sabato 10 novembre 2012

Un avvocato al Vaticano II. Come Pierre Teilhard de Chardin trovò un appassionato difensore (O.R.)

Come Pierre Teilhard de Chardin trovò un appassionato difensore

Un avvocato al Vaticano II


Lo sforzo di Henri de Lubac per far conoscere il pensiero autentico dell'amico


di Éric de Moulins-Beaufort*


È noto che Henri de Lubac è stato un amico di Pierre Teilhard de Chardin. Dopo il loro primo incontro, Henri de Lubac fece subito parte dei corrispondenti di Teilhard e fu tra quelli a cui Teilhard teneva a far visita quando passava per Parigi. Teilhard sottoponeva a Lubac alcuni suoi testi, fiducioso nel suo parere di teologo, ma capitava che non fossero d'accordo. È per questo che Teilhard ha potuto qualificare Lubac come un “conservatore”, prigioniero di certe rappresentazioni classiche del tempo e dello spazio.

Durante tutto il periodo preparatorio del Vaticano II, e durante tutto quanto il suo svolgimento, Teilhard ha notevolmente occupato le menti, per lo meno nel mondo cattolico, sia quelle di chi lo riteneva una promessa, sia quelle di chi lo giudicava pericoloso. Lubac è stato considerato il suo avvocato autorizzato, e questo gli ha richiesto una multiforme attività, per difenderlo ma anche per liberarlo da erronee interpretazioni. Lubac, teologo, pur senza sentirsi teilhardiano, ha scoperto nel pensiero dell'amico ciò che avrebbe consentito alla Chiesa di trarre i migliori frutti dal concilio.
Se Lubac ha scritto molto su Teilhard, è perché aveva ricevuto dai quattro padri provinciali di Francia, approvati dal superiore generale della Compagnia di Gesù, l'incarico di esporre il pensiero del suo anziano confratello per liberarlo dalle erronee interpretazioni che cominciavano a proliferare. Era l'inizio dell'estate 1961. Ne è risultato un lavoro di quasi un decennio, del quale Lubac ha potuto dire che lo aveva molto assorbito e che non era sempre stato dei più affascinanti. Il primo libro, La Pensée religieuse du Père Teilhard de Chardin, fu scritto in pochi mesi e pubblicato nella primavera del 1962, poco prima dell'apertura del concilio.
Nel corso delle riunioni preparatorie, la Curia e, soprattutto, un certo numero di teologi “romani” erano ancora intenti a preparare un concilio classico di condanna delle opinioni pericolose per la fede, e Lubac, che vi prese parte, poté constatare quanto Teilhard fosse considerato il bersaglio ideale. Quelli che avevano preparato lo schema De deposito fidei, sul deposito della fede, o quello De ordine morali, ambedue respinti dai Padri conciliari, vi avevano inserito una condanna, certo non esplicita ma tuttavia chiara e determinata, del gesuita francese.
Henri de Lubac fu profondamente colpito nel constatare che il pensiero dell'amico veniva attaccato sulla base di alcuni testi brevi, tratti fuori da qualunque contesto, che non erano stati minimamente analizzati in modo serio, ed era preoccupato che i padri conciliari potessero pronunciare la condanna di un pensiero senza che fosse stato loro fornito alcun mezzo efficiente per darne una seria valutazione.
Nei Carnets du Concile, che contengono gli appunti di Lubac presi durante il periodo ante-conciliare e le prime sessioni, i riferimenti a Teilhard, relativi a incidenti o a discussioni a suo riguardo, sono sicuramente fra i più frequenti.Uno degli incidenti più seri, riferiti da Henri de Lubac, avvenne il 16 febbraio 1961, con ripercussioni fino alla vigilia del concilio. Lubac aveva preso la parola nella commissione ante-preparatoria per protestare contro monsignor Piolanti e il padre Dhanis, che avevano introdotto in uno schema una condanna di Teilhard. Padre Tromp, che presiedeva la commissione, si impegnò il 22 febbraio a limitare la cosa, ma il 26 settembre il testo stampato non conteneva, su questo punto, alcuna correzione.
La vicenda del Monitum fu un altro segno della volontà un po' ossessiva di certi ambienti romani di giungere a una condanna di Teilhard. Il libro di Lubac La Pensée religieuse du Père Pierre Teilhard de Chardin fu pubblicato nella primavera del 1962. Il suo scopo è di presentare le grandi strutture della riflessione di Teilhard, per dimostrare che egli sfugge a quasi tutte le critiche che gli vengono rivolte. Immediatamente alcuni circoli si misero in agitazione per ottenere una condanna del libro.
