Quelle lettere consegnate al Pontefice
CATERINA GIUSBERTI
ROVERETO - Ci sono due lettere appese alla bacheca della tendopoli. Una è per il Papa, da tutti gli abitanti del piccolo comune alle porte di Novi. L' altra è per questi ultimi da parte di Vincenzo, uno dei due vigili che era con don Ivan quando è morto, il 29 maggio per salvare la statua della Madonna. «A noi vigili ci reputano eroi - scrive Vincenzo - il mio eroe è lui: don Ivan».
LA LETTERA per papa Benedetto XVI gliela consegnano due parrocchiane, Milva Marri e Rossana Caffini, davanti alla chiesa di Santa Caterina, dove don Ivan è morto, sepolto dalle macerie. Stanno in piedi davanti all' ingresso con la busta chiusa in mano e le mani in grembo. La lettera l' hanno scritta tutti gli abitanti. Due pagine fitte di parole, che non fanno sconti. Con richieste precise. Al Santo Padre chiedono una preghiera «per riconciliarsi con il Signore». «Inermi di fronte alla natura - scrivono - comprendiamo che le sue vie non sono le nostre vie». Al sindaco Luisa Turci (anche lei rimasta senza casa) di «fare ripartire la vita della città». Al presidente della Regione di «vigilare affinché arrivino tutti i finanziamenti necessari a fare ripartire industrie e commercio». A tutte le autorità «di non essere dimenticati», perché da un mese vivono «nell' Apocalisse». Le ultime parole sono per don Ivan. «Gli volevamo davvero tutti bene, ora ci manca una guida, il Don ci manca tanto», scrivono gli sfollati. La morte del parroco, sepolto dalle macerie della sua chiesa ha colpito molto anche i vigili del fuoco che erano con lui. Venivano da Albenga, provincia di Savona. La mattina del terremoto, quando hanno visto che il parroco non si era messo in salvo come loro, sono rientrati subito dentro la chiesa, mentre la campana suonava all' impazzata per colpa delle scosse. Niente, non sono riusciti a salvarlo. Sono tornati a casa, ma il pensiero è rimasto inchiodato lì. Da Albenga, uno di loro, Vincenzo, ha scritto una lettera agli abitanti di Rovereto, che oggi fa bella mostra nel campo degli sfollati. «Buongiorno - comincia - sono uno dei due vigili del fuoco che erano assieme al povero don Ivan al momento della tragedia. Volevo solo scrivervi due righe (...) per dirvi che sia io sia il mio collega siamo molto dispiaciuti di non avergli potuto salvare la vita». Colpa di quella «maledetta scossa, terribile, violenta, improvvisa», che ha travolto tutti coloro che si trovavano dentro alla chiesa. Quel don Ivan che in cinque minuti avevano conosciuto come una persona «allegra, simpatica, brava», se n' è andato in dieci «maledetti secondi». Vincenzo si è salvato per un pelo. E oggi pensa che, forse, quel prete «benvoluto da tutti» è morto anche al posto suo. «Siè sacrificato per me che ho moglie e figli, ha scelto lui chi doveva essere sacrificato. Ciao sarai sempre nel mio cuore».
© Copyright Repubblica (Bologna), 27 giugno 2012 consultabile online anche qui.
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