mercoledì 22 agosto 2012

L'importanza del pellegrinaggio nell'Anno della fede. Camminando nel quinto Vangelo (Tibaldi)

L'importanza del pellegrinaggio nell'anno della fede

Camminando nel quinto vangelo


di Marco Tibaldi


«Alla fine, però, per tutti rimane sempre la domanda che Giuda Taddeo rivolse a Gesù nel cenacolo: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” (Giovanni, 14, 22) [...] la domanda riguarda, però, non soltanto la risurrezione, ma l'intero modo in cui Dio si rivela al mondo: perché solo ad Abramo -- perché non ai potenti del mondo? Perché solo a Israele e non in modo indiscutibile a tutti i popoli della terra?». 

Così, con la consueta efficacia, al termine del secondo volume dedicato a Gesù di Nazaret, Benedetto XVI riassume una delle caratteristiche fondamentali della rivelazione cristiana. Per raggiungere tutti i popoli ne è stato scelto uno, per salvare tutti gli uomini, Dio stesso si è fatto uomo nel segno della piccolezza, della mitezza, del nascondimento.
Il pensiero del Papa ci aiuta a cogliere, in preparazione all'anno della fede, il valore permanente della terra in cui Gesù, portando a compimento la storia della salvezza, è vissuto, morto e risorto. Non a caso, il pellegrinaggio in Terra Santa è stato indicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede come una delle più felici occasioni da cogliere per il rinvigorimento della propria fede: «Sarà importante anche favorire i pellegrinaggi in Terra Santa, luogo che per primo ha visto la presenza di Gesù, il Salvatore, e di Maria, sua madre». Dell'importanza che Israele detiene per la nascita e la crescita della fede cristiana tratta l'ultimo libro del gesuita Francesco Rossi de Gasperis, assieme ad Antonella Carfagna, Luoghi di rivelazione. Dove sulla terra si apre il cielo (Bologna, Dehoniane, 2012, pagine 249, euro 23).
Per almeno tre decenni, Rossi de Gasperis ha alternato il soggiorno in Israele con l'insegnamento presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Coadiuvato da Carfagna, ha svolto un'intensa attività di accompagnamento di numerosi pellegrini che lo ha portato ad approfondire e radicare una solida teologia cristiana della terra di Gesù. Il primo dato che egli sottolinea è la centralità del mistero della risurrezione: «la perfetta identità tra il soggetto terreno dell'incarnazione e quello celeste della risurrezione gloriosa è la chiave di lettura di tutta la realtà, anche e soprattutto del tema biblico della Terra».
Da questo riconoscimento derivano infatti molteplici conseguenze. In primo luogo, il fatto che il pellegrinaggio non è prima di tutto una visita archeologica o storica, perché colui di cui quella terra e la sua storia parlano è il vivente per eccellenza (Luca, 24, 15). Per questo, pellegrinare nella Terra Santa significa avere l'opportunità straordinaria di poter incontrare il risorto nei luoghi in cui è vissuto.
In secondo luogo, osservare la terra con tutte le sue caratteristiche significa poter comprendere meglio l'identità e l'intimità stessa di Gesù. Torna alla mente quanto affermato da Giovanni Paolo II nel 1999 nella sua Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati al mistero della salvezza: «Così come il tempo può essere scandito dai kairòi, momenti speciali di grazia, in modo analogo lo spazio può essere segnato da particolari interventi salvifici di Dio». In questo modo la terra diventa veramente quel Quinto vangelo, come la definì Paolo VI, in quanto dice ancora Rossi de Gasperis: «La Terra, nel compimento che Gesù comincia a dare alle Scritture, si fa viva nella sua carne, il suo corpo e la sua psiche ebraica; nel suo pane, che egli stesso è; nella relazione unica con sua madre; nel suo lavoro di falegname, nella conoscenza particolareggiata e appassionata che egli mostra di avere del suo paese, dei campi, del lago, del suo sole e del suo cielo; nelle sue amicizie e nella solidarietà con la sua gente, uomini e donne, contadini, artigiani, pescatori, cittadini».
Ciò fa sì che il pellegrino deve prestare la stessa attenzione e venerazione che si ha normalmente per i santuari, in cui la Tradizione fa memoria dei vari episodi della vita di Gesù o di Israele, per i luoghi, i panorami, il clima e soprattutto per le persone che oggi lì vivono. Non si può visitare la terra dove è vissuto il Santo di Dio ritenendo, per esempio, che coloro che oggi la amministrano siano stati estromessi dalla storia della salvezza.
Il nuovo Israele non ha annullato l'antico, proprio come «Il Cristo risorto e trasfigurato conduce tutte le cose al loro pieno compimento reale, rivelando l'ultima relazione di esse a lui, non facendole scomparire, ma illuminandole della sua gloria, così come il Padre aveva fatto con Mosè ed Elia, sul monte della trasfigurazione». Allo stesso modo, non si possono ignorare le fatiche della ancora difficilissima convivenza tra gli appartenenti alle varie religioni monoteiste che lì convivono, rubricandole come indebite questioni politiche, che non devono interferire con lo svolgimento di un pellegrinaggio.
Senza poter entrare nel merito delle intricate e dolorose vicende che hanno segnato questa storia antica e recente, ciò che Rossi de Gasperis asserisce con forza è la necessità di cominciare a leggere questi temi non solo all'intero di un'ottica, pur necessaria ma meramente umana, di ricerca e promozione della giustizia, ma come provocazione teologica, relativa al legame inscindibile tra creazione e alleanza perché, così conclude: «Finché non si affronti questo scarto tra creazione e alleanza, specialmente a proposito della terra, una vera pace tra musulmani, cristiani ed ebrei rimarrà lontana».

(©L'Osservatore Romano 22 agosto 2012) 

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