Alla fine la luce
Essere ''adulti nella fede'' per vincere ''la sporcizia del male''
“La grande sofferenza della Chiesa di oggi, nell’Europa e nell’Occidente, è la mancanza di vocazioni sacerdotali. Ma il Signore chiama sempre, manca l’ascolto”. Lo ha detto il Papa, che nell’incontro odierno con i parroci di Roma, nell’Aula Paolo VI, ha tenuto la sua “lectio” interamente a braccio, prendendo spunto dalla lettera di san Paolo agli Efesini e ricordando che “siamo entrati nella porta della Quaresima” per dirigerci verso un anno speciale per la Chiesa: l’Anno della fede, che comincerà ad ottobre. “Noi che abbiamo ascoltato la Sua voce – ha detto Benedetto XVI a proposito della vocazione sacerdotale – dobbiamo essere attenti alla voce del Signore anche per altri, aiutare gli altri perché la voce del Signore sia ascoltata”. La vocazione cristiana, per san Paolo, è una “chiamata alla speranza”, che “non è solo una chiamata individuale, un cammino isolato”, ma è “un cammino verso il futuro, verso il rinnovamento del mondo”. Per il cristiano, ha spiegato Benedetto XVI, “la chiamata implica l’ecclesialità”. “Essere fedeli alla chiamata del Signore – le parole del Santo Padre – implica scoprire questo ‘noi’ per il quale siamo chiamati”. “Andare insieme e realizzare le virtù necessarie”: con questo binomio il Santo Padre ha sintetizzato la vocazione del cristiano, e del sacerdote in particolare, soffermandosi su “alcune virtù” che costituiscono gli “elementi dell’andare insieme”.
Umiltà e mitezza. Soffermandosi su alcune “virtù” essenziali per il sacerdote, il Santo Padre ha citato innanzitutto l’umiltà, che “nel catalogo delle virtù pre-cristiane non appare: è una virtù nuova, la virtù della sequela di Cristo”. “Seguire Cristo – ha spiegato – vuol dire entrare nel cammino dell’umiltà”, il cui contrario è “la superbia, radice di tutti i peccati”. Quella superbia “che è arroganza, che vuole soprattutto il potere, l’apparenza, l’apparire negli occhi degli altri”: in sintesi, “è l’io superbo al centro del mondo”. Di qui l’invito a “superare questa tentazione del peccato originale”, per “essere veri, sinceri, realisti”. Altra virtù necessaria, la mitezza, che “non vuol dire debolezza”, ha precisato il Papa: “Posso anche essere duro, se necessario, ma sempre con un cuore buono”, perché sicuro “della promessa di Dio che la mitezza è più forte della violenza”.
Superare l’analfabetismo religioso. “Il grande problema della Chiesa attuale è la mancanza di conoscenza della fede, l’analfabetismo religioso”, come hanno detto i cardinali venerdì scorso, riunendosi in vista del Concistoro. Il Papa ai parroci di Roma ha quindi chiesto di “fare il possibile per un rinnovamento della catechesi, perché Dio sia conosciuto e così Cristo sia conosciuto, la verità sia conosciuta e cresca l’unità nella verità”. “Rinnoviamo il Concilio solo rinnovando i contenuti del Catechismo della Chiesa cattolica”, ha detto Benedetto XVI riferendosi all’Anno della fede. La fede è una “scelta personale”, ha ricordato il Papa, ma ha anche “un contenuto”: “Appropriamoci di nuovo di questo contenuto, come ricchezza dell’unità, non come un pacchetto di dogmi”. La divisione tra i cristiani “distrugge l’unità, distrugge la speranza, rende invisibile il volto di Dio”. Al contrario, la fede cristiana nel Dio trinitario mostra che “l’unità di Dio è speranza, perché ci garantisce che alla fine non c’è dualismo tra poteri diversi, contrastanti”.
Il vero potere. “Alla fine non rimane il capo del drago che si potrebbe levare contro Dio. Non rimane la sporcizia del male, del peccato. Alla fine rimane solo la luce”. Con queste immagini il Papa ha ricordato ai parroci di Roma che “Dio è unico, non c’è altro potere contro di Lui”. “Sappiamo che oggi, con questi mali sempre più crescenti – le parole del Pontefice – molti dubitano dell’onnipotenza di Dio”. Anche “diversi teologi, anche buoni, dicono che Dio non sarebbe onnipotente”. “Ma non è il modo giusto”, l’obiezione del Papa: “Se rimangono altri poteri, non è veramente Dio, e non è speranza, perché alla fine rimarrebbe il potere del male”. “Dio è onnipotente”, ha ripetuto Benedetto XVI: “Certo – ha ammesso – nella storia si è dato un limite della sua onnipotenza riconoscendo la nostra libertà, ma alla fine tutto ritorna e non rimane altro potere. Questa è la speranza cristiana”.
La vera emancipazione. Oggi quello che manca è l’“essere adulti nella fede”. Al contrario, ciò che domina è una certa “fanciullezza spirituale” che porta i cristiani a una “dipendenza dalle onde del mondo” e da alcune forme di “dittatura”, come quella dei mezzi di comunicazione di massa. È l’analisi del Papa, che ai parroci di Roma ha confessato che, anche a livello di fede, “purtroppo viviamo in una fanciullezza spirituale”, in quanto molto spesso “oltre la prima catechesi non si è più andati avanti”. Oggi, ha osservato Benedetto XVI, si fa un “alto uso” dell’espressione “fede adulta”, ma come “emancipazione dal magistero della Chiesa”. Il risultato di questo tipo di “emancipazione” – ha spiegato il Papa – “non è però la fede adulta, ma la dipendenza dalle onde del mondo, dalle opinioni del mondo, dalla dittatura dei mezzi di comunicazione di massa, dall’opinione che tutti pensano e vogliono”. Per il cristiano, ha ammonito il Santo Padre, “non è vera emancipazione quella dalla comunione al corpo di Cristo: è, al contrario, una ricaduta sotto la cultura del mondo”. “La vera emancipazione – ha esclamato il Santo Padre – è liberarsi da questa dittatura”, vivendo nella “libertà dei figli di Dio che credono insieme nel corpo di Cristo, con il Risorto, e vedono così la realtà e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo”.
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