martedì 20 novembre 2012

Liturgia e cultura. La globalizzazione sta cambiando la faccia del pianeta, comprese chiese e vita religiosa (Pecklers)

Il culto cristiano e le risposte alle sfide lanciate dalla postmodernità tra dialogo e critica

Liturgia e cultura


La globalizzazione sta cambiando la faccia del pianeta, comprese chiese e vita religiosa


di Keith F. Pecklers


Dagli anni Trenta del XX secolo, il nostro mondo ha subìto cambiamenti culturali radicali grazie al processo di globalizzazione. Cambiamenti si sono visti nell'arte, nell'architettura e nella musica, come nella letteratura, nella filosofia e nella teologia. Definiamo questa epoca «postmoderna».

Dal punto di vista architettonico, mentre il movimento moderno accentuava l'integrità organica e la funzionalità, l'architettura postmoderna punta sulla «multivalenza», miscelando varie forme e stili diversi, sottolineando la diversità e la pluriformità con un ibrido di disegni architettonici. Similmente, l'arte postmoderna rifiuta l'unità organica tipica della modernità e sostiene una miscela più eterogenea di forme, con preferenza per la giustapposizione di stili differenti e contraddittori. Indirettamente, tale giustapposizione mette in questione la tradizione e la validità di un singolo direttore artistico, sostenendo un mix eclettico di stili ed elementi disarmonici.
Il mondo della postmodernità può essere caratterizzato (così almeno fanno alcuni studiosi) come pessimistico, olistico, comunitario e pluralistico. Il pessimismo diventa la nota distintiva dell'epoca, in quanto sottolinea la fragilità umana e nega l'enfasi illuministica sull'ineluttabile progresso. L'olismo viene citato in questa descrizione come una negazione della razionalità e come un accogliere le emozioni e l'intuizione. La dimensione comunitaria nella postmodernità serve come correttivo dell'individualismo, così tipico della modernità, e sostiene una ricerca della verità fondata sulla comunità. Il pluralismo esprime la diversità delle tradizioni culturali e la corrispondente necessità di differenti verità, rappresentative di comunità differenti, benché ugualmente valide. Così, nel mondo postmoderno, non c'è un'unica verità, non c'è un'unica realtà oggettiva, un unico modo di negoziare la vita nel mondo reale. Piuttosto, il mondo è un sistema simbolico complesso che si fonda più sull'interpretazione soggettiva che su una verità assoluta e dimostrabile.
La Chiesa non è immune dagli effetti della postmodernità. Non è in effetti difficile applicare i principi postmoderni alla valutazione della liturgia cristiana e a come essa viene celebrata, e sicuramente se ne avranno interessanti risultati. I critici delle riforme conciliari hanno evidenziato che l'architettura ecclesiale postconciliare è in consonanza con gli obiettivi minimalistici del pensiero postmoderno. Altri si scagliano contro la combinazione eclettica di elementi liturgici e non nella liturgia postconciliare, che sarebbe in aperto contrasto con la struttura predittiva e tradizionale del rito preconciliare. Avendo come princìpi guida della postmodernità la mobilità e il cambiamento, la transizione è di per sé indicativa del costrutto culturale postmoderno. Quando un cambiamento viene introdotto, è la tradizione in sé che viene messa in dubbio dal fatto stesso di cambiare, si tratti di ristrutturare una casa, di ammodernare un ufficio o magari di abbandonare responsabilità e impegni di relazione umana a favore di altri. Sistemi perfettamente funzionanti sono sostituiti, siano o no necessarie tali sostituzioni, perché la transizione è un bene in sé e per sé. Tutti questi fattori culturali hanno un influsso significativo sulla liturgia della Chiesa, e non necessariamente in meglio. Nei primi capitoli di questo libro abbiamo visto come fosse impossibile per la Chiesa celebrare il culto al di fuori o a fianco del proprio contesto culturale, e la Chiesa postmoderna non fa eccezione rispetto alla cultura contemporanea che avanza nella propria evoluzione.
