lunedì 20 agosto 2012

Riflessioni sul celibato sacerdotale. L'innominata di Agostino (Turek)

Riflessioni sul celibato sacerdotale

L'innominata di Agostino

L'eternità e il tempo, l'infanzia e l'adolescenza, l'amicizia e l'amore, i conflitti interiori e le scelte radicali: nelle Confessioni si trovano approfondimenti e riflessioni su ciò che è essenziale per la vita umana. È quanto mette in rilievo lo studioso e sacerdote polacco della Segreteria di Stato nel volume appena giunto in libreria «Tra due anime. Le relazioni interpersonali in sant'Agostino» (Roma, Editrice Rogate, 2012, pagine 123, euro 11). Pubblichiamo ampi stralci del capitolo quinto su Agostino e la donna innominata.

di Waldemar Turek

A Cartagine, durante il secondo anno di università, Agostino prese con sé una donna. Condividerà con lei quattordici anni e il suo nome rimarrà sconosciuto. Appare nelle Confessioni piuttosto raramente, ma in maniera molto chiara; l'autore non nasconde la triste esperienza della sua vita, ma non ne parla a lungo. Sulla relazione di Agostino con l'innominata si è scritto tanto sia nel passato sia nel nostro tempo. Negli studi recenti si rileva una tendenza a difendere Agostino e il suo comportamento. Egli aveva vissuto a Tagaste esperienze tristi e rischiava di fame di peggiori; Cartagine era famosa, fra l'altro, anche per la dissolutezza dei costumi. Forse Agostino, considerando il suo passato e le possibilità che gli offriva la grande città, voleva essere più responsabile e darsi dei limiti accettando la convivenza con una donna sola.
Nel dare un giudizio sul comportamento di Agostino, bisogna tener presente principalmente due fatti. Il primo riguarda il suo stato d'animo e la sua continua ricerca della verità. Agostino non era ancora cristiano ma, essendo catecumeno, si avvicinava alla religione cristiana. Il secondo è legato alla legge civile romana che allora era in vigore e che, a chi non aveva moglie, concedeva il diritto di avere una concubina.
Lo stesso testo ci dice, comunque, che Agostino, convivendo, non si sentiva felice pienamente e sperimentava una enorme differenza tra «un patto coniugale stabilito in vista della procreazione» e «l'intesa di un amore libidinoso, ove pure la prole nasce, ma contro il desiderio dei genitori». Ed è proprio nel periodo in cui Agostino moltiplicava i peccati e diventava sempre più miserabile, che qualcosa di importante avvenne nel suo animo e nel suo cuore. Alla voce della filosofia che gli consigliava di non sposarsi per liberare la propria anima, si aggiungeva quella di Paolo e degli evangelisti, i quali, pur non vietando il matrimonio, esortavano a una vita più sublime. Dimostravano inoltre che la castità perfetta, pur essendo una scelta dell'uomo o della donna, anzitutto è un dono di Dio. Nell'animo di Agostino nacque e si rafforzò una nuova idea: per essere casto, occorreva fidarsi della grazia, prima che confidare in se stessi.
Quando leggiamo le Confessioni, là dove Agostino racconta i suoi peccati di sensualità, ci colpisce da una parte la loro gravità e, dall'altra, la sincerità di chi li ha commessi e ora li descrive. Considerando che tra i fatti e il loro racconto sono passati molti anni, sorge spontaneo un quesito: è una descrizione dei fatti o, piuttosto, una loro interpretazione con delle esagerazioni?
Richiamiamoci ancora una volta alle parole di uno dei più grandi specialisti della vita e delle attività di Agostino, padre Trapè. Egli chiarisce che nelle Confessioni abbiamo non solo una constatazione dei fatti, ma anche una valutazione di essi. La valutazione dipende, ovviamente, dal criterio che uno prende per norma di giudizio. Quando Agostino scriveva la sua opera più famosa, come criterio gli serviva la legge evangelica. «A essa s'ispirava nei suoi giudizi fino alle ultime conseguenze. Chi, per giudicare delle umane azioni adottasse altri criteri, potrà non capire certi severi giudizi, ma non acquista il diritto di rimproverare al vescovo di Ippona di aver alterato i fatti solo perché, nel giudicarli, non ha preso per norma la consuetudine umana, ma la legge divina».
