NEIL ARMSTRONG
La porta del cielo
La morte di un astronauta riporta alle immagini della luna nel tempo
Marco Testi
Altri fiumi, altri luoghi, altre campagne/Sono là su, che non son qui tra noi;/altri piani, altre valli, altre montagne,/ch’an le cittadi, hanno i castelli suoi,/con case de le quali ai le più magne/non vide il paladin prima né poi:/e vi son ample e solitarie selve,/ove le ninfe ognor cacciano belve.
Solo gli immortali versi dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (tratti dal canto XXXIV) dedicati alla descrizione della luna così come essa veniva vista nel primo quarto del XVI secolo, potevano essere usati come estremo saluto ad un altro Astolfo che con altri ippogrifi e altri carri d’Elia è giunto sul nostro satellite. Neil Armstrong, il primo a lasciare l’impronta umana sulla polvere lunare, se ne è andato a 82 anni, in seguito ad improvvise complicazioni dopo una operazione al cuore. Nei ricordi dei colleghi e degli allievi dell’università di Cincinnati, dove Armstrong insegnava, emergono altri punti di contatto con il precursore. Come il personaggio ariostesco, Armstrong non cerca la gloria, compie il proprio dovere, subisce trasformazioni (da uomo a mito), ubbidisce agli ordini provvidenziali, perché in tutte e due le civiltà, quella rinascimentale e quella post-atomica, quel viaggio voleva significare il contatto fisico con l’archetipo divino per eccellenza: i cieli, di cui la luna era la soglia, la colonna d’Ercole posta nello spazio siderale.
Astolfo è l’unico che riesce a domare l’ippogrifo, e si guardi bene alle affinità: l’ippogrifo è l’animale mitico che permette la comunicazione con il mondo altro, il paradiso terrestre perduto, una sorta di base per poter finalmente raggiungere, attraverso il carro di Elia, le soglie lunari. Dopo la gloria, Armstrong, ingegnere e civile, che precede i militari nel mettere piede (il sinistro, per la precisione) sul satellite, cercò l’anonimato, (si fa per dire, perché, a parte il mito, un cratere lunare, un asteroide e un aereo portano il suo nome) nell’insegnamento universitario, il che racchiude simbolicamente un altro messaggio: non voler occupare il centro mediatico, lascia la strada ad altri dopo avergliela indicata. E’ un insegnamento oggi “scandaloso”, perché rappresenta l’elogio dell’ombra: Astolfo, e tutti i veri eroi, non cercano, come i santi, la fama e la gloria, perché sanno che è la creazione che si serve di loro per rivelare la propria bellezza.
Molti risponderanno che il comandante Armstrong ci ha giocato un brutto scherzo, perché ha mostrato la solitudine e il deserto di un mito sul quale gli uomini hanno proiettato per millenni i loro desideri.
Aveva iniziato Luciano di Samosata nel secondo secolo dopo Cristo, con il suo viaggio sulla luna narrato nella “Storia vera”: il satellite è raggiunto grazie ad una tempesta. La luna per l’ironico Luciano è abitata da soli maschi, strani personaggi dalle ancora più strane abitudini che sono impegnati in una guerra contro gli abitanti del sole.
Per i nostri antenati, la luna è infatti puntualmente abitata, come nel caso di “L’altro mondo o gli stati e gli imperi della luna”, uscito nel 1657, dell’avventuriero Savinien de Cyrano de Bergerac (reso famoso dall’opera di Edmond Rostand) che arriva sulla luna con una specie di razzo, per scoprire, anche in questo caso, un mondo paradossale e un tantino esagerato, dove con un colpo di fucile si raccoglie una messe abbondante di selvaggina già bell’è cucinata, e in cui i nasi degli abitanti (allusione autobiografica) sono talmente lunghi da fungere da meridiana.
Solo gli avventurieri potevano permettersi nel passato un tale viaggio: “Le avventure del barone di Mϋnchhausen”, pubblicate nel 1785 in forma anonima dall’erudito tedesco Rudolph Eric Raspe, si rifaceva ad un personaggio realmente esistito e allora ancora in vita. Il barone riesce a recarsi sul suolo lunare per ben due volte, arrampicandosi su una pianta e su una mongolfiera, per trovarvi pulci gigantesche e abitanti alti undici metri.
Bisognerà attendere l’Ottocento per non trovare più lunari e notare una visione meno fantasmagorica del nostro satellite. Per un attimo i protagonisti di “Intorno alla luna” (1870) di Julius Verne riescono a vedere, dal loro “proiettile” sparato da un gigantesco cannone il terreno lunare, che sembra loro ricco di acqua e di foreste, anche se rimane a tutti il dubbio di una illusione ottica (o dei desideri ancestrali dell’umanità?).
Armstrong però non ci ha fatto nessun torto, perchè il fascino della luna non appartiene alla sfera della scienza, ma a quella dell’anima e delle sue innumerevoli proiezioni. La luna continua ad essere la porta del cielo, il primo passo dell’enigma e del desiderio di infinito nascosto nel cuore degli uomini.
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5 commenti:
L' "Orlando Furioso", come le altre opere citate, appartengono al cosiddetto Rinascimento ed epoche successive, durante le quali il ritorno al paganesimo antico introdusse l'uomo in assurdi tunnel di irrazionalità.
Nessun medioevale, intriso di vera civiltà cristiana, sognò di viaggiare fino alla Luna per conseguire "il contatto fisico con l'archetipo divino"
Non è una cattiveria, ma una domanda: ma sarà vero che sulla luna ci siamo andati?
I dubbi non mancano, così come non mancavano le ragioni per arrivarci e vantarsene...
Non ho capito. È vietato criticare Andrea in questo blog? E non mi dite che ho offeso qualcuno...
Provo a richiedere ad Andrea se sarebbe favorevole alla distruzione delle opere di Michelangelo e Raffaello.
Ad "Anonimo" mi permetto di suggerire di prendere in considerazione il seguente volume gratuito:
http://complottilunari.blogspot.it/2010/03/luna-si-ci-siamo-andati-faq.html
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