mercoledì 28 dicembre 2011

Ultima udienza generale dell'anno. Il Papa: riscoprire la bellezza di pregare insieme in famiglia

Ultima udienza generale dell'anno. Il Papa: riscoprire la bellezza di pregare insieme in famiglia

Stamani il Papa, nella 45.ma e ultima udienza generale di quest’anno, ha svolto la catechesi sulla preghiera alla luce della Santa Famiglia di Nazaret. “La famiglia – ha detto - è Chiesa domestica e deve essere la prima scuola di preghiera. Nella famiglia i bambini, fin dalla più tenera età, possono imparare a percepire il senso di Dio, grazie all’insegnamento e all’esempio dei genitori, vivere in un'atmosfera della presenza di Dio. Un’educazione autenticamente cristiana non può prescindere dall’esperienza della preghiera. Se non si impara a pregare in famiglia, sarà poi difficile riuscire a colmare questo vuoto”. Per questo il Papa ha invitato “a riscoprire la bellezza di pregare assieme come famiglia alla scuola della Santa Famiglia di Nazaret e così divenire realmente un cuor solo e un'anima sola, una vera famiglia".

Il Papa ha sottolineato che "proprio attraverso la preghiera noi diventiamo capaci di accostarci a Dio con intimità e profondità". La Santa Famiglia di Nazaret "è una scuola di preghiera, dove si impara ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato profondo della manifestazione del Figlio di Dio, traendo esempio da Maria, Giuseppe e Gesù".

"Rimane memorabile - ha proseguito - il discorso del Servo di Dio Paolo VI nella sua visita a Nazaret. Egli disse che alla scuola della Santa Famiglia noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo”. E aggiunse: “In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazaret, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri» (Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964)".

Il Pontefice ha tratto alcuni spunti sulla preghiera, sul rapporto con Dio, della Santa Famiglia dai racconti evangelici dell’infanzia di Gesù. "Possiamo partire dall’episodio della presentazione di Gesù al tempio. San Luca narra che Maria e Giuseppe, «quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore» (2,22). Come ogni famiglia ebrea osservante della legge, i genitori di Gesù si recano al tempio per consacrare a Dio il primogenito e per offrire il sacrificio. Mossi dalla fedeltà alle prescrizioni, partono da Betlemme e si recano a Gerusalemme con Gesù che ha appena quaranta giorni; invece di un agnello di un anno offrono l’offerta delle famiglie semplici, cioè due colombi. Quello della Santa Famiglia è il pellegrinaggio della fede, dell’offerta dei doni, simbolo della preghiera, e dell’incontro con il Signore, che Maria e Giuseppe già vedono nel figlio Gesù".

"La contemplazione di Cristo - ha rilevato - ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale, poiché è nel suo grembo che si è formato, prendendo da lei anche un’umana somiglianza. Alla contemplazione di Gesù nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria. Lo sguardo del suo cuore si concentra su di Lui già al momento dell’Annunciazione, quando lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi ne avverte a poco a poco la presenza, fino al giorno della nascita, quando i suoi occhi possono fissare con tenerezza materna il volto del Figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia. I ricordi di Gesù, fissati nella sua mente e nel suo cuore, hanno segnato ogni istante dell’esistenza di Maria. Ella vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni sua parola. «Da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19)", così descrive san Luca "l’atteggiamento di Maria davanti al Mistero dell’Incarnazione, atteggiamento che si prolungherà in tutta la sua esistenza". "Luca è l’evangelista che ci fa conoscere il cuore di Maria, la sua fede (cfr 1,45), la sua speranza e obbedienza (cfr 1,38), la sua interiorità e preghiera (cfr 1,46-56), la sua libera adesione a Cristo (cfr 1,55). E tutto questo procede dal dono dello Spirito Santo che scende su di lei (cfr 1,35), come scenderà sugli Apostoli secondo la promessa di Cristo (cfr At 1,8). E questa immagine che ci dona san Luca presenta Maria come il modello di ogni credente che conserva e confronta le parole e le azioni di Gesù, un confronto che è sempre un progredire nella conoscenza di Lui. Sulla scia del beato Giovanni Paolo II (cfr Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae) possiamo dire che la preghiera del Rosario trae il suo modello proprio da Maria, poiché consiste nel contemplare i misteri di Cristo in unione spirituale con la Madre del Signore".

