Fede in Dio e limiti del potere
Dal libro Benedikt XVI. Prominente über den Papst a cura di monsignor Georg Gänswein (Illertissen, Media Maria, 2012, pagine 191, euro 19,95) pubblichiamo stralci delle testimonianze dell’attuale ministro delle Finanze tedesco, e di un atleta, campione del mondo di calcio — ammirato e ricordato per l’eleganza del suo gioco — sui loro incontri con il Pontefice.
Wolfgang Schäuble
Durante la sua visita ufficiale in Germania lo scorso anno, Benedetto XVI ha tenuto un discorso molto seguito al Bundestag tedesco.
All’inizio del discorso ha ricordato ai deputati una delle narrazioni bibliche più impressionanti sul rapporto tra potere politico e fede in Dio, la preghiera di Salomone per ottenere la saggezza. Dio, che appare in sogno al giovane re, lo invita a chiedere qualcosa. Nella sua risposta Salomone non chiede a Dio ricchezza, potere o lunga vita, bensì «un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male» (1 Re 3, 9).
Mentre, come politico evangelico, dò qui un mio contributo in occasione dell’85° compleanno del Papa, prendo volentieri questo riferimento come spunto per le mie riflessioni, poiché definisce una questione che anch’io ritengo di enorme importanza per la nostra società attuale, e sono grato che Benedetto XVI da molti anni le presti la sua voce.
Qualche anno fa un germanista ha pubblicato un libro intitolato Lexikon der bedrohten Wörter (Dizionario delle parole a rischio). Contiene espressioni che oggi vengono utilizzate talmente di rado da dover mettere in conto che nei prossimi decenni scompariranno dalla nostra lingua. Quasi nessuno tra i più giovani sa ancora che cos’è un Hagestolz (“scapolo impenitente”) o che cosa si mangia alla Gabelfrühstück (“seconda colazione”). E per chi memorizza i dati su disco rigido o su cd, anche la parola Bandsalat (“groviglio di nastri”), tanto comune trent’anni fa, non significa più nulla.
Oggi si potrebbe avere l’impressione che tra le parole tedesche a rischio vi sia anche la parola Dio. Naturalmente non scomparirà dal nostro patrimonio lessicale, tuttavia salta all’occhio quanto poco la gente parli di Dio. E non sono in prima linea persone che non credono in Dio. Al contrario: tanti atei parlano molto e volentieri di Dio, anche se solo per dire perché è assurdo credere in Lui. Va però notato, e fa riflettere, quanto sia difficile per le persone credenti parlare di Dio nella vita quotidiana. I politici spesso (ma non sempre) rafforzano il loro giuramento ufficiale con la formula: “lo giuro, con l’aiuto di Dio”. Al di là di questo, però, fare riferimento a Dio in un discorso politico oggi in Germania è praticamente impossibile.
Anche molti rappresentanti delle Chiese maggiori sembrano evitare la parola Dio. Alle domande su che cos’è la fede, perché oggi bisogna far parte della Chiesa o che cosa può significare il cristianesimo per un Paese come la Germania nel Ventunesimo secolo, spesso si risponde citando più motivi etici e culturali che Dio. Ma le decisioni etiche che dobbiamo prendere oggi sono sovente controverse anche tra gli stessi cristiani e, sotto molti aspetti, il cristianesimo naturale della società tedesca è ormai una questione del passato.
Se io stesso dovessi rispondere alla domanda sul significato della fede cristiana per la vita nella società attuale e specialmente per la vita dei politici, allora citerei in primo luogo la fede in Dio. Infatti è questa fede, attraverso la quale la nostra vita fa riferimento a una istanza che è più grande di noi stessi, a una istanza che non aggiustiamo a nostro piacimento e dinanzi alla quale dobbiamo quindi giustificare tutte le nostre azioni. È questo riferimento che Papa Benedetto XVI ha ricordato parlando della richiesta di Salomone di ottenere “un cuore docile”. Perché è tanto importante?
La fede in Dio esprime in modo particolarmente pregnante l’intuizione che esistono dei limiti. Per quanto ci diamo importanza, qualunque sia il nostro ruolo nella società, nell’economia, nella scienza o nella politica, quali che siano le nostre realizzazioni e le nostre conquiste, la fede in Dio ci dice che esiste qualcosa e qualcuno che sta prima e sopra di noi. Il vescovo Reinelt una volta, in occasione della commemorazione del bombardamento di Dresda durante la seconda guerra mondiale, lo ha così riassunto: «Ovunque nel mondo una persona non si rende più conto di venire al massimo al secondo posto, ben presto si scatena l’inferno».
Di questi limiti abbiamo bisogno, lo osserviamo in continuazione. La crisi economica degli ultimi anni è stata scatenata non in ultimo dalla sconfinata brama di guadagni sempre più alti nei mercati finanziari. Per quanto il modello dell’economia di mercato abbia successo, si fonda però su meccanismi che, se non vengono controllati e arginati, producono conseguenze in-umane, nel vero senso della parola. L’irrefrenabile ricerca del profitto, per la quale non esiste un punto d’arresto, la creazione di esigenze sempre nuove nella società consumistica e lo sfruttamento predace delle risorse naturali disponibili sulla terra conducono a condizioni che minacciano il benessere delle persone e spesso perfino la loro sopravvivenza.
Sebbene abbiamo bisogno di limiti, di solito non vogliamo ammetterlo. E nella stessa misura in cui non vogliamo riconoscere i confini, non vogliamo riconoscere Dio. A quanto pare è nella natura umana continuare a cercare di sperimentare se possiamo farcela anche senza confini, seppure le conseguenze sono sempre le stesse. Fintanto che le cose sembrano andare bene, ci convinciamo che questa volta è davvero tutto diverso. La fede in Dio ricorda che tale modo di vedere è sempre sbagliato e pericoloso. Questi limiti non riguardano soltanto l’economia mondiale o il clima. Un esempio fondamentale del nostro ordinamento giuridico è piuttosto la tutela assoluta della dignità umana. Questa è posta all’inizio del diritto fondamentale, tra l’altro subito dopo il riferimento a Dio nel Preambolo. Le due cose sono logicamente collegate l’una all’altra: proprio perché viene espressa la responsabilità dinanzi a Dio, esiste la tutela dell’individuo, che nessuna opportunità politica o sociale può violare o evitare. Il riconoscimento di una tale istanza, della quale non si può disporre, anche in questo caso porta a riconoscere i limiti posti alla nostra azione.
Molte di queste riflessioni le ritrovo nei discorsi ufficiali del Papa. Ne sono grato; mi rafforza nella mia convinzione che in tali questioni oggi siano più gli aspetti che uniscono di quelli che dividono i cristiani delle diverse confessioni. Tuttavia, è una dolorosa realtà che comunque esistono ancora differenze.
(©L'Osservatore Romano 15 aprile 2012)
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