Intervento del presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani
Il valore permanente della «Nostra aetate»
Pubblichiamo ampi stralci della prolusione che il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani ha tenuto in occasione della plenaria della Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo.
di Kurt Koch
Nelle molteplici discussioni intorno alla possibilità di una riammissione della Fraternità sacerdotale San Pio X nella Chiesa cattolica romana, è stata sollevata, e non solo da parte ebraica, la questione dell'importanza e della validità della dichiarazione conciliare Nostra aetate (n. 4).
Gli ebrei temevano che, attraverso un eventuale atto di reintegrazione di una serie di sacerdoti e credenti con tendenze antigiudaiche, i quali respingono fondamentalmente Nostra aetate, la Chiesa cattolica potesse dare una nuova direzione al dialogo con l'ebraismo o quanto meno che l'importanza di questa dichiarazione conciliare per tutta la Chiesa potesse essere relativizzata. Da parte cattolica, a volte sono state udite voci secondo le quali il concilio Vaticano II avrebbe operato una distinzione, per quanto riguarda i suoi testi, tra “constitutiones, decreta et declarationes” e che Nostra aetate farebbe parte delle “declarationes” che avrebbero una minore importanza e il cui carattere vincolante potrebbe essere considerato più limitato rispetto a quello degli altri testi. Di fronte agli ebrei, il Santo Padre mi ha incaricato di presentare la questione in maniera corretta: Nostra aetate non è minimamente rimessa in discussione dal magistero della Chiesa, come il Papa stesso ha più volte dimostrato con i suoi discorsi, i suoi scritti e i suoi gesti personali nei confronti dell'ebraismo; un riavvicinamento con la Fraternità Sacerdotale San Pio X non significa assolutamente che le posizioni di detta Fraternità vengano accettate o appoggiate. Per quanto riguarda i vari tipi di testi conciliari, si può certamente fare una distinzione a livello formale; tuttavia, dal punto di vista del contenuto, essi non possono essere separati gli uni dagli altri o contrapposti gli uni agli altri.
Nostra aetate non rappresenta dunque un meteorite isolato, caduto direttamente dal cielo e privo di corrispondenze con gli altri testi conciliari. Fin dall'inizio del suo pontificato, Papa Benedetto XVI non ha pertanto lasciato alcun dubbio sul fatto che egli sottoscrive pienamente il concilio Vaticano II e i suoi documenti, nella necessaria visione d'insieme. Egli ha espresso precisamente questo in maniera inequivocabile, presentando anche una corrispondente ermeneutica dei testi conciliari, nel suo famoso discorso del 2005 pronunciato davanti alla Curia romana in occasione degli auguri di Natale.
Nostra aetate è considerata tutt'oggi il “documento fondante” e la “Magna charta” del dialogo della Chiesa cattolica romana con l'ebraismo. Questa dichiarazione inizia con una riflessione sul mistero e sulla missione della Chiesa che s'iscrive all'interno della storia della salvezza e ricorda anche il profondo legame che unisce spiritualmente il popolo della Nuova Alleanza alla stirpe di Abramo. Essa afferma in maniera decisa che deve essere evitato ogni disprezzo, svilimento e oltraggio nei confronti dell'ebraismo e, ancora di più, sottolinea esplicitamente le radici ebraiche del cristianesimo. Viene inoltre scardinata l'accusa di “deicidio” che sfortunatamente è stata rivolta in blocco agli ebrei in vari luoghi nel corso dei secoli. Da parte ebraica, è stata apprezzata soprattutto la chiara posizione assunta dalla dichiarazione conciliare contro ogni forma di antisemitismo. Gli ebrei continuano pertanto ad essere confortati dalla speranza di poter ancora avere nella Chiesa cattolica un'affidabile alleata nella lotta contro l'antisemitismo, che nel mondo odierno non è stato tutt'ora estirpato. Ciò che ha condotto concretamente alla redazione di Nostra aetate può essere riassunto in tre punti: