sabato 10 novembre 2012

Il cardinale prefetto della Congregazione per il Clero su Vaticano II ed epoca moderna

Il cardinale prefetto della Congregazione per il Clero su Vaticano II ed epoca moderna

Il più grande servizio della Chiesa al mondo


Si tiene venerdì 9, nella basilica cattedrale di San Marco, il Dies academicus 2012-2013 dello Studium Generale Marcianum, il polo pedagogico-accademico e di ricerca del Patriarcato di Venezia. È prevista la partecipazione del patriarca Francesco Moraglia, Gran Cancelliere dello Studium Generale Marcianum, Giovanni Mazzacurati, presidente della Fondazione Studium Generale Marcianum per la promozione di studi e ricerche, e monsignor Brian Edwin Ferme, rettore dello Studium Generale Marcianum. Il cardinale prefetto della Congregazione per il Clero tiene la prolusione sul tema «Essere Chiesa nell'epoca moderna: il contributo del concilio ecumenico Vaticano II», di cui pubblichiamo alcuni stralci.


di Mauro Piacenza


Come indicava già la Gaudium et spes, al n. 7, «a differenza dei tempi passati, negare Dio, o la religione, o farne praticamente a meno non è più un fatto insolito e individuale. Oggi infatti, non raramente, un tale comportamento viene presentato come esigenza del progresso scientifico o di un nuovo tipo di umanesimo». In quest'affermazione troviamo il nucleo della questione che ci sta a cuore: la modernità, con il grande limite gnoseologico che la caratterizza, è compatibile con l'avvenimento cristiano? L'idea di progresso, che dalla modernità emerge, idea che pure porta in se stessa un'eco remota del bisogno di infinito proprio del cuore umano, può aprire alla relazione con il Mistero, o rischia di rifugiarsi in un'utopistica auto-affermazione dell'uomo? E ancora, senza Dio, quale tipo di “nuovo umanesimo” è possibile attendersi?

Emerge chiaramente come, da tali centrali questioni, paragonate con la situazione attuale, dal punto di vista antropologico, prevalga una forma di auto-giustificazionismo; è come se l'intero comportamento umano fosse determinato dal momento storico; come se la morale e il cuore dell'uomo dovessero obbedire a un meccanicismo determinista, che avrebbe, come unica drammatica conseguenza, l'eliminazione della libertà personale e della volontà di aderire al bene. Tale situazione, come indicato dallo stesso documento al n. 8, determina una divisione all'interno dell'uomo. Divisione che l'annuncio evangelico, l'incontro con Cristo, la grazia sacramentale e la vita ecclesiale sono chiamati ad aiutare a superare. «Al livello della persona, si nota molto spesso lo squilibrio tra una moderna intelligenza pratica e il modo di pensare speculativo, che non riesce a dominare, né a ordinare in sintesi soddisfacenti l'insieme delle sue conoscenze. Uno squilibrio si genera anche tra la preoccupazione dell'efficienza pratica e le esigenze della coscienza morale, nonché, molte volte, tra le condizioni della vita collettiva e le esigenze di un pensiero personale e della stessa contemplazione. Di qui ne deriva, infine, lo squilibrio tra le specializzazioni dell'attività umana e una visione universale della realtà».
È proprio questa visione universale della realtà, che include la coscienza dell'esistenza del reale e della sua conoscibilità, il più efficace contributo dato dal concilio al rapporto tra fede cristiana e modernità; esso è anche il più grande servizio che la Chiesa possa offrire al mondo, nell'epoca moderna. Potremmo dire, in maniera molto sintetica, ma probabilmente efficace, che essere Chiesa nell'epoca moderna, significa restituire all'uomo la capacità di conoscere il reale, di entrare in rapporto con quella realtà, che le derive gnoseologiche degli ultimi tre secoli hanno volontariamente reso evanescente, perché la realtà è pur sempre il luogo, nel quale il Logos Eterno si è definitivamente manifestato. Censurare la realtà significa, per conseguenza, censurare il luogo in cui Dio si è fatto “storia”, tentando di impedire all'uomo l'incontro con il Mistero.
La vera questione è che un uomo, privato della capacità di cogliere il reale, secondo la totalità dei suoi fattori, confinato in un metodo di conoscenza di tipo scientifico-positivo, ritenuto l'unico in grado di giungere a una qualche certezza condivisibile, è un “uomo amputato”, non corrispondente nemmeno a ciò che esso stesso sente profondamente di essere. Appare evidente come tali passaggi del concilio possano e debbano essere letti in immediata ed efficace sinossi, sia con la Fides et ratio del Papa Giovanni Paolo II, sia, in modo ancora più evidente, con i continui richiami del Santo Padre Benedetto XVI ad «allargare i confini della razionalità». 
Dal discorso di Regensburg in poi, il magistero pontificio va, con chiarezza, in questa direzione, indicando, in negativo, il legame oggettivo tra crisi gnoseologica e crisi antropologica, e in positivo, la via del recupero di una corretta gnoseologia, come strada per una corretta antropologia, che spalanchi al rapporto con il reale, nel quale il Mistero si manifesta. Nel motu proprio Porta Fidei, in merito, leggiamo: «La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato ad una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l'ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità» (n. 12).

(©L'Osservatore Romano 10 novembre 2012)

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