mercoledì 27 giugno 2012
La toccante sosta del Papa dinanzi alla chiesa di Santa Caterina di Alessandria (Ponzi)
La toccante sosta dinanzi alla chiesa di Santa Caterina di Alessandria
Tra un popolo provato che non ha perso la speranza
dal nostro inviato Mario Ponzi
È ancora sepolto lì. Sotto le macerie della chiesa di Santa Caterina di Alessandria, a Rovereto di Novi. Il Papa, durante l'Angelus del 10 giugno scorso, di quel Cristo che aveva voluto condividere sino all'estremo il destino dei suoi fratelli terremotati dell'Emilia aveva parlato commosso, ricordando le particole consacrate rimaste sotto le rovine.
Questa mattina, fermo e silenzioso, con gli occhi persi oltre quell'ingresso sbarrato di ciò che resta della chiesa, è sembrato pregare davanti a un nuovo sepolcro. E certamente nel cuore della sua preghiera Benedetto XVI ha associato in quel momento il ricordo di don Ivan Martini, il parroco che nell'estremo tentativo di recuperare quelle particole e di salvare il venerato quadro di santa Caterina, è rimasto schiacciato lui stesso dal crollo di altre parti del tetto della chiesa. Accanto a lui la statua della Madonna, quella sì salvata da don Ivan per la sua gente, come il segno di una devozione antica.
È forse questa l'immagine simbolo delle poche ore trascorse da Benedetto XVI martedì mattina, 26 giugno, tra i terremotati dell'Emilia. Già a Milano, durante il raduno mondiale delle famiglie, aveva manifestato il suo vivo desiderio di trovarsi in mezzo a loro. Aveva rinunciato solo per non recare disturbo nell'immediatezza della tragedia. Appena è stato possibile li ha raggiunti. Non ha voluto formalità per il suo viaggio nella sofferenza di un popolo provato, ma ricco di speranza e pieno di dignità. Ha voluto fosse chiaro il suo intento di condividere qualche istante della loro drammatica situazione, di portare conforto, preghiera e la certezza di non essere completamente abbandonati. Poche ore è rimasto tra quella gente. Poche ma sufficienti per portare parole che danno il senso della vita, della storia stessa dell'uomo al di là di tutti i dolori e di tutte le sofferenze. E ancora una volta ha evocato il quadro della famiglia, rifugio dei più piccoli quando sono colti dal timore di ciò che la vita riserva. «Come il bambino che sa sempre di poter contare sulla mamma e sul papà -- dirà più tardi parlando con la gente -- perché si sente amato, voluto, qualunque cosa accada. Così siamo noi rispetto a Dio: piccoli, fragili, ma sicuri nelle sue mani». E ha ricordato la forza della preghiera. Lo ha fatto come sempre succede quando è il suo cuore a parlare. I sacerdoti pregano tutti i giorni, recitano «il breviario», ha spiegato. E in questi giorni, proprio lì ha trovato una frase del salmo 46, che ha voluto ripetere perché fosse di conforto.
Il Papa è giunto in elicottero poco dopo le 10.20 nel campo sportivo di San Martino di Carpi. Un gruppetto di bambini gli si è fatto incontro per dargli il benvenuto. Con loro c'erano, tra gli altri, il vescovo di Carpi Francesco Cavina e il capo della Protezione civile Franco Gabrielli. Salito a bordo di un pulmino insieme con gli arcivescovi Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e Harvey, prefetto della Casa Pontificia, il vescovo De Nicolò, reggente della Prefettura, il segretario particolare monsignor Gänswein, e il medico personale Polisca che lo accompagnavano, il Pontefice ha compiuto la prima sosta proprio davanti alla parrocchia di don Ivan. Le rovine della chiesa si trovano all'interno della zona rossa, dov'è consentito l'acceso solo a pochi addetti alla sicurezza. C'è ancora il rischio di crolli e gli edifici che rimasti in piedi mostrano il volto minaccioso del pericolo imminente.
Sceso dal pulmino il Papa si è avvicinato a ciò che resta della chiesa. Gli hanno spiegato alcuni particolari della tragedia. Il vescovo di Carpi gli ha parlato sommessamente di don Ivan, uomo mite e sacerdote forte e coraggioso. Benedetto XVI ha ascoltato con interesse, poi ha pregato. Ha salutato due donne in rappresentanza delle famiglie che hanno perso familiari e il fratello di don Ivan prima di riprendere il suo cammino. In molti lo attendevano radunati nei pressi del Campo Primavera, una delle 37 tendopoli che ospitano le oltre 12.500 persone assistite dalla protezione civile. Sono stati messi in campo più di cinquemila operatori ai quali si affiancano centinaia di volontari giunti da ogni parte d'Italia. La zona è tra quelle più colpite dalle scosse del 20 e del 29 maggio. Ventisei le vittime, circa undicimila senza tetto, danni per miliardi di euro.
