Da Benedetto XVI la svolta per gli studi sul concilio
Riccardo Burigana
«La Costituzione dogmatica Dei Verbum, della cui elaborazione fui testimone partecipando in prima persona come giovane teologo alle vivaci discussioni che l’accompagnarono, si apre con una frase di profondo significato: Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans, Sacrosancta Synodus».
Mi piace iniziare questo mio intervento riprendendo le parole pronunciate da Benedetto XVI, il 16 settembre 2005, in occasione dell’udienza concessa ai partecipanti al convegno internazionale (promosso dalla Federazione biblica cattolica e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani) per il quarantesimo anniversario della promulgazione della costituzione Dei Verbum, «uno dei documenti più importanti del concilio Vaticano II».
In questo discorso Benedetto XVI si sofferma sul valore del Vaticano II.
Infatti «grazie anche all’impulso impresso dalla costituzione dogmatica Dei Verbum» si è realizzato «un rinnovamento nella vita della Chiesa, soprattutto nella predicazione, nella catechesi, nella teologia, nella spiritualità e nello stesso cammino ecumenico», che rinvia all’ultimo capitolo della Dei Verbum.
Al tempo stesso il Papa invita a riflettere sull’importanza della lectio divina, ponendo di fatto l’accento sulla profonda continuità tra la costituzione sulla divina rivelazione del concilio e la tradizione bimillenaria della Chiesa.
Queste parole — tanto qualificanti sul significato del Vaticano II per il passato e per il presente della Chiesa — fanno parte dei numerosi interventi che il Papa ha dedicato al concilio in questi anni, fino a questi giorni, se teniamo conto dei discorsi durante il suo viaggio in Messico e a Cuba.
Tra gli interventi di Benedetto XVI va ricordato il suo discorso alla Curia in occasione della presentazione degli auguri natalizi (22 dicembre 2005), nel quale veniva posta in termini estremamente chiari la questione dell’ermeneutica del concilio: «due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro.
L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa».
Proprio per questo il pontificato di Benedetto XVI segna una svolta negli studi sul Vaticano II: gli interventi del Papa, che tanto ha contribuito alla recezione del concilio fin dalla sua conclusione, sono quelli di un protagonista del Vaticano II che si adopera per favorire una sempre più approfondita conoscenza, a partire dai documenti promulgati, nella prospettiva della continuità del concilio con la tradizione della Chiesa. La ricostruzione del Vaticano II può contare su molte fonti che però sono ancora poche rispetto a quelle ancora da recuperare: un patrimonio di diari, lettere e discorsi che sono venuti arricchendo le fonti ufficiali pubblicate nel corso degli anni negli Acta et documenta e negli Acta Synodalia del concilio, dopo che Paolo VI aveva ufficialmente dichiarato di aver preso la decisione di mettere a disposizione degli studiosi le fonti conciliari per promuovere la conoscenza del Vaticano II, una decisione ripresa e sostenuta da Giovanni Paolo II, che ha anche provveduto a una nuova collocazione dell’archivio storico del concilio.
Sono molte le fonti ormai messe a disposizione — anche di recente come dei documenti inediti del Segretariato per l’Unità dei cristiani nella fase preparatoria a cura di Mauro Velati — per comprendere dinamiche e ricchezze del Vaticano II: eppure le fonti sono ancora poche se pensiamo ai numeri di coloro che hanno preso direttamente parte al concilio. Per questo appare di particolare interesse il progetto, promosso dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche, in vista della celebrazione del cinquantesimo per l’apertura del Vaticano II, per una mappatura delle fonti dei padri conciliari così da ripartire proprio dalle fonti per una ricostruzione e per una interpretazione del concilio.
Sugli studi sul Vaticano II, ormai da qualche anno, siamo informati regolarmente. Dopo qualche timido tentativo, prima Gilles Routhier e poi Massimo Faggioli hanno pubblicato ampie e dettagliate rassegne bibliografiche che consentono di essere sufficientemente informati su quanto viene scritto: sufficientemente, perché talvolta si colgono delle lacune che sembrano richiamare dei pregiudizi, che si colgono in una certa storiografia sul concilio.
Basta pensare al silenzio, nell’ultima rassegna bibliografica sul Vaticano II pubblicata nel 2011 sul diario di monsignor Carlo Ferrari. Questa edizione, completamente ignorata, mostra chiaramente quanto meriterebbe uno studio analitico sulla partecipazione dell’episcopato italiano, e non solo di alcuni esponenti, ai lavori del Vaticano II e alla sua prima recezione durante la stessa celebrazione del concilio. Servirebbe a liberarsi da quel preconcetto che tende a minimizzare, se non a derubricare come del tutto secondario, il ruolo dell’episcopato italiano, fatta eccezione per alcune figure ampiamente studiate, come è il caso del cardinale Giacomo Lercaro (1891-1976), al quale Matteo Donati ha dedicato, di recente, un intelligente e approfondito studio, portando un ulteriore contributo alla conoscenza della sua partecipazione al Vaticano II.
