domenica 11 novembre 2012

Vatileaks, nella guerra dei dossier spunta un altro monsignore. Condannato il tecnico informatico: intralcio alla giustizia (Galeazzi)


Vatileaks, nella guerra dei dossier spunta un altro monsignore. 
Condannato il tecnico informatico: intralcio alla giustizia

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’ DEL VATICANO

In Curia lo scenario inquietante è quello di una guerra di dossier combattuta attraverso dipendenti laici «passacarte». 
L’aula è minuscola ma la tensione è estrema e mai quanto adesso gli occhi del mondo sono puntati sui misteri d’Oltretevere. Ieri, a sorpresa, Claudio Sciarpelletti, il tecnico informatico della Segreteria di Stato coinvolto in Vatileaks, è stato riconosciuto colpevole di «intralcio alla giustizia» e condannato a quattro mesi di detenzione. La pena è stata ridotta a due mesi e sospesa: la difesa presenterà appello.Se pochi avrebbero immaginato che anziché ricevere in tempi brevi la grazia dal Papa, Paolo Gabriele sarebbe stato riarrestato per scontare il suo anno e mezzo di pena, fino alla sentenza di ieri tutti avrebbero scommesso che il processo a Sciarpelletti sarebbe andato in una direzione precisa, cioè verso l’assoluzione. Infatti l’accusa rivolta all’informatico riguardava un singolo episodio, di portata minima: l’aver cambiato versione riguardo alla busta con documenti incriminanti trovata nella sua scrivania lo scorso 25 maggio durante una perquisizione nata da un esposto anonimo che indicava il tecnico come amico stretto del maggiordomo infedele del Pontefice. E invece, del tutto inattesa, è arrivata una nuova condanna che, pur mite nella sua misura, rappresenta un segnale preciso nella direzione imboccata con il riarresto di Gabriele. «Il male deve essere identificato come tale e va riparato, poi si può, e forse si deve, perdonare, non prima però di aver fatto chiarezza»,commenta il vaticanista Salvatore Izzo, fra i più autorevoli analisti di questioni ecclesiastiche.
I giudici vaticani sembrano dunque in sintonia con Benedetto XVI che ha promosso una campagna senza precedenti di purificazione e moralizzazione della Chiesa e non fa sconti ai sacerdoti e vescovi che hanno responsabilità in azioni scorrette. «Nello scandalo Vatileaks restano però ancora molti punti da chiarire e bisogna vedere se l’inchiesta (che continua per reati gravissimi come l’attentato alla sicurezza dello Stato) porterà ad altri processi»,evidenzia Izzo. Il promotore di giustizia ha fatto emergere dalle carte tutti i nomi che erano stati secretati, esponendo diverse personalità vaticane all’onta di gravi sospetti, ma il maggiordomo infedele del Papa ha salvato uno di loro che era stato tirato in ballo da Sciarpelletti come fonte dei documenti ritrovati: monsignor Carlo Maria Polvani. Ossia, il capo dell’ufficio informazione della Segreteria di Stato, nipote del nunzio a Washington Viganò le cui lettere di denuncia sulla corruzione nei Sacri Palazzi hanno avviato Vatileaks.Nel corso dell’udienza è spuntato il nome di un monsignore che avrebbe dato un’ulteriore busta a Sciarpelletti, oltre quella con l’intestazione «Personale P. Gabriele» trovata nel suo cassetto e che ha portato al rinvio a giudizio e alla condanna per le differenti versioni su chi gliel’aveva consegnata. Si tratta di monsignor Piero Pennacchini, ex vice direttore della sala stampa vaticana. È stato il pm Picardi a ricordare che nell’interrogatorio di Sciarpelletti del 29 maggio «era uscito il nome di Pennacchini » , poi la questione «era tramontata». L’informatico aveva dichiarato che la busta gli era stata consegnata da Polvani e di ricordarsi di aver ricevuto prima un’altra busta da Pennacchini destinata a Gabriele. Nel rinvio a giudizio Pennacchini fu coperto con la lettera «X», mentre con la lettera «W» veniva indicato Polvani.
«Diedi io a Sciarpelletti i documenti ma il timbro della Segreteria di Stato non l’ho messo io», ha testimoniato ieri Gabriele. Il 28 maggio , giorno in cui Sciarpelletti venne arrestato, fu lui stesso a dichiarare agli inquirenti di aver ricevuto la busta da Gabriele.
Il giorno successivo aveva cambiato versione, affermando che il materiale gli era stato consegnato da Polvani, che ieri in aula ha negato di far parte di una fronda contro Benedetto XVI: «Sono fedele al Papa e non un ammiratore di Che Guevara».
Svelato un nuovo nome «coperto» dell’inchiesta Vatileaks. Si tratta di monsignor Piero Pennacchini, già vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede nella gestione di Joaquin Navarro Valls. Attuale consigliere alla basilica papale di San Paolo e funzionario della Segreteria di Stato, lavora alla prima sezione come l’informatico Sciarpelletti e il prelato Polvani. 
È lui il «monsignor x» che nell’istruttoria è citato come una delle possibili fonti di documenti del tecnico amico del maggiordomo Paolo Gabriele, condannato il 6 ottobre per furto aggravato nell’appartamento pontificio.

© Copyright La Stampa, 11 novembre 2012

1 commento:

Anonimo ha detto...

Cara Raffaella, la verità si fa strada ed è certamente un merito di questo seguitissimo blog l'aver dato spazio ai commenti di Salvatore Izzo. I giornalisti vaticanisti più attenti se ne sono accorti: Giacomo Galezzi ormai non scrive più un articolo senza riportare ampi brani dei commenti e del giudizi espressi da Izzo, giustamente definito da Galeazzi uno dei più autorevoli analisti di questioni ecclesiastiche.