mercoledì 15 agosto 2012

Vatileaks, la pubblicazione dei documenti fa pensare che fra due linee, una più insabbiatrice e l’altra più inquisitiva, abbia prevalso la volontà del Papa, di far luce fino in fondo, in tutti gli aspetti, e non solo nei reati (Tosatti)


L'INCHIESTA NON HA FINORA PORTATO ALLA SCOPERTA DI UN MOVENTE

Vatileaks, Benedetto XVI vuole chiarezza sui complici di Gabriele

Dopo il rinvio a giudizio del maggiordomo l'indagine punta sui possibili "manovratori"

MARCO TOSATTI

CITTÀ DEL VATICANO

La sentenza di rinvio a giudizio di Paolo Gabriele e di Claudio Sciarpelletti è un documento di grande importanza e interesse; perché rivela, o lascia intravedere aspetti e dettagli di tutta la vicenda che meriterebbero di essere approfonditi. E c’è da sperare che ulteriori fasi dell’inchiesta giudiziaria, annunciate, e la pubblicazione dell’inchiesta compiuta dai cardinali Herranz Tomko e De Giorgi, che dovrebbe avvenire nel prossimo futuro, portino luce su tutti gli aspetti di una storia dai molti contenuti ancora oscuri. 
Questi dettagli fanno pensare che fra due linee, una più insabbiatrice e l’altra più inquisitiva, abbia prevalso la volontà del Papa, di far luce fino in fondo, in tutti gli aspetti, e non solo nei reati, in questa straordinaria vicenda.
Se alcuni dei lettori hanno familiarità con Agata Christie e Rex Stout, capiranno che in questo thriller di cui conosciamo l’«assassino» (Gabriele & C.) e il cadavere (i documenti trafugati) manca ancora un movente forte e credibile. Finora è stato indicato in una sorta di degenerazione psicologica, in disturbi emozionali, e nel desiderio vago di aiutare il Papa con uno «choc» mediatico a far pulizia di certi comportamenti discutibili.
C’è da chiedersi però come sia possibile che una persona affetta «da un’ideazione paranoide con sfondo di persecutorietà», «un’identità incompleta e instabile», un uomo «soggetto a manipolazioni», e incapace di capire i suoi limiti «fino a sviluppare sentimenti di grandiosità e disorganizzazione ideativa» (così lo descrive la perizia psicologica) possa diventare la persona più vicina fisicamente al Papa.
E, inoltre, oggetto di fiducia molto grande. Tanto da ricevere l’incarico di rispondere a lettere dirette al Papa, e di avere fra le mani un appunto di padre Lombardi (probabilmente quello relativo al caso di Emanuela Orlandi). Per non parlare dell’assegno di centomila euro donato al Papa, scomparso e poi ritrovato casualmente fra le sue carte, o della pepita d’oro donata da un sudamericano. 
Sono sparizioni inconcepibili, e sollevano pesanti interrogativi sull’efficacia dei più diretti collaboratori del Papa. 
È sicuro che le persone in Vaticano che da tempo si sforzano di gettare cattiva luce sul Segretario di Stato e sul segretario privato di Benedetto XVI, monsignor Gaenswein, si staranno fregando le mani.
Sono gli stessi che, tramite l’esperto informatico rinviato a giudizio con il maggiordomo mandavano e ricevevano lettere a Gabriele, e forse contribuivano ad alimentare in lui la «degenerazione»? La loro identità è, per ora, celata sotto lettere dell’alfabeto: W, Y, X. Quando in autunno si celebrerà il processo i loro nomi appariranno in chiaro; e forse l’inchiesta si sarà rimessa in moto, su altre strade, e forse sarà reso pubblico il rapporto dei cardinali. Si saprà allora chi, nella Curia, ha giocato a far credere a Gabriele di esser qualche cosa che non era, e l’ha usato per sue piccole, o grandi, manovre.
Gabriele aveva consuetudine con alcuni giornalisti; prima di arruolarsi sulla nave di Nuzzi, in un viaggio votato al disastro (per lui). Nessuno si è mai accorto di nulla, o ha sospettato nulla? Certo, in un Appartamento in cui possono scomparire assegni da centomila euro e pepite d’oro non si può pretendere un’occhiuta sorveglianza.
Ma si potrebbe anche ipotizzare che Paolo Gabriele fosse un punto di riferimento non ufficiale, «alternativo» alla Sala Stampa vaticana, utile per far uscire documenti e informazioni dedicate a professionisti giudicati «vicini» alla Chiesa. E forse è possibile che su questa sua attività si chiudesse un occhio, e anche un occhio e mezzo. Fino al momento in cui il delirio di onnipotenza – o qualcos’altro - non ha prevalso nella testa del maggiordomo, e la situazione è degenerata in maniera drammatica. Il che non vuole dire che i corvi che Gabriele ha «tollerato» nella sua attività di informatore pro-Chiesa abbiano una responsabilità – fino a prova contraria – nella deriva folle che ha portato allo scandalo e alle inchieste.

© Copyright La Stampa, 15 agosto 2012  consultabile online anche qui.

Interessante...molto interessante. Teniamo ben presente questo articolo.
R.

3 commenti:

raffaele ibba ha detto...

assai ragionevole ... continua ad essere in gioco molto più che la fedeltà di un cameriere "evidentemente" inaffidabile (e non era il papa che doveva accorgersi della inaffidabilità di Gabriele, e neppure Georg Ganswein ...) ciao r

mariateresa ha detto...

è interessante Raffaella ma anche qui c'è un detto e un non detto.
Soprattutto un non detto.
Sembra che abbiano indetto un concorso a premi e i lettori debbano indovinare un quiz.Questa cosa, che è ormai evidentissima, mi smuove il sistema nervoso.

Anonimo ha detto...

Nessun dorma...ma in Vaticano ? Sono sconvolto, ora vengo a sapere che Gabriele rispondeva a nome del Papa...
A doversene andare per una omessa vigilanza,una responsabilità oggettiva che ha favorito il crimine e messo a repentaglio la vita stessa del Papa penso dovrebbero essere in tanti...anche persone a lui vicine!