aereo. La gente si accontentò, dovette accontentarsi. Ma nel cuore restò un sogno.
Oggi Benedetto XVI realizza quel sogno e fa eco a Papa Wojtyła benedicendo e incoraggiando la popolazione. Sono bastate poche parole per ricreare il clima di quella forte, secolare sintonia che lega il successore di Pietro e il popolo messicano.
L'aereo con a bordo il Pontefice è atterrato mentre a Roma e nel resto d'Europa era già tarda serata. Sette le ore di differenza tra i fusi orari. Consueto il cerimoniale dell'arrivo: il nunzio apostolico, arcivescovo Christophe Pierre, è salito sull'aereo a dare il primo benvenuto al Papa; ai piedi della scaletta il presidente della Repubblica federale, Felipe Calderón, con la consorte; i presuli locali guidati dall'arcivescovo di León, José Guadalupe Martín Rábago, e quelli, numerosissimi, dell'intera America latina (l'incontro con loro è previsto per sabato sera in cattedrale); a seguire le autorità.
L'entusiasmo è esploso non appena il Papa è apparso in cima alla scaletta. Erano state allestite due grandi tribune, gremite da centinaia di persone, giovani soprattutto. Due bambini si sono avvicinati con due ciotole piene della loro terra. Il Papa le ha benedette; poi, mentre accompagnato dal presidente si avvicinava al palco predisposto per la cerimonia di benvenuto, tutt'intorno si è accesa la prima scintilla di una grande festa che -- c'è da prevederlo -- si protrarrà per tutte le giornate del Pontefice in Messico. Lo slogan lanciato per lui, sul ritmo del famoso: Juan Pablo secundo te quiere todo el mundo, stavolta è Benedicto hermano, ya eres mexicano. Lo hanno gridato a perdifiato finché hanno potuto. Se è vero che gli ingredienti di queste feste sono più o meno sempre gli stessi, è anche vero che i messicani sono unici nell'arte di imprimere alle loro manifestazioni una marcia in più. Ne sono rimaste visibilmente impressionate le persone del seguito papale. Forse il meno sorpreso era il cardinale Lozano Barragán, messicano purosangue, il quale conosce bene il temperamento della sua gente. Oltre al porporato nativo di Toluca, accompagnano il Papa in questo nuovo pellegrinaggio internazionale i cardinali Tarcisio Bertone, segretario di Stato, Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina, Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum; gli arcivescovi Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.
Articolato il discorso del presidente, il quale ha espresso soddisfazione per la presenza del Pontefice e ha illustrato per sommi capi la situazione del Paese «sconvolto -- ha detto -- dalla violenza della criminalità organizzata» e le attese per il futuro. Il Papa, in risposta, ha spiegato il motivo del viaggio: oltreché abbracciare il popolo messicano, con la sua presenza vuole unirsi simbolicamente a tutti i Paesi dell'America latina, che celebrano il bicentenario dell'indipendenza. Non una celebrazione sterile e fine a sé stessa, ma punto di partenza per una nuova stagione «di convivenza rispettosa e pacifica -- ha auspicato -- basata sull'ineguagliabile dignità di tutta la persona umana». Una dignità, ha aggiunto, che si esprime «in maniera principale nel diritto fondamentale alla libertà religiosa, nel suo senso più genuino e nella sua piena integrità». Tema, questo, di grande attualità in Messico, anche per il dibattito scaturito dopo l'approvazione, nel dicembre scorso, da parte della Camera dei deputati, di un progetto di riforma dell'articolo 24 della Costituzione (all'esame ora del Senato) che prevede una più ampia libertà religiosa nel Paese.
Infine, Benedetto XVI ha accennato alla situazione di difficoltà che vive il Messico, ostaggio dei gruppi criminali più violenti. Ha invitato a deporre antiche e nuove rivalità e ogni forma di risentimento che conduce alla violenza, per guardare al futuro con una nuova speranza.
La violenza, spesso fomentata anche da forze estranee al Paese, rischia in effetti di impedire il cammino del Messico verso quel progresso che gli consentirebbe di conquistare un ruolo importante nello scacchiere internazionale. Le risorse messe in campo per contrastare il fenomeno sono ingenti ma sembrano ancora insufficienti. Le carceri sono stracolme e la detenzione non riesce a esercitare una funzione deterrente. Anzi, spesso i penitenziari diventano teatro di nuove forme di violenza. A soli pochi giorni dall'arrivo del Papa, nella struttura detentiva di Monterrey è scoppiata una rissa gigantesca che ha lasciato sul campo ben quarantaquattro morti. Comprensibile dunque il fragoroso applauso che ha sottolineato le parole di Benedetto XVI.
Concluso il rituale di benvenuto, partenza per León, la città dello Stato di Guanajuato che ospita il Papa. Il nome ufficiale è León de los Aldama. Situata a 1880 metri sul livello del mare, è stata fondata nel 1576 dai colonizzatori spagnoli.
È certo che su quella terra ora sorge una città che ha saputo conquistare nel tempo i vertici della società messicana.
Un recente studio pubblicato da «The Financial Times» la colloca oggi tra le prime cinque metropoli messicane. Conta circa un milione e mezzo di abitanti. Una cifra che non le rende giustizia, almeno a giudicare dalla folla che si è accalcata su ogni metro quadrato di spazio dal quale è stato possibile vedere il passaggio del lungo corteo papale diretto al collegio Miraflores, dove Benedetto XVI ha trascorso la sua prima notte in terra messicana.
Intorno all'edificio già sono appostate piccole orchestrine, pronte a svegliare, al mattino il Papa con le tradizionali mananitas. Una consuetudine irrinunciabile nel carnet dell'ospitalità delle genti messicane.

(©L'Osservatore Romano 25 marzo 2012)

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