sabato 25 febbraio 2012

La via della bellezza per l'amicizia tra fede e arte (Kurt Koch)

Il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'Unità dei Cristiani inaugura una mostra a Sant'Anselmo all'Aventino

La via della bellezza per l'amicizia tra fede e arte

Viene inaugurata nel pomeriggio di venerdì 24 febbraio a Roma, nella badia primaziale di Sant'Anselmo all'Aventino, la mostra «Felix Culpa. Dalla colpa alla luce», nella quale vengono esposte, fino al prossimo 26 aprile, le quattordici stazioni della Via Crucis dipinte dalla giovane artista tedesca Vanessa von Wendt. Durante la cerimonia inaugurale, che si apre con il saluto dell'abate primate dei benedettini, dom Notker Wolf, il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'Unità dei Cristiani tiene la meditazione che pubblichiamo di seguito.

di Kurt Koch

«In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c'è realmente la presenza di Dio. C'è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l'incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim'ordine è, per sua essenza, religiosa». Queste parole della filosofa Simone Weil esprimono il motivo più profondo del legame inscindibile tra fede cristiana ed arte, come pure il nocciolo centrale del vernissage odierno delle quattordici Stazioni della Via Crucis di Vanessa von Wendt nella Badia Primaziale di Sant'Anselmo. È sempre bello sperimentare che il rapporto tra fede ed arte ha successo e si rivela un'amicizia. Quando ciò è possibile, dobbiamo essere grati, tanto più che tale relazione, lungi dall'essere priva di problemi, viene spesso interrotta a causa di ostacoli frapposti.
Questi ostacoli possono venire da entrambe le parti. Non si può né si deve tacere che anche la Chiesa ha frapposto ostacoli alla relazione tra fede ed arte: sia con la lotta iconoclasta, che fu provocata dall'imperatore Leone III nell'ottavo secolo, quando fece togliere con la forza la famosa icona di Cristo da sopra la porta principale del palazzo imperiale di Costantinopoli, e che divenne in seguito un movimento popolare, sia con l'atteggiamento iconofobo dei riformatori come pure con l'attacco contro le immagini che si è diffuso nella Chiesa romano-cattolica dopo il concilio Vaticano II e che è stato inteso da non pochi addirittura come il compito stesso del concilio. Se è vero da un lato che, in queste ondate iconoclaste, è stato possibile e in parte doveroso rimuovere molte immagini indegne e kitsch dal mondo religioso, è anche vero che tali ondate hanno lasciato dietro di sé un certo vuoto, la cui povertà non ha certamente ricondotto i cristiani al fulcro della fede.
La Chiesa cristiana è stata però ben consigliata quando, a partire dal secondo concilio di Nicea, che ha sancito l'importanza fondamentale e la legittimazione teologica delle immagini nella Chiesa, ha accordato alla rappresentazione figurativa uno spazio fondamentale nella Chiesa e nella sua liturgia. Con ciò, essa non solo ha approfondito lo stretto legame che esiste tra il mistero del Dio-uomo e la concezione dell'arte, ma ha anche evidenziato in maniera inequivocabile che il totale aniconismo non si può conciliare con la fede cristiana nell'incarnazione di Dio, come ha sottolineato Benedetto XVI in una delle sue precedenti pubblicazioni: «Dio, con il suo agire nella storia, è entrato nel nostro mondo sensibile, affinché il mondo potesse in trasparenza mostrarci Dio. Le immagini del bello, in cui si rende visibile il mistero del Dio invisibile, appartengono al culto cristiano». (Joseph Ratzinger Der Geist der Liturgie. Eine Einführung, Freiburg im Breisgau 2000, pg. 113).
In quanto abbiamo appena detto possiamo verosimilmente individuare il vero motivo per cui anche l'arte contemporanea ha creato ostacoli alla relazione tra arte e fede. L'arte contemporanea teme, nell'accentuazione della categoria della bellezza da parte della fede cristiana, un nuovo tipo di estetismo, che non ritrae più la realtà, così spesso segnata dal dolore e dalla sofferenza, ma che sfugge alla realtà per rifugiarsi in un mondo illusorio estetizzante e che, così facendo, rinnega la profonda gravità del Bello. Un simile estetismo viene giustamente respinto dall'arte moderna.
Con ciò non viene però respinta quella categoria del Bello difesa dalla fede cristiana. La fede cristiana non afferma una bellezza illusoria, seducente o addirittura ipocrita. Piuttosto, la fede cristiana ha portato nel mondo una radicale metamorfosi della bellezza, ravvisando nella figura del bel Figlio di Dio tratti molto diversi e perfino contrastanti: da un lato, la fede cristiana riconosce in Gesù Cristo tutta la bellezza di Dio e in lui la Chiesa primitiva ha visto la più profonda realizzazione del canto di lode rivolto al re d'Israele nel salmo 45: «Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre». Dall'altro lato, la fede ravvisa in Gesù Cristo il servo di Dio sofferente, di cui dice il profeta Isaia: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto» (53, 2b).