Trapè spiega, in seguito, che i disordini giovanili di Agostino non debbono essere esagerati, ma neppure diminuiti. La narrazione del santo è piena di dolore e di tristezza, ma è realista e i vizi vengono condannati da lui stesso. Agostino cerca anche, per il bene dei futuri lettori delle Confessioni, le radici degli errori commessi. Nel primo testo citato, ne indica una importantissima: la passione (vagus ardor). A essa Agostino dedica non pochi brani e la presenta come una realtà complessa che, se non è trattata in modo adatto, conduce al male. È utile aggiungere che la passione viene descritta da Agostino con vari sostantivi, per esempio: ardor, libido, affectus. Già questo fatto dimostra che esistono molti generi di passioni; possono essere sentimenti, affetti, impurità del nostro spirito che sprofonda nell'amore degli affanni. Ci vuole un aiuto divino per poter vincere le cattive inclinazioni che esistono in noi. Agostino si richiama ai brani dell'apostolo Paolo che dimostrano chiaramente la necessità del conforto dello Spirito per liberarsi dalle forze che tendono a renderci schiavi (cfr. Romani, 5, 5; 1 Corinzi, 12, 1; 1 Corinzi, 13, 1-13; 1 Corinzi, 12, 31). Il vescovo di Ippona racconta, a proposito, la battaglia spirituale che avveniva dentro di lui tra le due forze della volontà, mentre ascoltava la narrazione sulla conversione di un personaggio famoso, e sintetizza: «Dalla volontà perversa si genera la passione (libido), e l'ubbidienza alla passione genera l'abitudine, e l'acquiescenza all'abitudine genera la necessità. Con questa sorta di anelli collegati fra loro, per cui ho parlato di catena, mi teneva avvinto una dura schiavitù».
Nell'odierna discussione sul celibato, condotta specialmente in ambienti laicali, si dimentica troppo spesso che esso, separato dalla vita spirituale, potrebbe essere incomprensibile e infondato. Ma si elude anche un altro fattore, cioè che tutti i cristiani sono chiamati a vivere nella castità. Questa particolarità del cristianesimo veniva spiegata e interpretata sin dai primi secoli. Significativa e chiara sembra a proposito l'affermazione di Ambrogio, maestro di Agostino: «La virtù della castità è triplice: la prima è quella coniugale, la seconda è quella della vedovanza, la terza è quella della verginità. Infatti noi non elogiamo l'una per escludere le altre».
Leggendo le Confessioni ci si interroga circa la presenza della donna nella vita del sacerdote; un tema assai studiato ed elaborato in questi ultimi anni. Si tratta di un argomento molto caro al beato Giovanni Paolo II che, nella Lettera ai sacerdoti per il Giovedì santo del 1995, ha proposto una riflessione sulla donna come madre e sorella per i sacerdoti.
Il tema trova le sue profonde radici nella Sacra Scrittura e, particolarmente, nella Prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo: «Non essere aspro nel riprendere un anziano, ma esortalo come fosse tuo padre; i più giovani come fratelli; le donne anziane come madri e le più giovani come sorelle, in tutta purezza». La donna come sorella per i sacerdoti è così presentata: «Molti tra noi sacerdoti hanno in famiglia delle sorelle. In ogni caso, ciascun sacerdote sin da bambino ha avuto modo di incontrarsi con ragazze, se non nella propria famiglia, almeno nell'ambito del vicinato, nei giochi d'infanzia e a scuola. Senza dubbio “la sorella” rappresenta una specifica manifestazione della bellezza spirituale della donna; ma essa è, al tempo stesso, rivelazione di una sua “intangibilità”. Se il sacerdote, con l'aiuto della grazia divina e sotto la speciale protezione di Maria Vergine, matura in questo senso il suo atteggiamento verso la donna, vedrà il suo ministero accompagnato da un sentimento di grande fiducia proprio da parte delle donne, guardate da lui, nelle diverse età e situazioni di vita, come sorelle e madri».

(©L'Osservatore Romano 22 luglio 2012)

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