Intervento del cardinale Walter Kasper sul concilio Vaticano II
Non un mito né luoghi comuni a buon mercato
Salamanca, 19. «A cinquant'anni dal concilio Vaticano II (1962-2012)», è il titolo del congresso organizzato dalle Facoltà di Teologia di Spagna e Portogallo, che si è tenuto dal 15 al 17 novembre presso l'Auditorium Giovanni Paolo II della Pontificia Università di Salamanca. I lavori sono stati conclusi dall'intervento affidato al cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e intitolato «Ermeneutica e ricezione del concilio Vaticano II».
«Per la maggior parte dei contemporanei -- ha affermato il cardinale -- il concilio è storia passata, perché molti non hanno vissuto in modo consapevole quell'evento. Oggi, a cinquant'anni di distanza, viviamo in un tempo totalmente cambiato, globalizzato. L'ottimistica fede nel progresso si è volatilizzata da tempo». La nostra Chiesa però non sembra vivere quella tappa primaverile che apriva il concilio Vaticano II, ma in Europa si ha piuttosto l'impressione di vivere una fase invernale.
Il concilio costituisce un caso speciale nella storia conciliare, poiché «non fu convocato per una situazione di eresia o di scisma, né si proclamarono dogmi formali o misure disciplinari concrete». Esso rispose a «un tempo nuovo con un ottimismo che nasceva dalla fede in Dio, rifiutando i profeti di calamità e cercando un “aggiornamento”, un ammodernamento della Chiesa». Di fatto, ha sottolineato il cardinale, «l'intenzione era di tradurre nel linguaggio dei nostri giorni la fede tradizionale», e non cercare un semplice adeguamento ai tempi.
Il cardinale Kasper ha sottolineato che «in molti casi fu necessario trovare formule di compromesso per ottenere il consenso, e per questo i testi conciliari contengono un forte potenziale conflittuale. Il Vaticano II è un concilio di transizione, nel quale, senza rinunciare all'antico, si fa sentire un'aria di rinnovamento».
Il relatore ha poi illustrato le tre fasi della ricezione conciliare. La prima, troppo accesa dagli entusiasmi, vide la contestazione di alcuni settori ecclesiali. «Si produsse un esodo di molti sacerdoti e religiosi, un calo della pratica religiosa, e soprattutto dopo l'enciclica Humanae vitae, ingiustamente rifiutata, sorsero movimenti di protesta». Per questo alcuni critici considerano il concilio come una disgrazia nella storia recente della Chiesa. Ma «pensare che tutto ciò sia accaduto a causa del concilio è un errore».
Il sinodo del 1985, ha ricordato il cardinale Kasper, ebbe il compito di fare un bilancio dei vent'anni trascorsi dalla chiusura del concilio. «Si era consapevoli della crisi, ma non ci si volle unire al lamento critico. Si parlò invece di ambivalenza, riconoscendo, accanto agli aspetti negativi, i suoi numerosi frutti buoni, tra i quali il rinnovamento liturgico». E ha affermato: «La Chiesa di tutti i concili è la stessa».
In quanto alla riforma liturgica, «fu accolta con gratitudine dalla maggioranza dei partecipanti, anche se alcuni lo fecero in modo critico». Un'altra pietra miliare nel post-concilio fu il Codex iuris canonici del 1983, fatto pubblicare da Giovanni Paolo II come un «contributo al rinnovamento della vita della Chiesa». A tutto ciò bisogna aggiungere, secondo il relatore, i numerosi contributi del magistero ecclesiale.
Non mancano poi gli aspetti positivi. «I documenti conciliari -- ha ricordato il porporato -- non sono rimasti lettera morta, al contrario hanno determinato la vita nelle diocesi, nelle parrocchie e nelle comunità religiose, attraverso la liturgia, la spiritualità biblica e la partecipazione dei laici, oltre a promuovere il dialogo ecumenico e interreligioso. Inoltre, molti nuovi movimenti spirituali sorti in seguito, sono stati frutto del concilio, con la varietà dei carismi e la chiamata universale alla santità».