Benedetto XVI ha quindi sottolineato che "la capacità di Maria di vivere dello sguardo di Dio è, per così dire, contagiosa. Il primo a farne l’esperienza è stato san Giuseppe. Il suo amore umile e sincero per la sua promessa sposa e la decisione di unire la sua vita a quella di Maria ha attirato e introdotto anche lui, che già era un “uomo giusto” (Mt 1,19), in una singolare intimità con Dio. Infatti, con Maria e poi, soprattutto, con Gesù, egli incomincia un nuovo modo di relazionarsi a Dio, di accoglierlo nella propria vita, di entrare nel suo progetto di salvezza, compiendo la sua volontà. Dopo aver seguito con fiducia l’indicazione dell’Angelo - «non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20) - egli ha preso con sé Maria e ha condiviso la sua vita con lei; ha veramente donato tutto se stesso a Maria e a Gesù, e questo l’ha condotto verso la perfezione della risposta alla vocazione ricevuta. Il Vangelo, come sappiamo, non ha conservato alcuna parola di Giuseppe: la sua è una presenza silenziosa ma fedele, costante, operosa. Possiamo immaginare che anche lui, come la sua sposa e in intima consonanza con lei, abbia vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù gustando, per così dire, la sua presenza nella loro famiglia. Giuseppe ha compiuto pienamente il suo ruolo paterno, sotto ogni aspetto. Sicuramente ha educato Gesù alla preghiera, insieme con Maria. Lui, in particolare, lo avrà portato con sé alla sinagoga, nei riti del sabato, come pure a Gerusalemme, per le grandi feste del popolo d’Israele. Giuseppe, secondo la tradizione ebraica, avrà guidato la preghiera domestica sia nella quotidianità – al mattino, alla sera, ai pasti -, sia nelle principali ricorrenze religiose. Così, nel ritmo delle giornate trascorse a Nazaret, tra la semplice casa e il laboratorio di Giuseppe, Gesù ha imparato ad alternare preghiera e lavoro, e ad offrire a Dio anche la fatica per guadagnare il pane necessario alla famiglia".

Il Papa indica poi "un altro episodio che vede la Santa Famiglia di Nazaret raccolta insieme in un evento di preghiera. Gesù ha dodici anni si reca con i suoi al tempio di Gerusalemme. Questo episodio si colloca nel contesto del pellegrinaggio, come sottolinea san Luca: “I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa” (2,41-42). Il pellegrinaggio è un’espressione religiosa che si nutre di preghiera e, al tempo stesso, la alimenta. Qui si tratta di quello pasquale, e l’Evangelista ci fa osservare che la famiglia di Gesù lo vive ogni anno, per partecipare ai riti nella Città santa. La famiglia ebrea, come quella cristiana, prega nell’intimità domestica, ma prega anche insieme alla comunità, riconoscendosi parte del Popolo di Dio in cammino". "La Pasqua è il centro e il culmine di tutto questo, e coinvolge la dimensione familiare e quella del culto liturgico e pubblico".

"Nell’episodio di Gesù dodicenne - ha aggiunto - sono registrate anche le prime parole di Gesù: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?”. Per il Papa la parola «Padre» è la chiave di accesso al mistero della preghiera cristiana: "qui, quando Gesù è ancora pienamente inserito nella vita della Famiglia di Nazaret, è importante notare la risonanza che può aver avuto nei cuori di Maria e Giuseppe sentire dalla bocca di Gesù quella parola 'Padre'”, e "sentirla con la consapevolezza del Figlio Unigenito, che proprio per questo ha voluto rimanere per tre giorni nel tempio", che è la “casa del Padre”. Da allora, la vita nella Santa Famiglia fu ancora più ricolma di preghiera", perché "dal cuore di Gesù fanciullo – e poi adolescente e giovane – non cesserà più di diffondersi e di riflettersi nei cuori di Maria e di Giuseppe questo senso profondo della relazione con Dio Padre". "La Famiglia di Nazaret - ha detto il Papa - è il primo modello della Chiesa in cui, intorno alla presenza di Gesù e grazie alla sua mediazione, si vive tutti la relazione filiale con Dio, che trasforma anche le relazioni interpersonali".

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