Secondo Lubac, Giovanni XXIII vi si oppose. Comunque, su «L'Osservatore Romano» del 1° luglio 1962, comparve un “avvertimento” (Monitum) datato 30 giugno. Era accompagnato da un articolo non firmato, procedura che indica, nel protocollo del quotidiano del Vaticano, l'approvazione dell'“autorità superiore”. L'”avvertimento” stesso informava che le opere di padre Teilhard avevano un grande successo, ma non erano esenti da “ambiguità, anzi da gravi errori, che intaccavano la dottrina cattolica»; e chiedeva perciò che le menti, specie dei giovani, fossero efficacemente difese da questi pericoli.
Di fatto il libro di Lubac vi dava un contributo, come pure le discussioni, pubbliche o private, gli articoli e le conferenze in cui si impegnava a dimostrare che il Monitum non aveva senso, e a porre in luce le assurdità o le approssimazioni, sulla cui base l'autore metteva in guardia contro Teilhard.
Quando si riunì il concilio, Lubac poté rapidamente constatare che l'opera dell'amico era ampiamente conosciuta in tutto il mondo. Nell'aula conciliare, in cui il caso di Teilhard venne più volte rievocato, come pure all'esterno, con chiunque vi fosse interessato, egli si è dedicato a difendere o a esporre con precisione il suo pensiero, in modo che ciascuno potesse rivedere il proprio giudizio sull'uomo e sulla sua opera.
Le citazioni pubbliche di Teilhard spuntarono soprattutto durante la discussione sullo schema XIII, futura costituzione Gaudium et spes. A modo di esempio, Lubac ebbe occasione di incontrare l'abate di Beuron, dom Benoît Deetz, che era intervenuto per lamentare che il concilio non definisse il mondo partendo dalla Scrittura, ma «secondo un vago teilhardismo», e riuscì a fargli vedere che l'autentico pensiero di Teilhard andava invece piuttosto nella sua direzione.
Un segnale che il clima riguardo a Teilhard, nel corso del concilio, stava cambiando, furono due conferenze, non private ma pubbliche, che Lubac fece su di lui a Roma: la prima ebbe luogo con l'autorizzazione del cardinale vicario di Roma e di fronte a parecchi vescovi, ma chi aveva preso l'iniziativa ricevette comunque un rimprovero; la seconda nell'ambito del congresso tomista internazionale, su esplicita richiesta di Paolo VI.
Il 5 ottobre 1964, durante la terza sessione, monsignor McGrath, vescovo di Panama, ritenendo, in una conversazione privata, che il nesso, affermato dal testo presentato, fra il lavoro umano e l'escatologia rimaneva troppo estrinseco, disse a Lubac «che nell'opera di Teilhard si sarebbero potute trovare, al riguardo, idee più precise». Da quel momento in poi, Lubac noterà regolarmente nei suoi Carnets il modo in cui il pensiero di Teilhard affrontava con precisione e con profondità le problematiche che il concilio andava trattando.
Lubac dovrà tuttavia dolersi del fatto che parlare di Teilhard sia per alcuni «un'occasione per dir male di Roma» o farà notare quanto Teilhard sfugga a un errore del genere, che circola in certi ambienti teologici: il 17 ottobre 1964, commentando un articolo di Schillebeckx nella rivista «Concilium» (La Chiesa e il mondo), scrive: «Mai (Teilhard) avrebbe detto che la rivelazione non fa altro che esplicitare il cristianesimo implicito del mondo profano».
È così che, mentre non smettono le accuse di certuni, che cioè Teilhard sia uno dei principali pensatori responsabili del “progressismo cristiano”, Lubac vede prender piede un utilizzo, che ritiene scorretto, degli scritti o dei pensieri dell'amico, arruolato, a prezzo di gravi deformazioni o mutilazioni della sua opera, nelle file di un secolarismo che non ha nulla di cristiano. Perciò, dopo il concilio, il lavoro di Henri de Lubac per l'amico seguirà tre direzioni: rispondere ad accuse ingiuste, che mettono in questione l'ortodossia della sua fede cristiana, collocando ognuno degli scritti nel suo contesto e nel suo genere letterario; liberare il pensiero autentico di Teilhard dalle letture secolarizzanti, facendo vedere la coerenza del suo pensiero, senza che si possa separare un'opera scientifica e filosofica dai suoi scritti religiosi o spirituali; mettere in rilievo gli assi portanti dello sforzo di pensiero di Teilhard, che possono e devono ispirare il pensiero cristiano nei decenni futuri.
Riportando le intuizioni di Teilhard nell'alveo della Tradizione della Chiesa, Lubac è ben persuaso di non edulcorarle o privarle della loro novità, recependole invece come Teilhard le ha concepite, e di garantire loro una maggiore fecondità per la vita della Chiesa.

