L'impensabile vicinanza
Dio e l'uomo nell'omelia di Benedetto XVI oggi a Santa Sabina (Sir)
La Liturgia del Mercoledì delle Ceneri è un “invito alla penitenza, all’umiltà, ad avere presente la propria condizione mortale, ma non per finire nella disperazione, bensì per accogliere, proprio in questa nostra mortalità, l’impensabile vicinanza di Dio, che, oltre la morte, apre il passaggio alla risurrezione, al paradiso finalmente ritrovato”.
Lo ha ribadito Benedetto XVI nell’omelia del rito delle Ceneri presieduto questo pomeriggio nella basilica romana di Santa Sabina. Il Papa si è soffermato a riflettere “sul segno liturgico della cenere”, elemento “della natura, che diventa nella Liturgia un simbolo sacro, molto importante in questa giornata che dà inizio all’itinerario quaresimale”. Anticamente, nella cultura ebraica, spiega il Papa, “l’uso di cospargersi il capo di cenere come segno di penitenza era comune, abbinato spesso al vestirsi di sacco o di stracci. Per noi cristiani, invece, vi è quest’unico momento, che ha peraltro una notevole rilevanza rituale e spirituale”.
Il cosmo all’interno della Liturgia. La cenere, prosegue il Pontefice, “è uno di quei segni materiali che portano il cosmo all’interno della Liturgia. I principali sono evidentemente quelli dei Sacramenti: l’acqua, l’olio, il pane e il vino, che diventano vera e propria materia sacramentale, strumento attraverso cui si comunica la grazia di Cristo che giunge fino a noi”. Nel caso della cenere, precisa il Papa, “si tratta invece di un segno non sacramentale, ma pur sempre legato alla preghiera e alla santificazione del Popolo cristiano”. Due, fa notare, le “possibili formule” per la benedizione delle ceneri da imporre sul capo dei fedeli. Nella prima “esse sono definite ‘austero simbolo’”; nella seconda “s’invoca direttamente su di esse la benedizione e si fa riferimento al testo del Libro della Genesi, che può anche accompagnare il gesto dell’imposizione: ‘Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai’”.
Funzione “medicinale”. Questo passo, rammenta Benedetto XVI, “conclude il giudizio pronunciato da Dio dopo il peccato originale: Dio maledice il serpente, che ha fatto cadere nel peccato l’uomo e la donna; poi punisce la donna annunciandole i dolori del parto e una relazione sbilanciata con il marito; infine punisce l’uomo, gli annuncia la fatica nel lavorare e maledice il suolo”. Dunque, chiarisce il Pontefice, “l’uomo e la donna non sono maledetti direttamente come lo è invece il serpente, ma, a causa del peccato di Adamo, è maledetto il suolo, da cui egli era stato tratto”; di conseguenza la polvere con cui Dio aveva plasmato l’uomo. A causa del peccato, osserva Benedetto XVI, il simbolo della polvere subisce una “trasformazione negativa”. Da “potenzialità totalmente buona”, dopo la caduta e la conseguente maledizione divina “la polvere della terra non richiama più il gesto creatore di Dio, tutto aperto alla vita, ma diventa segno di un inesorabile destino di morte”. “È evidente nel testo biblico che la terra partecipa della sorte dell’uomo” ma, avverte il Pontefice citando san Giovanni Crisostomo, questa “maledizione del suolo ha una funzione ‘medicinale’” perché “l’intenzione di Dio, che è sempre benefica, è più profonda della sua stessa maledizione”.
Una via di salvezza. “Quando – prosegue Benedetto XVI – Egli dice all’uomo: ‘Polvere tu sei e in polvere tornerai!’, insieme con la giusta punizione intende anche annunciare una via di salvezza, che passerà proprio attraverso la terra, attraverso quella ‘polvere’, quella ‘carne’ che sarà assunta dal Verbo”. È in questa “prospettiva salvifica”, sostiene il Pontefice, “che la parola della Genesi viene ripresa dalla Liturgia del Mercoledì delle Ceneri”.
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