mercoledì 14 novembre 2012

I cultori della classicità debbono riconoscenza al Papa per aver istituito la «Pontificia Accademia di Latinità» (Bertoncini)

Che è l'idioma, oggi decisamente trascurato, di ben duemila anni di storia della Chiesa

Benedetto XVI fa riscoprire la lingua latina

Rivalutata dal Papa la grande musica religiosa anziché le schitarrate 

di Marco Bertoncini

Anche chi è ostile al cattolicesimo, al cristianesimo, alla religione; anche chi si professa anticlericale; anche chi si colloca su sponde opposte rispetto alla Chiesa cattolica; se è un cultore dell'arte, della musica, delle lettere, e insomma della Bellezza, deve riconoscenza all'attuale pontefice.
Ben più dei predecessori, e diremmo anzi in maniera unica, Benedetto XVI ha dimostrato d'interpretare il bello come teofania: platonicamente, egli arriva alla divinità anche attraverso l'ammirazione estetica dei suoni, delle forme, delle parole, dei colori.
Nei suoi ripetuti interventi in occasione di concerti, sovente parlando a braccio, dimostra quello che, se non si trattasse di un papa, dovremmo definire un vero culto verso Mozart, Bruckner, Bach, Beethoven, Wagner, Vivaldi, ascoltati e commentati con passione di competente.
Adesso i cultori della classicità debbono riconoscenza al pontefice per aver istituito la «Pontificia Accademia di Latinità», propriamente «Pontificia Academia Latinitatis».
L'ha fatto col motu proprio, ovviamente steso in latino, Lingua latina, col quale cerca d'invertire il tragico depauperamento della lingua della Chiesa attuato in conseguenza di quella gramigna che si definisce «lo spirito del Concilio».
In verità sia Giovanni XXIII, con la costituzione apostolica Veterum sapientia, sia il concilio Vaticano II, avevano inteso salvare il latino. Ma, in conseguenza del Concilio, successe di tutto: la pratica e la conoscenza medesima del latino furono azzerate nel mondo ecclesiale, così come la grande tradizione musicale sacra (che pochi giorni fa ancora una volta Benedetto XVI esaltava) finiva immiserita nelle chitarre o «inculturata» nei tamtam, mentre l'architettura religiosa perdeva ogni traccia di sacralità.
Avendo ammesso agli studi teologici giovani ignari di latino, ovviamente la lingua è stata sempre più ignorata. Che molti vescovi non siano a loro agio nel leggere in originale sant'Agostino o san Tommaso è confermato da molti fatti, non ultimo dei quali la sparizione, dai «circoli minori» (ossia commissioni) linguistici del Sinodo dei vescovi: il circolo di lingua latina non esiste più.
Adesso il papa torna a proporre che s'incrementi la conoscenza del latino, non solo in nome di due millenni di scrittura ecclesiale in tale lingua, ma altresì per conoscere la grande «eredità greco-romana». Giustamente Luciano Canfora, intellettuale dichiaratamente comunista, ha rimarcato l'esigenza di rivalutare anche il greco, inscindibile pilastro della cultura classica con il latino.
Alla nuova Accademia è preposto un laico, Ivano Dionigi, ordinario di letteratura latina nell'università di Bologna, della quale è rettore. Segretario è don Roberto Spataro, docente di letteratura cristiana antica presso il Pontificio istituto superiore di latinità (università salesiana), il quale da alcune settimane scrive articoli in latino su Avvenire. L'Accademia succede e, si spera, invera la fondazione Latinitas, costituita da Paolo VI con il chirografo Romani sermonis. Questa fondazione ha patrocinato l'uscita della rivista Latinitas, scritta interamente in latino, giunta a mezzo secolo di pubblicazioni.
Nell'ultimo numero uscito (a settembre: era trimestrale) vi si potevano leggere alcune pagine dedicate a spiegare i motivi del mancato studio del latino da parte degli studenti («Quibus de causis linguae Latinae discipuli non studeant»). L'ultima pagina recava il seguente avviso: «Esimi Lettori, la nostra rivista Latinitas dall'anno prossimo forse cambierà numero di pagine e periodicità, perché sarà fondato un nuovo istituto. Contando sulla vostra fedeltà, speriamo che la lingua latina rifulga sempre più». Questa è una traduzione all'impronta; l'originale era ovviamente in latino: «Colendissimi Lectores, Commentarii Nostri, cui nomen Latinitas, subsequenti anno, sive quod ad paginarum numerum, sive quod ad frequentiam attinet, fortasse immutabuntur, propter novum condendum Institutum. Vestra fulti fidelitate, speramus fore ut Latinus sermo magis ac magis floreat».

© Copyright Italia Oggi, 14 novembre 2012 consultabile online anche qui.

3 commenti:

Andrea ha detto...

L' "intellettuale comunista" L.Canfora evoca subito il Greco perché si tratta, appunto, della lingua degli "intellettuali", già in antico.

Il Latino è la lingua della Chiesa perché è la lingua dell'Impero Romano, al quale la Provvidenza affidò un'evidente missione, e che rimane vivo nella Chiesa.
È questo il dato che era chiaro fino a pochi secoli fa, e che gli Illuministi si affannano a negare -a partire dall'espansione violenta della République rivoluzionaria-, costruendo ogni giorno la nuova Torre di Babele

Anonimo ha detto...


Una noterella,leggendo l'appassionata difesa del latino da parte di un religioso anglofono,leggo questa annotazione molto eloquente;'In Vaticano i documenti si devono scrivere tutti in latino,lingua ufficiale della chiesa,ma a vedere che genere di traduzioni vengono fatte,viene da pensare che prima si scrivono i testi in italiano contorto,pieno di bizantinismi e manierismi incomprensibili e pieni di doppi sensi,quindi si traducono in latino,ergo,oltre al 'povero' latino usato,non si capisce assolutamente niente,a meno di avere un solerte decrittatore dall'ital-latino',definizione papale papale(chiedo scusa a BXVI di cui ho letto testi in latino scritti di suo pugno e,beh,da far venire lacrimoni agli occhi...)GR2

Dante Pastorelli ha detto...

Bene l'Accademia. Ma qual influenza concreta avrà l'Accademia sul ripristino del latino nella liturgia?
I buoni propositi daran risultati positivi nelle chiese? Ho i miei dubbi.
Ho già detto altrove: si applichi la Veterum Sapientia nei seminari e nelle pontificie facoltà. Di convegni, tavole rotonde, di chiacchiere, insomma, siamo stufi. E' l'ora di agire seriamente.