Il cardinale tedesco ha inoltre fatto riferimento ad alcuni temi problematici: «La collegialità dell'episcopato, la corresponsabilità dei laici nella missione della Chiesa, il ruolo delle Chiese locali sono stati sviluppati solo in parte». E la diversa comprensione della Chiesa comporta una diversa comprensione dell'unità, il che suscita una difficile varietà di atteggiamenti dinanzi al-l'ecumenismo. E un altro tema controverso è quello relativo al ruolo della donna nella Chiesa.
Dinanzi a tutto ciò, sorgono alcune domande e richieste di riforma. «Alcune -- afferma il cardinale -- sono degne di considerazione, come l'esigenza di trasparenza; altre, allontanandosi dalla Tradizione della Chiesa, come la richiesta dell'ordinazione delle donne, non sono accettabili». Ma il futuro della Chiesa non dipende da queste domande: «La Chiesa che s'ispira alle principali correnti sociali finirà con l'essere indifferente e, alla fine, inutile. Sarà attraente non se si adornerà con piume altrui, ma difendendo la sua causa in modo credibile, dimostrandosi coraggiosa e potente dinanzi alla critica della società». Questa «è l'occasione giusta per occuparsi nuovamente e a fondo dei testi del concilio, e per portarne alla luce le ricchezze».
Secondo il presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani «non bisogna fare un mito del concilio, e neppure ridurlo a un paio di luoghi comuni a buon mercato». È necessaria «un'ermeneutica conciliare, una presentazione ponderata». Il punto di partenza devono essere i testi del concilio, secondo le regole e i criteri riconosciuti. E l'interpretazione deve basarsi «sulla gerarchia di verità».
La Chiesa non è un'istituzione assolutista, ma, in quanto comunione, si costruisce essenzialmente sulla comunicazione. «Per questo, seguendo l'esempio del concilio apostolico di Gerusalemme, nei momenti difficili, i successori degli apostoli si riunirono per seguire un cammino comune. A Pietro spettò un ruolo particolare ed ebbe l'approvazione dell'intera comunità», ha puntualizzato il relatore. Quindi, «la ricezione è qualcosa che riguarda tutto il popolo di Dio».
Nell'ermeneutica «il consenso deve essere non solo sincronico, riferito alla Chiesa attuale, ma anche diacronico, riferito alla Chiesa di tutti i tempi, secondo il pensiero di Benedetto XVI. Per questo l'ermeneutica può essere della discontinuità o della rottura, o si può fare a partire dalla continuità o dalla riforma. Un rinnovamento della Chiesa all'interno della continuità». Nel processo della Tradizione «la novità di Gesù Cristo deve risplendere sempre nuova nella sua mai consumata novità, poiché Gesù Cristo risorto si fa presente nella Chiesa attraverso l'azione dello Spirito Santo».
Nell'ultima parte del suo intervento, il cardinale Kasper ha guardato al futuro. Ha parlato delle varie posizioni della post-modernità che ostacolano la vita e l'azione della Chiesa. «Non dobbiamo cadere in una comprensione fondamentalista della fede sospettosa della ragione o emozionale, ma ognuno di noi deve rendere conto della speranza che è in lui. Dobbiamo essere capaci di dialogare ricorrendo agli argomenti sulla nostra fede».
Il cardinale ha inoltre esaminato l'interrogativo su Dio, in una situazione molto diversa da quella affrontata dal concilio con il tema dell'ateismo. «Gli uomini che vivono al di fuori, nel cortile dei gentili, hanno altre domande: da dove vengo e dove vado, perché esisto, che senso ha la sofferenza e come posso liberarmene. La situazione presente esige dai responsabili della Chiesa che siano teologi, il cui compito è di parlare di Dio, e di tutto il resto in quanto relazionato con Dio». È questo, ha aggiunto, il programma proposto nel XIII secolo da san Tommaso d'Aquino. In Gesù Dio «si è rivelato come Dio con noi e per noi».
In occasione dell'anniversario conciliare, ha ricordato il cardinale Kasper, Benedetto XVI ha indetto l'Anno della fede perché «senza di essa, tutto il resto sarebbe letteralmente privo di consistenza». Le divisioni tra conservatori e progressisti «non forniscono alcun aiuto, e senza la fede, tutte le azioni finiscono nel vuoto. Abbiamo bisogno di una svolta teocentrica nella pastorale».
(©L'Osservatore Romano 19-20 novembre 2012)
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