Vaticano/ Informatico a processo: Incastrato da denuncia anonima
Avvocato del co-imputato: Con maggiordomo non "grande" amicizia
Città del Vaticano, 5 nov. (TMNews)
Ritiene di essere stato incastrato da una "informativa anonima" concepita nella segreteria di Stato.
Prende le distanze dal maggiordomo del Papa. E sottolinea la sua "dedizione" alla Santa Sede.
Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico del Vaticano, il secondo - e ultimo - imputato del caso 'Vatileaks', si è espresso così, per bocca del suo avvocato, nel processo aperto oggi nel tribunale vaticano.
E' accusato di favoreggiamento nei confronti di Paolo Gabriele nell'ambito della vicenda del furto di documenti riservati del Papa. Ma la sua difesa sostiene che va prosciolto perché non ha intralciato le indagini come sostiene l'accusa.
Dopo la mattinata di oggi, dedicata all'esame delle eccezioni presentate dall'avvocato Gianluca Benedetti, il processo proseguirà - e forse si concluderà - sabato prossimo, dopo le testimonianze di cinque testi tra i quali lo stesso Paolo Gabriele.
Sciarpelletti, cittadino italiano, era stato arrestato in Vaticano per una notte il 25 maggio, due giorni dopo l'arresto dell'ex assistente di Camera del Pontefice. La notizia non è però trapelata sino al momento del rinvio a giudizio dei due indagati, lo scorso 13 agosto. Il suo caso è stato stralciato e separato da quello del maggiordomo il 29 settembre alla prima udienza, per essere ripreso oggi dopo la conclusione del sinodo sulla 'nuova evangelizzazione'. L'informatico era stato trovato in possesso di una busta con alcuni documenti sensibili, ossia - ha precisato durante il primo processo il suo legale - una "corrispondenza mail" e un "libello inqualificabile". La requisitoria del 'promotore di giustizia' (pm) Nicola Picardi ha rivelato che si tratta di "una relazione dal titolo 'Napoleone in Vaticano' riprodotta da Gianluigi Nuzzi nel volume 'Sua Santità'". Il capitolo del libro di Nuzzi racconta di una misteriosa vicenda relativa ad un'auto dei gendarmi vaticani crivellata di colpi di arma da fuoco in territorio italiano, si focalizza sulla figura del comandante della gendarmeria, Domenico Giani, e si conclude con una ricostruzione che solleva la questione del "conflitto di interessi" in cui incorrerebbe, per le sue attività in Italia, un gendarme, Gianluca Gauzzi Broccoletti.
"In un primo momento - è sempre la ricostruzione del pm - Sciarpelletti aveva affermato che la busta (con timbro a secco sul retro della segreteria di Stato ufficio Informazioni e documentazioni) gli era stata consegnata da Paolo Gabriele. Poi ha rettificato dicendo che gli era invece stata consegnata da un monsignore - coperto per omissis dalla lettera W - con lo scopo di recapitarla a Paolo Gabriele. In un terzo momento ha dichiarato: "Mi ricordo, solo ora, di aver ricevuto una busta simile, sempre chiusa, con apposti alcuni timbri..., di cui ignoro il contenuto, da parte di X'. Il fatto che si sia contraddetto tre volte, per il legale del tecnico informatico, va però ascritto ad uno "stato emotivo" particolare dovuto all'arresto. L'avvocato ha poi delineato, già oggi, una linea difensiva che punta a dimostrare che il suo assistito non era "grande amico" del maggiordomo del Papa e, pertanto, non ha agito con comportamenti che si configurano come "favoreggiamento" nei suoi confronti.
