L'Unzione degli infermi non è un "Sacramento minore": riflessione sul Messaggio del Papa per la Giornata del malato
L’Unzione degli infermi non sia ritenuta un “un Sacramento minore”. L’affermazione di Benedetto XVI è contenuta nel suo ultimo Messaggio per la Giornata del malato. Il Papa pone in primo piano un gesto sacramentale ancora oggi avvolto troppo spesso, anche fra i cristiani, da un superstizioso senso di rifiuto. Alessandro De Carolis ne ha parlato con Fra Marco Fabello, direttore generale del Centro dei Fatebenefratelli di Brescia, una delle strutture dell’antico Ordine ospedaliero fondato da San Giovanni di Dio:
R. – Credo che, finalmente, ci sia una presa importante di posizione sul significato di questo Sacramento, che è ancora così poco “vissuto” dalle persone ed è ancora ritenuto un fatto, per molti aspetti, scaramantico, intendendo con ciò dire che molti malati e molti familiari non lo vogliono e lo vogliono solo quando il malato non è più in grado di capire. Invece, pensare al Sacramento dell’Unzione dei malati come a un farmaco, a un medicinale che aiuta, a un fatto terapeutico non solo dello spirito ma anche del corpo, credo sia davvero un dono molto grande, che andrebbe spiegato e prospettato ai parenti, ai familiari e ai malati con molta convinzione.
D. – Il vostro è un Ordine molto antico. Che cosa degli insegnamenti del vostro fondatore, San Giovanni di Dio, vi orienta con attualità nella vostra missione?
R. – Credo che il processo di umanizzazione che porta alla fede sia fondamentalmente ciò che più ci muove. Considerare il malato persona a tutti gli effetti, e non un qualcosa da guarire, vuol dire appunto camminare insieme tra corpo e spirito e accompagnare la persona sia nella malattia fisica che nella sofferenza interiore e spirituale – cosa che, a volte, è più forte che non il dolore fisico ed è ciò che condiziona maggiormente la vita delle persone. Credo che questo sia molto sottovalutato soprattutto nella medicina di oggi, dove la premura, la fretta rendono la medicina, soprattutto la chirurgia, più simile forse a una “catena di montaggio” che non a delle vere azioni di umanità e di aiuto spirituale, interiore, psicologica, alle persone.
D. – Attualmente, dove operate nel mondo?
R. – Attualmente, operiamo in 51 nazioni nel mondo, in tutti i continenti: le ultime presenze sono in Croazia, in Cina. Abbiamo una ventina di strutture sanitarie molto impegnative in Africa, siamo presenti anche in Asia. Ma, probabilmente, non è il numero delle strutture che conta di più, quanto piuttosto – pur venendo meno in modo notevole il numero dei religiosi – l’idea dell’ospitalità continua, anche con il contributo di altre persone, i nostri collaboratori. Un’idea che noi tutti vorremmo racchiudere in uno slogan nel quale crediamo quando definiamo le nostre realtà l’“essere la famiglia di San Giovanni di Dio”. (ap)
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