venerdì 17 febbraio 2012

L’uomo religioso. Julien Ries e il centro della ricerca antropologica (Scaraffia)

Julien Ries e il centro della ricerca antropologica

L’uomo religioso

Lucetta Scaraffia

Julien Ries ha reso un servizio importante alla Chiesa cattolica: riportare la ricerca antropologica al suo senso originario, quello della ricerca sulla natura umana.
A partire da Durkheim, infatti, e con un processo che ha trovato il suo culmine in Lévi-Strauss, l’antropologia ha rinunciato a porsi le domande fondamentali sull’uomo per diventare un’appendice dell’etnologia o della sociologia, scienze legate al comportamento e alla ricostruzione di sistemi culturali, evitando spesso e volentieri l’approfondimento messo in moto dalle grandi domande esistenziali relative alla natura dell’essere umano.
Così, studiare solo i meccanismi, le strutture, senza domandarsi mai chi è l’autore di miti e riti, che cosa questi muovano nella profondità della psiche, è diventato abituale in una concezione dell’essere umano esclusivamente materiale, quale quella sostenuta da Lévi-Strauss.
Julien Ries invece, con un lavoro immenso e continuativo, ha riportato la ricerca antropologica al suo centro, facendo chiarezza sulla natura dell’essere umano. Ha così studiato i segni culturali del suo passaggio, con una particolare attenzione alla dimensione religiosa, per lui strettamente connaturata all’essenza dell’umanità. I risultati della sua imponente ricerca sull’homo religiosus, infatti, portano a confermare che esiste una radice culturale comune al genere umano: «Tutte le culture del mondo — scrive Ries in Symbole, mythe et rite. Constantes du sacré (appena pubblicato da Les Éditions du Cerf) — sono creazioni le cui radici affondano nell’immaginazione simbolica. La creatività dello spirito umano (artistica, poetica, letteraria, architettonica) è basata su questa funzione biologica del simbolo». E per Ries si tratta della radice che accomuna tutti gli uomini nella ricerca di una trascendenza, di un Altro con il quale costruire un’alleanza. Significa ricerca di un’esperienza religiosa, che è intuizione dell’Infinito divino nel finito, dell’eterno nel mortale.
Inserendosi con grande consapevolezza scientifica nella tradizione degli studiosi delle religioni, da cui eredita modelli di ricerca e forme interpretative — con una particolare riconoscenza nei confronti di Mircea Eliade e di Rudolf Otto — Ries ricostruisce, attraverso un immenso lavoro di comparazione, le caratteristiche comuni allo studio del contatto con il sacro delle diverse culture e religioni, e in questo modo conferma la tensione al divino che permea ogni essere umano e lo spinge alla ricerca e alla creatività artistica. Dio diventa reale per l’uomo solo attraverso un atto di fede, ma la sua presenza si coglie attraverso l’insieme simbolico del sacro — a cominciare da quello naturale, come la luce — e dalla percezione del mistero. L’essere umano come costruttore di mondi simbolici è stato il centro del suo interesse, espanso nel tempo e nello spazio con incursioni nella storia — sin dalle ere primordiali — e nella infinita diversità delle tradizioni religiose. Ma questo senza mai perdere il centro, cioè il suo guardare alla ricerca da un punto di vista cristiano, che traspare con chiarezza e sobrietà dalle sue analisi, che non cadono mai in una facile apologetica. Incantato davanti all’uomo primitivo che vedeva Dio nelle stelle, ma anche aperto a leggere la storia del rapporto dell’essere umano con Dio attraverso i miti, testimoniato dalla creazione di un vocabolario apposito per narrarli.
Dentro e fuori la storia, quindi, come l’homo religiosus stesso, e proprio per questo capace di farci capire come «i riti religiosi sono essenzialmente delle consacrazioni che hanno per funzione principale quella di far partecipare la condizione umana a un principio che la supera e che la fonda: fare penetrare la potenza numinosa nell’ordine umano».

(©L'Osservatore Romano 17 febbraio 2012)

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