Proprio a partire dalla vasta e varia produzione scientifica sul concilio, grazie a un’attenta lettura di queste rassegne bibliografiche, con qualche necessaria integrazione, emerge quanto appaia opportuno ritornare ai documenti conciliari, tenendo conto di quanto è già stato fatto, soprattutto per la ricostruzione della storia redazionale dei testi.
Certamente affrontare i documenti conciliari significa, soprattutto, confrontarsi con i buchi neri che ancora frenano una piena conoscenza del concilio. Come non ricordare l’assenza di una ricostruzione complessiva della storia redazionale della Lumen gentium, dopo tanti, tanti studi su aspetti della costituzione, studi che sono spesso soffocati da polemiche arrugginite che tendono a dimostrare più che a ricostruire. Lo stesso si potrebbe dire per la costituzione Sacrosanctum concilium, per il decreto Ad gentes e per la dichiarazione Nostra aetate, alla quale sono stati dedicati convegni e pubblicazioni, mentre appaiono deboli le pagine dedicate alle vicende redazionali del decreto Unitatis redintegratio, soprattutto in relazione al progetto ecumenico, voluto dal cardinale Agostino Bea (1881-1968), e poi naufragato in concilio.
Come leggere i documenti del Vaticano II oggi? Gli storici commentari, redatti nell’immediatezza della conclusione del Vaticano II, spesso con la diretta partecipazione di coloro che erano stati i protagonisti della redazione dei documenti, hanno costituito una fonte preziosa per delineare le vicende redazionali quando era appena iniziata la pubblicazione delle fonti ufficiali del concilio Vaticano II e molti archivi erano ignoti e chiusi. In particolare mi è grato ricordare qui, per tanti motivi, gli studi del francescano Umberto Betti (1922-2009) sulla trasmissione della rivelazione nella Dei Verbum e nella dottrina sull’episcopato nella Lumen gentium.
In questi ultimi anni ci sono stati vari tentativi di offrire una lettura complessiva dei documenti del Vaticano II. L’opera di commento teologico ai documenti in più volumi, curata tra gli altri da Peter Hünermann, costituisce un fondamentale punto di riferimento, anche se scritta in tedesco, da tedeschi per tedeschi. Per quanto riguarda il mondo anglosassone, il progetto della Paulist Press ha mostrato quanto utile possa essere rileggere i documenti conciliari accompagnando a essi anche una qualche riflessione sulla loro recezione, tanto più se gli autori dei singoli volumi sono stati dei protagonisti della recezione del Vaticano II. Di ben altro spessore è stata l’operazione editoriale promossa dalla rivista «Jesus», per una lettura a più voci dei documenti conciliari, collocati in un contesto di ampio periodo, accompagnati dalle notizie biografiche dei protagonisti del Vaticano II, in una forma agile e sintetica proprio per favorire la conoscenza della “lettera” del concilio. Più recente è il progetto brasiliano «Rivisitar o concilio» che propone i documenti, talvolta raccolti tematicamente, con una sintetica presentazione.
Mi sembra che questi tentativi, per quanto meritori, si scontrino con la difficoltà, senza riuscire a superarla, di promuovere una lettura dei documenti conciliari in grado di mettere a disposizione le ricchezze che stanno dentro, fuori, prima e dopo i testi del Vaticano II. Si deve quindi trovare, facendo ricorso anche alla fantasia, una forma che consenta al lettore di inoltrarsi nell’universo nel quale i documenti del Vaticano II sono inseriti, lasciando la libertà di fermarsi al livello di approfondimento richiesto in quel momento dal teologo, dallo studente, dal catechista, dal catecumeno e da chiunque altro voglia leggere un documento del Vaticano II, senza rimanere ingabbiato in una scelta univoca, che si dimostri buona solo per una determinata circostanza, sia questa la preparazione di un esame o l’approfondimento personale. Si tratta così di pensare a un ipertesto, costruito su solide basi storico-teologiche, che porti a spasso il lettore nel concilio e nella storia della Chiesa, lasciando aperte porte e finestre, in particolare sul panorama della recezione sempre viva dei documenti del Vaticano II. In questa direzione, partendo dal decreto Unitatis redintegratio, intende muoversi il Centro studi per l’ecumenismo in Italia mettendo a disposizione di tutti questo modello di lettura dei documenti conciliari, nella propria pagina web, per ricevere osservazioni e commenti.