Difficile parlare di accoglienza festosa in un contesto simile. E tuttavia non si può tacere su quanto a questa gente abbia fatto piacere l'attenzione del Papa. Non hanno più niente eppure hanno trovato il modo per presentarsi al gradito «ospite» così come si conviene. Al suo arrivo hanno sventolato di tutto lungo il percorso: bandierine improvvisate, foulard o anche semplici pezzi di stoffa. Ed è comparso anche qualche timido striscione di benvenuto, ma soprattutto di ringraziamento. Evidente l'intenzione di offrire un'accoglienza gioiosa e forse anche quella di allontanare, sia pure per pochi istanti, lo spettro di un futuro pieno di incognite. C'erano rappresentanze di tutti i paesi colpiti dal sisma, con i vescovi delle diocesi. Il governo italiano era rappresentato dal ministro del Turismo, Sport e Affari regionali Piero Gnudi.
Poi è venuto il momento delle parole. Errani ha parlato della tragedia, dell'impegno nell'assistere nel miglior modo possibile questa gente, di progetti difficili ma non impossibili da realizzare se il futuro sarà declinato dalla solidarietà di tutti. L'arcivescovo di Bologna, cardinale Carlo Caffarra, ha sottolineato il coraggio di queste genti. Anche il Papa ha parlato di coraggio, ricordando quello che gli italiani hanno sempre mostrato nella storia. Ha rievocato la ricostruzione dell'Italia sulle macerie della seconda guerra mondiale e si è detto certo che sarà così anche stavolta. A patto che non ci si lasci travolgere da intenzioni che nulla hanno a che fare con la solidarietà.
Quindi il momento forse più sentito, quello della preghiera. Per le vittime innanzitutto. E poi per le famiglie che stanno vivendo in condizioni drammatiche, soffocate dalle privazioni e dal dolore prima ancora che da un'estate esplosa impietosamente torrida. La benedizione del Pontefice è stata colta quasi come un segno di liberazione. Liberazione dalle angosce che inesorabilmente hanno rischiato di sopraffare gente comunque fiera e non facile a lasciarsi andare allo sconforto: il terremoto ha colpito e continuato a colpire giorno dopo giorno anche la voglia più ostinata di ricominciare da capo. La zona è una di quelle più produttive del Paese; è stata messa in ginocchio dalla violenza scatenata dalla natura ma anche da improvvide scelte di qualcuno che ha visto sgretolarsi con le mura di complessi industriali mal costruiti anche le speranze di benessere. Il Papa ha riportato fiducia, ha rafforzato l'anima di questa gente che oggi si sente più pronta a ricominciare. Sarà per questo che quasi non volevano lasciarlo andare via il Papa. Gli si sono stretti attorno. In tanti avrebbero voluto abbracciarlo. Tra i primi proprio quelli che in questi giorni stanno facendo di tutto per aiutare questa gente a ricominciare, i volontari. Riconoscibili i più dalle tute sgargianti che indossano, o da una semplice fascia attorno al braccio. Benedetto XVI per loro ha avuto parole di riconoscenza e di ringraziamento. Da domani sarà anche per loro più facile lavorare per l'oggi di queste persone.
Il Papa è ripartito per Roma verso mezzogiorno. Alle sue spalle una popolazione rigenerata nei suoi entusiasmi e nelle sue speranze. Nella tendopoli la vita è ripresa, scandita dal ritmo di sempre. Ci sono i pasti da preparare e distribuire, macerie da rimuovere, verifiche di stabilità da completare, vettovaglie e ogni altro genere di necessità scaricati di continuo da grossi camion da immagazzinare, gente da assistere e confortare. Ma la sensazione viva è che in questi luoghi della distruzione il Papa abbia realmente riportato Cristo, il suo messaggio aperto fiducia. «Hanno avvertito la semplicità della sua vicinanza -- dice il vescovo Cavina -- e l'hanno vissuta come un dono. E sono in tanti, adesso che il Papa è partito, a cedere il campo alle lacrime». Ma la risposta più bella era sulle magliette dei bambini della scuola materna che avevano abbracciato il Papa prima che lasciasse il palco. C'era disegnato un cuore ferito ma «senza crepe» e sotto la scritta «Teniamo botta».
(©L'Osservatore Romano 27 giugno 2012)
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