una riflessione della coscienza cristiana dopo la tragedia umana della Shoah, gli sviluppi verificatisi a livello di scienze bibliche fino al concilio Vaticano II e la fondazione dello Stato d'Israele nel 1948. Il processo nel quale ci si è confrontati, in ambito cristiano, con la Shoah è sicuramente uno degli elementi trainanti che più hanno contribuito alla redazione di questa dichiarazione conciliare. Un ruolo di non poco conto è stato svolto però anche da fattori politici e pragmatici, poiché, a partire dalla fondazione dello Stato di Israele, la Chiesa cattolica si è trovata, in Terra Santa, a dover portare avanti la propria vita pastorale all'interno di uno Stato che si percepisce decisamente come ebraico. Per ciò che concerne i principi teologici che si ritrovano costantemente in Nostra aetate come struttura fondamentale, va ricordato che, negli studi biblici prima del concilio, la figura di Gesù di Nazareth aveva cominciato a essere considerata sempre più nel contesto dell'ebraismo del tempo. Pertanto, il Nuovo Testamento era visto nel quadro delle tradizioni ebraiche e Gesù era percepito come un ebreo del suo tempo, fedele alle proprie tradizioni.
Riflettendo sull'impatto avuto dai documenti conciliari, senza dubbio si può osare affermare che Nostra aetate fa parte di quei documenti che hanno maggiormente contribuito a un fondamentale riorientamento della Chiesa cattolica dopo il concilio. L'apprezzamento dell'ebraismo espresso in Nostra aetate ha soprattutto fatto sì che partiti scettici gli uni nei confronti degli altri siano diventati nel corso dei decenni partner affidabili e perfino buoni amici, anche in grado di affrontare insieme le crisi e superare i conflitti in modo positivo.
In merito al dialogo con l'ebraismo, Papa Benedetto XVI, fin dall'inizio del suo pontificato, ha sottolineato che egli, seguendo le orme del suo predecessore, voleva non solo promuovere ma anche intensificare le relazioni con gli ebrei. Su ciò non può sussistere alcun dubbio, dato che il grande sforzo di Papa Giovanni Paolo II a favore del dialogo ebraico-cattolico era già stato avallato teologicamente e appoggiato dall'allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger.
Già come studente di teologia, tramite lo studio dell'Antico e del Nuovo Testamento, Joseph Ratzinger aveva acquisito con l'ebraismo una considerevole familiarità, che egli poté ulteriormente intensificare grazie ai suoi contatti personali con gli ebrei durante il tempo trascorso a Roma. Il fondamento di questa visione del teologo Ratzinger risiede nella sua convinzione che la Sacra Scrittura può essere realmente compresa solo come un unico libro e che dunque una “concordia testamentorum” è indispensabile per una giusta interpretazione del messaggio biblico della salvezza.
Alla luce di queste convinzioni teologiche non può sorprendere il fatto che Benedetto XVI porti avanti il lavoro di riconciliazione avviato dal suo predecessore in merito al dialogo ebraico-cattolico. Non solo egli ha indirizzato al Rabbino Capo di Roma la prima lettera del suo pontificato, ma ha anche tenuto a ribadire, in occasione del suo primo incontro con una delegazione ebraica, il 9 luglio 2005, che la Chiesa si muoveva fermamente sulla base dei principi affermati in Nostra aetate e che egli intendeva proseguire il dialogo sulle orme dei suoi predecessori.
(©L'Osservatore Romano 8 novembre 2012)
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1 commento:
Que yo sepa, los miembros de la fraternidad de San Pio X no tienen ninguna opnión particular sobre el Pueblo Judío. Como católicos, que eso son, desean que se conviertan y se salven, que es el sumo y máximo bien que se le puede desear a cualquier pueblo o persona. Cuando un cristiano desimula este afán apostólico, simplemente hace traición a Cristo. Querer asociar la Fraternidad a posturas antisemitas me parece una canallada.
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