mercoledì 21 novembre 2012

Il libro del Papa sull'infanzia di Gesù. La parola che resta (Marina Corradi)

Su segnalazione di Alessia leggiamo:


Il libro del Papa sull'infanzia di Gesù 

La parola che resta

Marina Corradi

Se un libro è anche ciò che te ne resta quando, dopo averlo chiuso, al mattino ti svegli e ne hai, più forte delle altre, in mente una parola, allora del libro di Benedetto XVI ciò che te ne resta, quella parola, è: «Di dove sei tu?». Che è l’esordio del primo capitolo, e un verso del Vangelo di Giovanni. Quello in cui Pilato, interrogando lo sconosciuto prigioniero, d’improvviso come preso da una inquietudine gli lancia questa domanda: di dove sei, da dove vieni, tu che ti dici un re, e però «non di quaggiù». Cose assurde queste, certo, per un assennato giudice romano; che però di fronte a quell’uomo non riesce a sottrarsi a un turbamento.
«Di dove sei tu?», incipit dell’ultimo volume della trilogia su Gesù di Benedetto XVI, è la domanda che tacitamente percorre queste pagine. 
A 85 anni Joseph Ratzinger continua a inseguire Cristo nei passi della sua storia terrena, da esegeta attento a ogni sfumatura della lingua e delle Scritture - e come ostinatamente sulle tracce di qualcuno di molto amato. Di un uomo però che, pure nato e passato dentro la storia, non è riducibile nemmeno solo a testimonianze, luoghi, parole, ma ha sempre ancora qualcosa di misterioso, di oltre; per cui occorre continuarlo a cercare.
Perché nemmeno la lunga genealogia della stirpe di Davide che apre il Vangelo di Matteo basta a rispondere davvero a quel «di dove», se poi, scrive il Papa, Maria è un inizio totalmente nuovo, e il suo concepimento un evento che supera ogni umana eredità. Di dove sei tu? La domanda qui si arresta nell’istante sospeso al "sì" di una giovane ebrea, l’attimo di cui  San Bernardo scrisse: «L’angelo aspetta la risposta; deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato» - come immaginando terra e cieli immobili, in ascolto.
Ma oltre al «di dove» un’ altra tensione percorre le pagine del Papa, e riguarda ciò che accade, e ciò che era annunciato. Giacché, spiega Benedetto, quel che avviene tra l’annuncio a Maria e l’incontro con Elisabetta, e il parto, e l’adorazione dei Magi, è tutto in un inseguirsi di profezie pronunciate anche centinaia di anni prima, come in Isaia: «Ecco la vergine che concepisce e darà alla luce un figlio, e gli porrà nome Emmanuele...».
E Sofonia, e Michea, e poi ancora, nell’ora di Erode, Geremia, col pianto di Rachele per i figli perduti. Profezie antiche che, dice il Papa, erano come «parole senza padrone», come rimaste dormienti nei secoli: aspettando il kairos, l’attimo per inverarsi, in un momento preciso del tempo e della storia, in un istante eternamente atteso. 
E dunque il Papa scrive come da dentro un tempo più grande e profondo; e che pure genera un assolutamente concreto giorno a Betlemme - una donna, il buio, il freddo, un vagito. L’avvento di Cristo da un parto verginale, annota però Benedetto, è altrettanto di scandalo al mondo che la pretesa della Resurrezione. Sono i due scogli alla razionalità davanti ai quali gli uomini si fermano, esitano, spesso sorridono - come di storie da bambini. Ma: Dio ha potere dunque anche sulla materia, si chiede Benedetto, può sconvolgerne le leggi in un sepolcro, o farvi irruzione, come nell’annuncio a Maria? Se Dio non potesse far questo, risponde, non sarebbe Dio. E però la  questione è lanciata a chi legge, in attesa di un no o di un sì di ognuno. Perché, se anche una cappa di smemoratezza o sentimentalismo ci confondono l’immagine di quella notte, e se il presepe lo facciamo per far contenti i bambini, la ingombrante domanda resta. Non è meno scandalosa della Resurrezione, l’idea di un Dio che generi un figlio da una donna; come appeso anch’egli per un interminabile istante al suo "sì". Il Papa col suo terzo libro su Gesù ci porta a quel momento e poi a una notte in Palestina, a un bivacco di poveri, davanti a un bambino all’apparenza uguale ai nostri. «Di dove sei tu?». Che questa domanda ci insegua nel Natale che viene; che non ci lasci indifferenti o tranquilli.

© Copyright Avvenire, 21 novembre 2012 consultabile online anche qui.

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