giovedì 1 novembre 2012

Missione è anche saper riconoscere i segni. Il preposito generale della Compagnia di Gesù, Adolfo Nicolás Pachón, sul Sinodo dei vescovi (O.R.)

Il preposito generale della Compagnia di Gesù, Adolfo Nicolás Pachón, sul Sinodo dei vescovi

Missione è anche saper riconoscere i segni


«La realtà che ci circonda è diventata molto più complessa perché la possiamo affrontare individualmente, e la sfida originaria della nostra missione di servire le anime e la Chiesa continua e si sviluppa in intensità». 

Per questo, «l'invito ad approfondire la nostra fede proposto dal Papa può aiutarci a portare avanti una dimensione più profonda della nuova evangelizzazione». È quanto afferma il preposito generale della Compagnia di Gesù, Adolfo Nicolás Pachón, in un'intervista concessa al servizio d'informazione dei gesuiti a poche ore dalla conclusione del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione. Un'occasione per stilare un primo personale bilancio dell'evento ecclesiale, che lo ha avuto nel novero dei padri sinodali, e metterne così in evidenza le tante luci, come pure la sottolineatura di un cammino ancora da percorrere.
Tra gli «aspetti positivi», padre Nicolás cita l'ampia partecipazione e la rappresentatività geografica dei padri sinodali. 
«Uno dei migliori aspetti del Sinodo è il fatto stesso che i vescovi di tante nazioni hanno la possibilità di comunicare tra loro e scambiarsi liberamente le esperienze e il pensiero». Di qui anche la conoscenza di «iniziative originali in corso, specialmente quelle basate sui progetti di cooperazione, di lavoro in rete e di scambi a livello internazionale, nei quali sono coinvolti a fondo e impegnati i laici e i movimenti». E soprattutto, poi, la riflessione sui fondamenti, il significato e le dimensioni della nuova evangelizzazione come: «L'importanza e la necessità dell'esperienza religiosa (l'incontro con Cristo); l'urgenza di una buona formazione spirituale e intellettuale dei nuovi evangelizzatori; il ruolo centrale della famiglia (Chiesa domestica) come luogo privilegiato per la crescita nella fede; l'importanza della parrocchia e delle sue strutture che hanno bisogno di essere rinnovate per diventare sempre più aperte a un più vasto impegno e ministero dei laici; la priorità all'evangelizzazione piuttosto che all'espressione sacramentale».
Nella riflessione del padre generale dei gesuiti non mancano poi le osservazioni e gli stimoli che guardano al futuro. In particolare al ruolo dei laici e dei religiosi. In primo luogo, occorre più spazio perché la voce del popolo di Dio possa essere ascoltata. «È un Sinodo di vescovi e quindi non c'è molto spazio per la partecipazione dei laici, anche se sono stati invitati un certo numero di “esperti” e “osservatori” (auditores). Ciò mi ha fatto venire in mente l'affermazione di Steve Jobs che diceva di essere interessato ad ascoltare più la voce dei clienti piuttosto che quella dei produttori. E al Sinodo tutti siamo stati “produttori”». In secondo luogo, sulla necessità di una maggiore riflessione sulla prima evangelizzazione e in generale sulla storia dell'evangelizzazione nonché sul ruolo che in essa avuto i religiosi e le religiose. «Non che noi religiosi abbiamo bisogno di ulteriori affermazioni, ma intendo esprimere la mia preoccupazione per il fatto che la Chiesa rischia di perdere la sua stessa memoria».
Da parte del padre generale l'invito a purificare lo sguardo da quelle incrostazioni che impediscono di vedere i segni dell'opera di Dio anche al di fuori dei confini visibili della Chiesa. «Se i nostri occhi fossero aperti per vedere ciò che Dio opera nel popolo (nei popoli) saremmo capaci di vedere molta più santità attorno a noi e molti di noi sarebbero spinti a vivere la Vita di Dio in modi nuovi che forse sarebbero più adatti al nostro modo di essere o al modo in cui Dio vuole che siamo». In questo senso, aggiunge, «forse non siamo a nostro agio con un Dio delle sorprese, un Dio che non segue necessariamente la logica umana, un Dio che sa sempre tirare fuori il meglio dal cuore umano senza fare violenza alla tradizione culturale, alla religiosità del popolo semplice».


(©L'Osservatore Romano 1° novembre 2012)

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