Gesù Cristo, la vera Icona di Dio, appare ai nostri occhi come «il più bello tra i figli dell'uomo», che però «non ha apparenza né bellezza». Chiarire come si possano e si debbano conciliare questi due aspetti è il serio compito che la fede cristiana affida alla teologia ma anche all'arte figurativa. Sul cammino che conduce ad una possibile risposta, può esserci d'aiuto un testo molto bello di sant'Agostino (In epistulam Ioannis ix, 9), nel quale egli paragona i due tratti di Cristo a due flauti che suonano in modo diverso, ma in cui soffia l'unico Spirito: «Suoni il primo: “Il più bello tra i figli degli uomini”; “Benché avesse la natura di Dio, non ritenne un geloso tesoro la sua uguaglianza con Dio” (Fil 2, 6). Ecco in che cosa sorpassa in bellezza tutti gli uomini. Suoni anche il secondo flauto: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi”: questo perché egli “annichilì se stesso, prendendo la natura di schiavo, divenendo simile agli uomini. All'aspetto trovato qual uomo” (2, 6-7)». Dall'armonia tra i due flauti traspare che la vera bellezza di Gesù Cristo risiede nella sua uguaglianza con Dio, alla quale egli rinuncia volontariamente e volontariamente diventa non bello. Si tratta qui senza dubbio di una forma del tutto nuova di bellezza, che non appartiene alla logica dei concorsi di bellezza del nostro mondo, ma in cui è riassunto il mistero centrale della fede cristiana, secondo cui è l'amore di Gesù Cristo per noi uomini che trasforma e trasfigura «l'uomo dei dolori, davanti al quale ci si copre la faccia» nel «più bello tra i figli dell'uomo»: «Cristo, l'amore crocifisso, è la bellezza che ci salva». (Bruno Forte, Dem Licht des Lebens folgen. Die Exerzitien des Papstes, Freiburg im Breisgau 2005, pg. 213).
Cristo è il più bello tra i figli dell'uomo proprio perché egli stesso ha rinunciato alla sua bellezza e si è spinto con il suo amore così in là da non aver più né bellezza né decoro. Rendere visibile questa bellezza diventata volontariamente non bella è il compito vero e proprio dell'arte religiosa, che incontriamo questa sera nel vernissage della Via Crucis di Vanessa von Wendt. La Via Crucis del Signore è infatti la migliore esemplificazione della bellezza fattasi volontariamente non bella; ed il tempo di penitenza quaresimale è quel tempo liturgico che ci invita e ci stimola a ripensare questa bellezza cristiana. La mostra della Via Crucis di Vanessa von Wendt durante il tempo quaresimale e il vernissage odierno nella badia primaziale di Sant'Anselmo sono i migliori presupposti affinché la relazione tra fede cristiana ed arte non rimanga soltanto esteriore, ma divenga un'intima amicizia.
Il più profondo fondamento dell'amicizia della Chiesa con il mondo dell'arte è la via della bellezza, quella via pulchritudinis di cui ha parlato Benedetto XVI durante il suo incontro con gli artisti nel novembre del 2009 nella Cappella Sistina, che può essere considerata proprio l'Eldorado Vaticano dell'arte religiosa. Dopo quanto è stato appena detto, possiamo iniziare anche a comprendere perché per Papa Benedetto XVI «l'unica vera apologia del cristianesimo» può effettivamente limitarsi a due argomenti, ovvero, da un lato, i santi che ha generato la Chiesa e, dall'altro, l'arte che è cresciuta nel suo grembo: «Il Signore è testimoniato in maniera più autentica dalla grandiosità della santità e dell'arte, sorte all'interno della comunità di fede, che dalle intelligenti scappatoie che, escogitate dall'apologetica per giustificare i lati oscuri, abbondano così tanto nella storia umana della Chiesa» (Joseph Ratzinger, Zur Lage des Glaubens. Ein Gespräch mit Vittorio Messori, München 1985, p. 134).
Sulla base di questa sobria visione, può continuare ad esserci una vera amicizia tra Chiesa e arte e proprio l'arte figurativa può offrire un prezioso aiuto alla necessaria nuova evangelizzazione del continente europeo ampiamente secolarizzato. Con un sincero ringraziamento all'artista Vanessa von Wendt, alla Badia Primaziale di Sant'Anselmo e alla Foundation Benedict, auguro alla mostra «Felix culpa» di aiutare molte persone a percorrere, in questo tempo quaresimale, il cammino «Dalla colpa alla luce», che è il senso più profondo del cammino della bellezza, sul quale fede ed arte si stringono la mano in amicizia.

(©L'Osservatore Romano 25 febbraio 2012)

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