La globalizzazione stessa sta cambiando la faccia del pianeta, e le nostre chiese e la vita liturgica con essa. Oggi dobbiamo prenderne atto e rispondere adeguatamente. Non è facile, perché, se pure sono rintracciabili effetti positivi del fenomeno, non ne mancano di fortemente negativi. La globalizzazione è essenzialmente un processo di estensione a tutto il mondo degli ideali di modernità e di avanzamento tecnologico. Tale processo è grandemente aiutato dal particolare sistema economico del capitalismo neoliberistico e dagli avanzamenti a rapida espansione delle tecnologie della comunicazione. Questo porta al collasso dei confini geografici, che un tempo definivano le identità culturali. In concreto, pensiamo per esempio al rischio di ricreare la teoria del melting pot, comune durante gli anni della grande depressione economica degli Stati Uniti negli anni Trenta del secolo scorso, quando tutte le diversità culturali venivano confuse in unica identità nel momento in cui gli immigrati raggiungevano le coste americane. Questa rimane una minaccia universale, anche ai nostri giorni.
Oggi, in posti lontanissimi come Kyoto e Manila, si possono trovare le caffetterie americane Starbucks, disegnate tutte con la medesima, identica decorazione degli Starbucks di New York o di Londra. Viene suonata in sottofondo anche la stessa musica jazz di Miles Davis! Viene così creata una cultura omogeneizzata, a partire da una coesione ampiamente basata sul consumismo.
La globalizzazione ha anche l'effetto di rinforzare il sistema della «sopravvivenza del più adatto», in cui il più forte prevale sul debole. A Roma, per esempio, come altrove, i negozietti di alimentari si trovano in crescente difficoltà di sopravvivenza, a fronte del proliferare di grandi supermercati che offrono prezzi inferiori e un orario di apertura più ampio, domeniche incluse.
Allo stesso modo, a Shanghai, il nuovo, elegante quartiere degli affari chiamato Pudong, costruito pochi anni fa in posizione opposta rispetto al centro, ha avuto l'effetto negativo di scacciare i residenti poveri, che vivevano in case improvvisate nelle vicinanze. Ci si può chiedere dove ci si aspettava che andasse quella povera gente, senza le necessarie risorse economiche. Una dinamica simile si può osservare in altre città del mondo, soprattutto dove sono in corso progetti di trasformazione di quartieri popolari in aree residenziali o di rinnovamento urbano. Così, la globalizzazione ha effetti positivi e negativi.
Se la liturgia deve essere intimamente legata alla vita del corpo di Cristo nel mondo e in una cultura particolare, all'essere solidali con le sofferenze dei poveri e degli affamati, dei rifugiati e dei migranti a cui si nega un giusto salario, allora i liturgisti e gli operatori pastorali avranno bisogno di affrontare apertamente il problema. Avranno bisogno di considerare attentamente le sfide offerte dalla globalizzazione nell'età postmoderna, così che le nostre comunità liturgiche rinforzino l'identità culturale e modellino relazioni umane autentiche, fondate sull'uguaglianza e sul rispetto, che si levino profeticamente contro le pretese della cultura contemporanea, che promuove la mentalità della «sopravvivenza del più adatto» o del più forte. In tal senso, possiamo comprendere la liturgia anche come «controculturale», se sta con quelli che la società respinge: i senza potere e quanti stanno ai margini.
La liturgia e la cultura debbono sempre essere in dialogo, ma il Vangelo di Cristo proclamato nel culto cristiano deve anche parlare con forza, criticando e giudicando la cultura contemporanea.

(©L'Osservatore Romano 19-20 novembre 2012)

1 commento:

Andrea ha detto...

Non esiste alcun "culto cristiano" (termine integralmente massonico), da rendere alla "divinità" (??).

Esiste la liturgia cattolica, che attualizza l'unico, grande Fiat Eucaristico, detto da Cristo al Padre, nello Spirito Santo