lunedì 27 agosto 2012

Card. Barbarin: L'Anno della Fede è un bel regalo, per la Francia e per tutta la Chiesa (Zappalà)

IL CARDINALE BARBARIN: «LA REPUBBLICA LAICA È UN BENE,
LA MENTALITÀ LAICISTA PROPRIO NO»

Daniele Zappalà

L'Anno della Fede è un bel regalo, per la Francia e per tutta la Chiesa. Abbiamo già vissuto un Anno del sacerdozio straordinario, con l’impressione, a Lione, di essere per un anno come la banlieue d’Ars. L’Anno della fede ci permetterà di approfondire il Credo e di conoscere meglio il Catechismo della Chiesa cattolica. È ciò che il Papa ha voluto fare l’anno scorso con i giovani, alla Gmg di Madrid, offrendo loro Youcat». Il cardinale Philippe Barbarin, primate delle Gallie in qualità di arcivescovo di Lione, è noto per il suo impegno nel dialogo ecumenico e interreligioso, ma anche per l’eco particolare dei suoi interventi sulla scena nazionale. La settimana scorsa, il Figaro ha aperto in prima pagina con un appello del presule suonato come un monito a tutta la classe politica: «Non si deve snaturare il matrimonio».

Che cosa significa oggi l’espressione classica «Francia, figlia primogenita della Chiesa»?

Ciò richiama una storia molto ricca che dobbiamo ricordare e per la quale occorre rendere grazie a Dio. Ma badiamo a non lasciarci invadere dal passato, per quanto meraviglioso. Il Signore ci attende nel presente e futuro. Lione, per esempio, ricorda i suoi martiri del II secolo, divenuti come una fonte d’evangelizzazione della Gallia e del Nordeuropa. Ma ricordiamo che la parola greca martire vuol dire testimone. Questo punto iniziale impressionante della nostra Chiesa ci conduce a porre una domanda essenziale: «Siamo i servitori e i testimoni del Signore?».

Come si esprime, nei modi più eloquenti, lo slancio missionario della Chiesa?

In Francia abbiamo molta fortuna. Degli stranieri mi confidano la loro ammirazione di fronte alle iniziative, molteplici e toniche, prese dalla nuova evangelizzazione. Abbiamo scuole teologiche e movimenti spirituali molto vitali e audaci. Basti pensare al nuovo studium di Notre-Dame de Vie, a Venasque, o a quello della facoltà Notre-Dame a Parigi, o alla rinascita dei domenicani a Tolosa. Conosciamo uno sviluppo impressionante delle nuove comunità, simile a quello del Brasile. Alcune, come l’Emmanuel e Chemin Neuf, hanno già circa 40 anni d’esperienza. Si possono evocare pure le innumerevoli innovazioni missionarie, attraverso la musica e i concerti o i nuovi siti Internet d’evangelizzazione. Nella mia diocesi, viviamo la bella esperienza dei "Laboratori della fede", nella scia dell’appello lanciato da Giovanni Paolo II durante il giubileo dell’anno 2000.

Dove si trovano le principali difficoltà?

In un certo senso, siamo attualmente molto poveri, poiché delle parti intere sono crollate: molti monasteri e seminari hanno chiuso. Il clero invecchia e ciò provoca una reale sofferenza, talvolta persino una certa destabilizzazione nelle nostre comunità. Ogni anno, a Lione, ordino due o tre preti e ne muoiono circa venti. Al contempo, constatiamo un vero dinamismo, una sorprendente vitalità. Non vorrei essere un ottimista ingenuo, né un fosco pessimista. Ci sono situazioni allarmanti in numerose diocesi e delle forze di rinnovamento un po’ dappertutto.

La presenza e la parola dei cattolici nella società restano una sfida?

Abbiamo libertà di parola e il dovere di esprimerci per il bene della società, soprattutto in questa fase di dubbio sull’avvenire della nostra civiltà. Talvolta, ho l’impressione che la nostra democrazia stia tagliando l’albero su cui vive. In Francia, abbiamo visto il potere perdere la testa quando è divenuto una «monarchia assoluta» e si è cominciato a parlare di un «re sole». Spero che non entreremo in un’era di «democrazia assoluta», dimenticando che ogni forma di potere è fatta innanzitutto per servire. Si dice spesso che la democrazia è «il regime meno cattivo». Cercando di restare in ascolto e di rispettare il bene di tutti, un parlamento deve votare una legge finanziaria e legiferare. Ma se si arroga il diritto di cambiare i fondamenti della società, cioè se si prende per il Buon Dio, allora siamo in pericolo. Anche un parlamento può condurre un Paese nel baratro. È sempre difficile restare umili al potere.

Spesso rilanciato, il dibattito sulla laicità nasconde faglie profonde?

La Francia vive le sequele di un vecchio conflitto. Con la legge di separazione del 1905, lo Stato s’impegna a garantire la libertà di culto e affida ai credenti la responsabilità finanziaria della Chiesa. Ciò fa onore ai cattolici: la formazione di un seminarista costa 20 mila euro l’anno. Il problema è che dietro la parola laicità si nasconde spesso un certo odio della religione. Dunque, una Repubblica laica sì, ma una mentalità laicista no. L’ex presidente della Repubblica aveva promosso una «laicità positiva», il che prova bene che essa non lo è, spontaneamente. Di norma, questa parola non dovrebbe richiedere aggettivi. Ma, di fatto, la Francia è ancora strattonata fra due vecchie correnti: rispettare la religione o combatterla.

© Copyright Avvenire, 26 agosto 2012 consultabile online anche qui.

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