Gesù rende visibile Dio
La relazione del teologo tedesco Klaus Berger
“L’Antico Testamento da una parte conosce il divieto di raffigurarsi Dio, dall’altra indica l’uomo, e soltanto l’uomo, come immagine di Dio. Quel che ne deriva è una feconda tensione” che consente “una nuova determinazione del rapporto fra Dio Padre – Cristo – Uomo”: ha esordito con queste parole il teologo tedesco Klaus Berger, primo relatore al convegno “Gesù nostro contemporaneo” aperto questo pomeriggio a Roma. Berger è docente di esegesi biblica al dipartimento di teologia protestante dell’Università di Heidelberg, e ha proposto una relazione su “Gesù mette fine all’invisibilità di Dio”. Riflettendo sulla “persona di Cristo”, Berger ha affermato: “Una persona non è la cosa più effimera che ci sia, fugace come un soffio o come una foglia in autunno. Questa è la pretesa di Gesù: Io sono colui che rimane”. Il richiamo della figura di Gesù è spiegato da Berger con il termine “amore”. “L’impiego così frequente delle parole ‘amare’ e ‘amore’ nel quarto Vangelo si spiega non da ultimo con il fatto che il Vangelo è la vera filo-sofia. Se la verità – ha aggiunto – è una persona, tutto sta nel rimanere, quanto più è possibile, a contatto stretto con questa persona. Questo contatto i Vangeli lo chiamano sequela, l’andare dietro a Gesù”.
Il concetto di persona. “Gesù mette fine all’invisibilità di Dio” quale titolo della relazione è stato poi chiarito da Berger con il pensiero che “in lui (Cristo) Dio ha un volto che diventa accessibile a noi uomini. Nessuno ha visto Dio, questo ripete il Prologo di Giovanni. Tuttavia noi possiamo conoscere Suo Figlio; possiamo farci, nel senso più vero della parola, un’immagine di chi è e di come è il Padre”. Il teologo tedesco ha sottolineato che riflettere su questa “somiglianza”, “non significa eliminare il divieto di farci immagini. Vale piuttosto ancora di più il fatto che non una materia morta, come la pietra, il metallo o il legno, può rappresentare Dio, ma, in modo esclusivo, un uomo vivente, il Figlio di Dio Gesù Cristo. “Per i cristiani la verità ha un nome: Dio. E il bene ha un volto: Gesù Cristo”, ha aggiunto, sottolineando che “dalla storia dei dogmi noi sappiamo quanto lo stesso concetto occidentale di persona sia stato plasmato attraverso l’immagine di Dio. L’antropologia filosofica fino alla scienza politica devono qui qualcosa di decisivo alla teologia”. Berger ha poi affermato che “il superamento del divieto di fare immagini attraverso Gesù Cristo ha come fine il fatto che i cristiani stessi divengano immagini. L’unica via realistica è che l’essere come Dio non lo raggiungiamo con la disubbidienza e la violenza, ma ce lo lasciamo donare”. Ne deriva che “la Chiesa è la comunità di quanti amano la stessa cosa”.
L’antico desiderio dell’uomo. L’“invisibilità” di Dio è vinta in Cristo – ha poi aggiunto il relatore – in quanto nella rivelazione si trova un “assunto fondamentale: ‘Essi saranno il mio popolo, io sarò il loro Dio’” che “viene completato con il passo: e io abiterò fra di essi, ossia abiterò fra di essi come un uomo, anzi, come l’uomo”. “Questo significa che il giudaismo pre-cristiano coltiva determinate attese, per quanto comparativamente nebulose, circa il definitivo rendersi visibile del Dio invisibile” e “alla fine gli uomini vengono liberati dalla invisibilità di Dio”. Berger ha quindi concluso che “attraverso Gesù Cristo noi possiamo nuovamente orientarci a come Dio è e agisce. Attraverso il battesimo e attraverso l’esempio di Gesù noi possiamo di nuovo divenire simili a Dio. Così tutti gli uomini possono divenire, a ragione, figli di Dio. In tal modo viene soddisfatto l’antico desiderio dell’uomo di essere come Dio”.
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