Il «Gesù di Nazaret» di Benedetto XVI
Oggi come a Emmaus
Anticipiamo un breve stralcio dell’intervento che il cardinale arcivescovo di Milano terrà giovedì 9 febbraio a Roma, all’Auditorium Conciliazione, nella giornata di apertura dell’incontro «Gesù nostro contemporaneo» organizzato (fino all’11 febbraio) dal Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana.
Angelo Scola
«Il racconto circa i discepoli di Emmaus (cfr. Luca, 24, 13-35) descrive il cammino fatto insieme, la conversazione nella comune ricerca, come un processo in cui il buio delle anime pian piano si rischiara grazie all’accompagnamento di Gesù (cfr. v. 15). Si rende evidente che Mosè e i Profeti, che “tutte le Scritture” avevano parlato degli eventi di questa passione (cfr. v. 26s): l’“assurdità” si rivela ora nel suo profondo significato. Nell’avvenimento apparentemente privo di senso si è in realtà schiuso il vero senso del cammino umano; il senso ha riportato la vittoria sulla potenza della distruzione e del male» (Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret ii, pp. 227-228).
Un avvenimento che non si poteva prevedere illumina tutte le Scritture. I due discepoli lo riconoscono. Sperimentano una sorprendente corrispondenza tra il rimprovero di Gesù e la loro ragione (per l’antropologia ebraica il “cuore”): «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Luca, 24, 32).
L’episodio di Emmaus previene il rischio, sempre incombente, di una riduzione intellettualistica dell’interpretazione. È il gesto “sacramentale” di Gesù, lo spezzare il pane, quello che apre gli occhi ai discepoli che possono così riconoscerlo (cfr. Luca, 24, 31). Oggi, come allora, la testimonianza della risurrezione di Gesù ci raggiunge in «gesti e parole intrinsecamente unite». Per la potenza dello Spirito, a noi oggi accade di fare la stessa esperienza dei due di Emmaus, attraverso parole vere e gesti sacramentali che in modo efficace realizzano quello che significano.
La contemporaneità eucaristica del Risorto all’umana libertà, assicurata sacramentalmente nell’Eucaristia per l’opera dello Spirito, è espressione della novità della risurrezione, da non confondere mai con la mera sopravvivenza. Infatti, come afferma Ratzinger - Benedetto XVI, «potremmo considerare la risurrezione quasi come una specie di radicale salto di qualità in cui si dischiude una nuova dimensione della vita, dell’essere uomini» (Gesù di Nazaret ii, 303). Si comprende, allora, perché la Chiesa, fin dall’inizio, parli dell’Eucaristia come pignus futurae gloriae e perché l’abbia sempre considerata come la “testimonianza” per eccellenza della presenza di Cristo in mezzo a noi.
Il cuore di ogni uomo di ogni tempo e luogo, per quanto confuso possa essere il suo incedere lungo la strada della vita, grida il bisogno di salvezza. Che enigma mai sono io che ora sono, ieri non ero e domani non sarò? Ogni uomo, magari nelle più profonde e poco sondabili fibre del suo essere, invoca un Salvatore. Ma la questione delle questioni è che può salvare solo uno che sia vittorioso per sempre sulla morte e che nel presente si relazioni gratuitamente con me.
L’ha intuito Kafka in una celebre lettera a Milena: «Lei continuamente impara a proprie spese che si può salvare un altro soltanto mediante la propria esistenza» (Lettera a Milena, 31 luglio 1920).
Gesù il crocifisso risorto, colui che ha affermato «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Giovanni, 10,30), ha il potere di salvarmi, di liberarmi dal peccato e dalla morte perché continua ad offrirsi tangibilmente alla libertà di ogni uomo attraverso la sua Chiesa con la consolante promessa: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Matteo, 18, 20).
Egli è il contemporaneo Salvatore che ci raggiunge qui e ora, e nel presente ci fa pregustare l’eterno.
(©L'Osservatore Romano 9 febbraio 2012)
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