martedì 15 maggio 2012

Arezzo, i saluti del sindaco e dell'arcivescovo (O.R.)


I saluti del sindaco e dell'arcivescovo


Un cammino da compiere insieme


Al sindaco Giuseppe Fanfani il compito di dare al Papa il primo saluto della città di Arezzo. Poco prima dell'inizio della messa ha espresso la gioia di tutti gli aretini per averlo tra di loro. «La accoglie -- ha detto tra l'altro -- una città di grande storia e di grandi tradizioni, una città da sempre operosa e forte nell'ingegno e nella laboriosità dei propri abitanti, una città che dal dopoguerra ha saputo riscattare una povertà diffusa in una grande espansione industriale, ma anche una città dal grande cuore che da sempre, con le tantissime iniziative di volontariato, ha saputo dare corpo istituzionale alla innata generosità del popolo».
Poi ha parlato al Papa dei problemi della città in questo periodo di crisi durante il quale «siamo spesso portati ad avere attenzione solo ai problemi che ogni ora ci troviamo davanti ed attenuiamo la nostra capacità di guardarci intorno, di avere attenzione agli altri, di comprendere l'assoluta necessità, etica e politica, di costruire insieme un futuro migliore per tutti» soprattutto per quanti «vivono situazioni di povertà, malattia, guerra. Ognuno è chiamato a svolgere un proprio ruolo e in questa azione sono importanti le riflessioni a cui le sue parole ci hanno e ci possono indurre».
Ha quindi preso la parola l'arcivescovo Riccardo Fontana, il quale ha voluto innanzitutto dare voce alla gioia della Chiesa per quella che ha definito una «festa dello Spirito, in cui si manifesta fortemente la comunione: il popolo di Dio adunato per la preghiera, i successori degli Apostoli, insieme al Successore di Pietro, attorno a Gesù» e grazie al quale per la Chiesa aretina sarà più facile «il recupero della dimensione soprannaturale che ci appartiene, nella Chiesa. È bello sul prato, come alla moltiplicazione dei pani, sul prato come sul monte delle beatitudini, recuperare la nostra verità di popolo in cammino verso la Gerusalemme del cielo, in questa sorta di esodo collettivo, non già dall'Egitto, ma da una cultura segnata dalla discriminazione, dalla concupiscenza e dalla violenza. Accanto a Pietro, ci sentiamo quella moltitudine dei “Centoquarantaquattromila segnati con il sigillo” dell'Apocalisse: da ogni parte della terra, il popolo di Dio è adunato dalla divina Grazia e si mette in cammino per passare in mezzo alla storia facendo del bene, sull'esempio del Signore».
Anche il popolo di questi tempi, ha poi proseguito, è terribilmente affamato della Parola che salva, della comunione che recupera alla dignità della persona, della speranza. «Un cuor solo ed un'anima sola, con questo largo presbiterio -- ha aggiunto ancora -- ci piace esprimere un'antica gratitudine per il ministero dell'illuminazione che Ella, insegnando, ha esercitato per noi quando giovanissimi studenti la leggevamo con ammirazione, a spiegarci “il Nuovo Popolo di Dio” e la Pentecoste del Concilio, nella profonda continuità della Tradizione Cattolica». «Saliti sul Colle di san Donato -- ha poi proseguito l'arcivescovo -- ci aspettiamo di ascoltare ancora la beatitudine che viene dal puntare sugli ideali che vengono dall'esperienza di Dio. Siamo venuti per monti e per valli per ritornare poi alle nostre attività quotidiane rinnovati dall'incontro con Pietro. Vogliamo dirle il desiderio forte che abbiamo avuto di stare con lei e che ora si appaga. Un cuor solo ed un'anima sola, i ministri del Signore con il popolo loro affidato in questa terra di Toscana dove la dignità della persona, il gusto della libertà e l'impegno a costruire la città dell'uomo a immagine della “Città di Dio” furono perseguiti nei secoli, ci incontriamo stamane con Pietro con tre doni nelle mani».
Il presule ha poi espresso le speranze e le attese della diocesi. «Vogliamo dirle, Padre Santo -- ha aggiunto -- che le nostre Chiese vengono da lontano e non hanno paura del nuovo, perché si affidano al Signore. Vogliamo farle dono della nostra voglia giovane di cambiare il mondo alla luce del Vangelo, puntando sulla formazione, vogliamo ripeterle la nostra determinazione a spendere la vita da cristiani, secondo la vocazione di ciascuno per il bene comune. Sappiamo della sollecitudine del Papa per il mondo intero, ma abbiamo tristezza e preoccupazione per la nostra gente di Arezzo e della provincia, alla quale vorremmo davvero fare servizio come discepoli di Gesù, risanando le ferite dello Spirito e del Corpo». Un riferimento poi ai disoccupati e alla crisi economica. «Sappiamo però -- ha detto -- che moltissimi dei nostri giovani non hanno lavoro, una famiglia su quattro delle nostre, stenta ad arrivare alla fine del mese, vi è una significativa parte della nostra popolazione che soffre di vera e amara povertà, in questo difficile momento. Ci piace molto compiere un gesto che le sappiamo molto caro. Come ci insegna il libro degli Atti degli Apostoli, ci siamo organizzati per deporre ai piedi degli Apostoli il frutto di una grande raccolta che abbiamo fatto, preferendo organizzare con parsimonia questa visita e dare a Vostra Santità la somma di danaro raccolta perché ella possa disporre di noi, per fare arrivare ai più poveri della provincia il segno di una concreta vicinanza e condivisione. Avremmo potuto riempire di fiori il Prato, ma siamo convinti che basti il segno: il Creatore ha già reso bello questo luogo, senza che si debba spendere ulteriormente, meglio dare i soldi ai poveri». Concluso il discorso l'arcivescovo ha presentato al Papa un'artistica croce pettorale offerta dagli orafi aretini come segno di devozione, accompagnando il gesto con parole di apprezzamento per quanto la comunità locale fa anche per aiutare i più bisognosi.


(©L'Osservatore Romano 14-15 maggio 2012)

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