*Vescovo ausiliare di Parigi


(©L'Osservatore Romano 10 novembre 2012)

4 commenti:

Andrea ha detto...

Teilhard non fu un precursore del "progressismo cristiano"; o meglio, lo fu nel senso filosofico fondamentale.
Cioè non gli interessava una Chiesa "rossa", ma una Chiesa senza Cristo, dedita a "costruire il meglio di quanto l'Umanità, in senso evoluzionistico, potesse dare nel campo religioso".
Ciò muoveva dalla sua adesione al panteismo: non Dio crea il mondo, ma il "Mondo" (come "Uno") si muove e si auto-genera per suo conto.

Il Papa ripete che l'Universo (non "Mondo") non è Caos? La Gregoriana e il Vescovo ausiliare di Parigi gli dicono (a Roma!) "Noi sappiamo benissimo che il Mondo è Caos Creatore"

Anonimo ha detto...

Quindi non solo bisogna "interpretare" i testi del Concilio alla luce della tradizione distinguendoli dalle "interpretazioni" che ne tradiscono il vero spirito (ma che sono state dominanti e l'hanno oscurato, tanto che il Papa invita a cestinare i testi sul Concilio per tornare alla lettera), ma anche si deve "interpretare" i testi panteistici ed evoluzionistici di Teilhard alla luce dell'ermeneutica di Lubac, per farne il faro del futuro. Non è per caso che la "teologia" di Teilhard è stata una delle cause delle cattive interpretazioni, della discontinuità e della rottura che il Papa chiede di archiviare definitivamente?

Caspita, non c'é che dire.
Se questo è il portato PASTORALE del Concilio Vaticano secondo, non dobbiamo avere più dubbi: si tratta che le pecore devono farsi tutte fini intellettuali, filosofi, ermeneuti. La Chiesa è cambiata: è un consesso di studiosi, non più di credenti (in che cosa poi?).

Scusate tanto, ma questo è proprio il modo per screditare definitivamente il Conciio Vaticano secondo agli occhi di tutti i cattolici che vogliono continuare ad essere tali. Mi annovero indegnamente tra questi e dico che sono stufo, basta con 'sto concilio!

Andrea ha detto...

Esattamente, caro Anonimo. L'atmosfera del consesso di "sapienti" (gravi, barbuti.. scalfariani) è l'opposto di quella della Casa di Famiglia, dove il primo posto spetta i bimbi, "i cui angeli vedono sempre il Volto del Padre Celeste".

Si tratta di un'atmosfera tipicamente veterotestamentaria, e protestantica.

Il Concilio non disse "fate i protestanti", ma non interpose delle condanne nette. Questo bastò, insieme all'atmosfera della "distensione" del secondo Dopoguerra e alla nuova contraccezione, a scatenare lo tsunami

Anonimo ha detto...

ambedue respinti dai Padri conciliari

i padri non respinsero un bel nulla...fun un piccolo manipolo a manipolare l'assempblea!