E oltre i documenti? È chiaro che la conoscenza dei documenti del Vaticano II costituisce il cuore e i polmoni del concilio, ma al tempo stesso i documenti sono stati redatti, discussi, emendati e votati da uomini e da donne (poche per la verità), con le loro speranze, le loro preoccupazioni, le loro gioie e i loro dolori. Proprio a coloro che hanno preso parte al Vaticano II sono stati dedicati molti studi, ma molto deve essere ancora fatto, soprattutto nel ricostruire la partecipazione degli organismi, come le conferenze episcopali nazionali e, nel caso italiano, anche quelle regionali, nei quali si è realizzato un concilio nel concilio. In questo orizzonte, a mio avviso, si deve collocare una ricerca sulla partecipazione dei religiosi in quanto tali al Vaticano II: cosa hanno detto e cosa hanno fatto i francescani al concilio? Hanno lavorato insieme? Si sono incontrati per affrontare da francescani il Vaticano II? Come hanno pensato di recepire le istanze conciliari nella vita quotidiana dell’ordine? Il riferimento ai francescani — ma lo stesso potrebbe valere per altri religiosi, dai salesiani ai gesuiti, così come i monaci — non è certo casuale perché, nelle prossime settimane, si terrà un seminario, promosso dalla facoltà di teologia della Pontificia università Antonianum sulla partecipazione dei francescani, in senso lato, al Vaticano II. Sarà un’occasione per cominciare a riflettere su questa partecipazione, con la concreta prospettiva di indagare nuove fonti. Queste ricerche sugli ordini religiosi a 360 gradi, a mio avviso, costituiscono un passaggio fondamentale nella comprensione non solo della complessità del Vaticano II ma delle dinamiche della recezione del concilio attraverso l’esperienza di chi visse l’evento conciliare.
A cinquant’anni dall’apertura del Vaticano II una sempre migliore conoscenza del concilio appare quanto mai necessaria per proseguire sulla strada di un rinnovamento della Chiesa nella linea della tradizione della quale il Vaticano II è una preziosa bussola: le ricchezze del Vaticano II rimangono ancora, in gran parte, sepolte dalla polvere di timori e di tremori, che niente hanno a che vedere con la gioia di annunciare l’evangelo con il quale alimentare il cammino dei cristiani verso l’unità visibile della Chiesa e degli uomini e delle donne di buona volontà per la costruzione di un mondo fondato sull’accoglienza e sul dialogo.
(©L'Osservatore Romano 7 aprile 2012)
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3 commenti:
Io penso che questo concilio 2 è stato proprio un disastro molto mondo è entrato nel vangelo piu che il vangelo nel mondo!!!i disastri sono sotto gli occhi di tutti in chiesa ci sono le persone del pre-concilio quelle del concilio sono non si vedono. secondo me la Chiesa ha toppato alla grande ma siccome non lo possono dire ....si ostinano a pripinarlo speriamo che non se ne parli proprio più che si parli piuttosto di Cristo dei grandi santi di coloro che ci credono veramente in Gesù Cristo il 68 non ha prodotto niente di buono.
E' vero la Dei Verbum è un bel doumento ma dobbiamo dire la verità non continuare a girare intorno al problema :il dramma è che i documenti del concilio han preteso di sostituirsi, nella mens delle mosche cocchiere Lercaro,Suenes,Congar,Chenu...al Magistero solenne e autentico della Chiesa,alla stessa Tradizione,creando una sorta di Chiesa parallela.Le sciagurate riforme liturgiche hanno fatto il resto.Devastati gli altari, i paramenti venduti come paralumi.
Abbiamo dovuto attendere Papa Benedetto XVI,quindi ben quarantasei anni, perché si facesse chiarezza e si parlasse di ermeneutica della continuità...il Vaticano II è un semplice concilio pastorale non dogmatico che si aggiunge agli altri, non li sostituisce.Esiste e va accettato ma sia chiaro che la sua autorità è inferiore a Trento e al Vaticano IlMagistero solenne dell Chiesa cattolica e alla stessa Tradizione creando una Chiesa parallela.
Del resto l'ambiguità è il linguaggio di quel concilio:quando si dice che la Chiesa di Cristo subsistit nella Chiesa cattolica invece di dire est che intendevano dire?Alcuni pensavano est..altri subsistit!
In quanto all'episcopato italiano a parte qualche eccezione come Siri e Carli penso abbia fatto pena...vittime del centralismo deleterio infallibilizzante romano,non sono riusciti a distinguere quello che è di Pietro da quello che non lo è votando tutto quello che Paolo VI,al rimorchio della Nouvelle Theologie renana.
In Italia il popolo cristiano è stato malgrado tutto fedele ma non grazie al clero.
Ho scritto questo solo per amore della verità.
Concordo sul fatto che il Concilio va studiato e non conservato dentro la cassetta polverosa dei modernisti che se ne sono appropriati.
Solo così renderemo un servizio alla Chiesa di Cristo. indipendentemente dai concili!
è sbagliato dire che il Vaticano II sia un concilio solo pastorale e non dogmatico.su certe questioni, ad esempio il ruolo dei vescovi e l'episcopato inteso come pienezza del sacerdozio, o ancora sul subsistit in, il concilio ha meglio definito questioni in precedenza solo abbozzate.
Antonio
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