Il cardinale João Braz de Aviz sui carismi nella Chiesa
I consacrati esperti di comunione
L'esperienza di vita fraterna dei consacrati, nel rispetto delle diversità e nella valorizzazione dei doni di ciascuno, sono un esempio e uno stimolo per tutte le altre componenti ecclesiali. È su questa certezza che il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, ha sviluppato il suo intervento al convegno -- svoltosi nei giorni scorsi a Torino -- per i 200 anni dell'ordinazione sacerdotale di san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Nella Piccola Casa della Divina Provvidenza il porporato ha tenuto una relazione sul tema «I carismi nella Chiesa: quale profezia per il nostro tempo?», nella quale ha offerto una riflessione sulla collocazione dei carismi nella Chiesa e il loro contributo alla comunione. Lo ha fatto, guardando con un occhio privilegiato alla situazione dei religiosi e al loro ruolo nella realtà ecclesiale.
L'esperienza di vita, che implica l'apertura al dialogo, la disponibilità al servizio, al perdono e alla condivisione dei beni materiali e spirituali, ha detto il cardinale brasiliano, «in definitiva l'esperienza di amore vicendevole che fa sperimentare la mistica presenza del Signore risorto» sono elementi che collocano i consacrati in una posizione di visibilità e di esemplarità all'interno della comunità ecclesiale. Essi sono -- così li ha definiti il porporato -- proprio degli «esperti di comunione», riprendendo un termine coniato nel documento pubblicato dal dicastero nel 1978 dal titolo Religiosi e promozione umana. È anzitutto la vita fraterna in comune «sul modello della unità-distinzione che si vive nella Trinità che è “segno” della comunione che tutta la Chiesa deve vivere e testimoniare al mondo. Per questo “la vita di comunione rappresenta il primo annuncio della vita consacrata” (Ripartire da Cristo n. 33) e il suo primo compito».
L'importanza della comunione è stata più volte ribadita dal porporato, il quale ha evidenziato che «il compito della Chiesa nella storia è aiutare gli uomini a vivere la comunione con Dio e fra loro che Gesù ha già definitivamente realizzato con la sua morte e risurrezione, ma che ora deve progressivamente informare la vita dei credenti e poi di tutti gli uomini». Anche il versetto della preghiera del Padre Nostro, «sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra», può essere interpretato in questo senso: «Aiutaci a vivere qui in terra come si vive in cielo, attuando tra noi la stessa dinamica di relazioni che si vivono nella Trinità». Ed è propio sulla comunione trinitaria che si è soffermata la riflessione del cardinale: «La vita consacrata, essendo parte viva della Chiesa, partecipa a titolo speciale dell'unica comunione ecclesiale e la esprime in maniera significativa e caratteristica, proponendosi per questo come luogo privilegiato di esperienza e testimonianza della vita della Trinità».
La dimensione trinitaria, infatti, imbeve la vita consacrata in tutte le sue realtà di consacrazione, comunione e missione. Ecco allora l'interrogativo: a quale modello rifarsi per vivere in pienezza la vita comunitaria? «Pur nella varietà delle ispirazioni e delle forme in cui si è storicamente espressa -- ha detto -- la vita consacrata è sempre stata consapevole di dover guardare non solo all'esempio di comunione indicato dagli Atti degli apostoli fra la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, dove tutti erano “un cuore solo e un'anima sola” (4, 32), ma ancor più radicalmente al suo modello originale, al prototipo di comunione delle tre divine persone nella Trinità». Anche se, ha fatto notare il porporato, «non è sempre stato esplicito nei fondatori e fondatrici e nei loro seguaci questo riferimento normativo alla comunione trinitaria. Ma in diverse regole e negli scritti di diversi di loro è possibile ritrovare questa ispirazione di fondo».
Di gratuità ha poi parlato il cardinale prefetto, sottolineando come «la vita di comunione di impronta trinitaria che costituisce l'identità e la missione della Chiesa prima, e poi della vita consacrata, è prima di tutto un dono; diversamente sarebbe una pretesa sovrumana e resterebbe un ideale impossibile da raggiungere». Insistendo ancora una volta sulla verità che la «comunione genera comunione» e sul valore della testimonianza, il relatore ha messo in luce come i consacrati possono diventare «segno e profezia» di questa comunione nella Chiesa e nel mondo. È la stessa Chiesa a riconoscere l'esemplarità dei consacrati «nel vivere e nel mostrare agli altri fedeli e al mondo come è possibile vivere qui in terra la piena comunione con Dio e fra noi». D'altra parte, se tutta la Chiesa deve vivere la comunione sul modello trinitario, i consacrati, ha detto il porporato, ne sono gli «specialisti», perché questa è «l'essenza della loro scelta di vita: l'unione con Dio e l'unione fra loro nella vita fraterna». In particolare, i religiosi sono chiamati «a vivere la comunione coltivando un “fraterno rapporto spirituale e la mutua collaborazione tra i diversi istituti di vita consacrata e società di vita apostolica”», come afferma il documento Vita consecrata. Esperienza che già stanno portando avanti da decenni migliaia di religiosi e religiose dei più diversi ordini, congregazioni e istituti secolari, dietro l'impulso e l'ispirazione dello Spirito Santo che parla oggi alla Chiesa e la spinge a una più piena unità fra tutti i membri del Corpo di Cristo». D'altronde, il concilio Vaticano II ha riconosciuto la vita consacrata -- ha ricordato il cardinale -- «nelle sue innumerevoli espressioni storiche, come una tipica manifestazione della “infinita potenza dello Spirito mirabilmente operante nella Chiesa”. Essa, “pur non concernendo la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia indiscutibilmente alla sua vita e alla sua santità” (Lumen gentium n. 44). I carismi che in essa sono stati via via suscitati rappresentano il “luogo” di intervento creativo dello Spirito nella storia della Chiesa, espressione di santità e di rinnovamento». Non basta dunque dire -- ha sottolineato il porporato -- «che la vita consacrata è una realtà nella Chiesa, ma anche della Chiesa». Infine, il prefetto ha concluso dicendo che nel cuore della Chiesa-comunione tutti i carismi «antichi e nuovi, presi singolarmente e nel loro insieme, si propongono come luoghi in cui si vive l'esperienza di comunione trinitaria e sono in questo di modello e di stimolo a tutta la Chiesa per divenire sempre più compiutamente “casa e scuola di comunione”».
(©L'Osservatore Romano 16 maggio
2012)
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