domenica 18 novembre 2012

Troppi attacchi al Vaticano. E i Gesuiti benedicono l'ira (Rodari)


Troppi attacchi al Vaticano 
E i gesuiti benedicono l'ira

di Paolo Rodari

In Vaticano c'è chi ci scherza su. Ma anche chi, pur sorridendo, la trova un'idea originale. Quale? Prendere alla lettera l'ultimo numero della Civiltà Cattolica, la prestigiosa rivista dei gesuiti italiani i cui testi vengono visionati in segreteria di Stato prima della pubblicazione, nel quale viene a sorpresa riabilitata l'ira, il vizio capitale che all'occorrenza può divenire «rabbia positiva», e sfogarsi contro i propri nemici. Ve ne sono tanti, di nemici. Chi ha alimentato e favorito l'esplodere di Vatileaks col suo danno d'immagine notevole contro il Papa e la governance vaticana; chi ha truffato l'ordine dei salesiani (per una questione di eredità «i salesiani rischiamo il crac», ha scritto il Corriere della Sera) e in particolare colui che Benedetto XVI si è scelto come suo fedele collaboratore nel 2006 e cioè il cardinale Tarcisio Bertone; e coloro, è anche questa cronaca degli ultimi giorni, che insistono nel dire che il Vaticano non paga l'Imu e descrivono i suoi monsignori come una sorta di casta di privilegiati.
La Civiltà Cattolica, diretta dal cyber teologo Antonio Spadaro, alza la palla, dunque. Spetta a Bertone e ai suoi uomini schiacciare. Beninteso: l'ira resta un vizio capitale, ma se usata e calibrata in un certo modo «è preziosa nella vita». Infatti, «la cosiddetta aggressività presenta uno spettro di sentimenti molto diversi ma estremamente collegati tra loro, come la rabbia e la tristezza. Esse vengono talvolta considerate moralmente negative, da eliminare o ignorare, mentre sono un aiuto prezioso per la vita umana. Entrambe hanno a che fare con la dimensione della speranza e della giustizia, indispensabili per la vita umana», sottolinea il padre gesuita Giovanni Cucci che ha scritto i suoi pensieri in un articolo dal titolo «L'aggressività: un male da evitare o un aiuto per la vita?». Già, perché occorre imparare a distinguere «tra rabbia e rabbia».
Civiltà Cattolica parla dell'ira anzitutto esaminandone i connotati psicologici e la sua possibile ricaduta sulla vita spirituale dell'uomo, mettendo in guardia dal pericolo, «oggi molto in voga, di confondere l'esperienza cristiana con la ricerca del benessere». Una prima e salutare osservazione basilare in questo campo, scrive la rivista, è di precisare che «la rabbia, come ogni sentimento ed emozione, non è in sé né buona né cattiva, perché appartiene alla natura stessa dell'uomo, legata alla tendenza a prendersi a cuore persone e situazioni». Come a dire: la fede in Cristo non è la pace dei sensi. È anche lotta, battaglia spirituale, croce. Del resto anche Cristo si scagliò, iroso, contro i mercanti del tempio. 
L'aggressività risulta inoltre importante, chiarisce il redattore della rivista della Compagnia di Gesù, per poter vivere: «Di fatto, è proprio essa a darci una mano quando siamo nei guai». L'aggressività, essendo una componente psichica, una «passione» secondo la classificazione degli antichi, è anteriore al livello morale, e dunque sarebbe inutile interrogarsi circa la sua eventuale bontà. «Le passioni sono dunque una forza da incanalare: se la direzione è buona, si compirà il bene; se invece è cattiva, il frutto sarà cattivo (...). È la scelta del soggetto a conferire connotazione morale alle passioni: egli se ne può servire per affrontare le difficoltà apostoliche di una missione, oppure per rapinare una banca». 
Lo stretto binomio tra aggressività-rabbia-speranza e depressione-disperazione-tristezza è «fondamentale per la vita umana, dal punto di vista psicologico, morale e spirituale. La convinzione di essere in grado di affrontare le difficoltà è, ad esempio, fondamentale per la stima di sé e per una migliore conduzione della propria vita, specie in situazioni di difficoltà estreme». La negazione della rabbia, dice la rivista, «non conduce certamente a una vita più posata e tranquilla, ma piuttosto a una situazione potenzialmente esplosiva; le emozioni si ribellano quando non vengono ascoltate, quando non trovano il loro posto adeguato. E le conseguenze possono essere ancora più distruttive, per sé come per gli altri».
Per i gesuiti una certa cultura «salutista», molto diffusa nel nostro tempo, rischia di creare gravi equivoci a questo proposito. Ci sono situazioni - le situazioni che anche Gesù stesso ha attraversato - in cui si nota che c'è in gioco qualcosa di più grande del benessere personale e della stessa vita fisica». L'importante è fissare dei paletti. «Il limite e la fragilità, anche se possono diventare motivo di sofferenza, non sono affatto qualcosa di negativo, da eliminare, ma costituiscono piuttosto il luogo della propria umanità».

© Copyright Il Giornale, 18 novembre 2012 consultabile online anche qui.

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