"Tutto parte - ha rivelato oggi il legale del tecnico informatico della segreteria di Stato - da un anonimo, un ufficiale della segreteria di Stato mi par di capire, che parla di frequenti contatti tra Paolo Gabriele e il mio assistito. Da qui si passa a una supposta amicizia" tra Claudio Sciarpelletti e Paolo Gabriele. Tale "informativa", secondo l'avvocato Benedetti, regge un impianto accusatorio che la difesa ha provato a smontare, spingendosi a prospettare l'annullamento della sentenza di rinvio a giudizio. "Altrimenti tutto si basa su una informativa viziata anonima che parla di frequenti contatti tra i due e io non potrei dimostrare che non ci sono stati questi contatti?", ha domandato l'avvocato di Sciarpelletti. Che, per sostanziare la sua tesi, ha messo in questione lo stesso capo d'accusa del favoreggiamento ("Su cosa si forma la prova esattamente?") e sottolineando che se favoreggiamento vi è stato, è stato "personale" (teso a proteggere la persona di Paolo Gabriele) e non "reale" (finalizzato a nascondere corpi di reato); ha sottolineato che il suo assistito ha avuto un atteggiamento "collaborativo" con gendarmi e guardie svizzere al momento della perquisizione in cui è stata rinvenuta la busta incriminata; e ha sottolineato che tra i due imputati vi era "amicizia", sì, ma non "grande amicizia". Per cui, "che motivazione aveva di ostacolare la giustizia se questo signore (Paolo Gabriele, ndr) non era suo amico?". Ancora: "Il mio assistito - ha detto - mette a repentaglio 20 anni di servizio alla Santa Sede per aiutare una persona considerata amica solo perché si danno del 'tu'?".
A riprova di questa amicizia poco consistente - che contraddice, almeno parzialmente, quanto inizialmente dichiarato da Sciarpelletti dopo l'arresto - l'avvocato Benedetti ha anche citato il caso del "computer" di Paolo Gabriele. Claudio Sciarpelletti "ha sostituito i computer obsoleti" della Santa Sede negli ultimi sei anni, ma "se ci fosse stata amicizia e confidenza - ha domandato - come mai l'unico computer che non viene sostituito mai è quello di Paolo Gabriele, che si rifiuta di far sostituire il suo computer nonostante sia obsoleto?".
Per dimostrare le reali intenzioni del suo assistito, l'avvocato Benedetti ha chiesto che vengano assunte nel processo una serie di prove documentali e testimonianze.
Il pm ('procuratore di giustizia') Nicola Picardi ha espresso parere negativo su diverse richieste. Dopo una camera di consiglio di cinquanta minuti, i giudici - il presidente, Giuseppe Dalla Torre, e i giudici Paolo Papanti-Pelletier e Venerando Marano - hanno ammesso, oltre a diversi stralci di testimonianze precedentemente raccolte dagli inquirenti, il "fascicolo personale" che la segreteria di Stato conserva su Sciarpelletti. Respinti, invece, la proposta di nullità del rinvio a giudizio, nonché la richiesta di acquisire scambio di e-mail e telefonate tra Sciarpelletti e Gabriele, e una serie di quesiti che l'avvocato Benedetti avrebbe voluto porre al suo assistito (tra gli altri, la circostanza, già emersa nel primo processo, che il maggiordomo del Papa chiese all'informatico informazioni su Enzo Vangeli, e Luca Catano, personaggio quest'utlimo che affermava di interessarsi di vicende della gendarmeria vaticana).
Il processo, durato oggi dalle 9.15 alle 11.05 compreso il periodo della camera di consiglio, è stato aggiornato a sabato mattina. Presente già oggi un 'pool' di otto giornalisti, bandite però telecamere, macchine fotografiche e registratori audio. In quell'occasione saranno ascoltati i cinque testimoni previsti: lo stesso maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, il maggiore della Guardia svizzera, William Kloter, il comandante della gendarmeria vaticana, Domenico Giani (oggi assente perché impegnato al convegno di Interpol a Roma) e il gendarme Gauzzi Broccoletti. Prevista inoltre la testimonianza di mons. Carlo Polvani, responsabile informazione della segreteria di Stato vaticana (nel pubblico oggi era presente la madre) nonché nipote di quel mons. Carlo Maria Viganò che, oggi nunzio apostolico negli Stati Uniti, contestò l'anno scorso la decisione del cardinale Tarcisio Bertone di allontanarlo dalla segreteria del governatorato vaticano con lettere di denuncia della corruzione vaticana che finirono sui giornali italiani e costituirono l'antefatto del caso Vatileaks.
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