giovedì 23 agosto 2012

Fonti vaticane "qualificate" ma rigorosamente anonime esprimono soddisfazione per la sentenza della Corte dell'Oregon


La Santa Sede «non può essere considerata come il datore di lavoro» dei sacerdoti 

Nina Fabrizio

Città del Vaticano. La Santa Sede «non può essere considerata come il datore di lavoro» dei sacerdoti nel mondo e dunque responsabile in sede civile per gli abusi sessuali commessi dai preti. Lo ha stabilito un giudice della Corte federale dell'Oregon, dando ragione al Vaticano dove la notizia è stata subito accolta con «soddisfazione», rigettando le tesi dell'accusa. Il giudice Michael Mosman era chiamato a pronunciarsi sul cosiddetto caso «John Doe vs Holy See», reso celebre dal fatto che l'accusa, sostenuta dal «battagliero» avvocato di molte vittime di pedofilia, Jeff Anderson, ha chiamato in causa per la prima volta direttamente il Vaticano come corresponsabile degli abusi in quanto «datore di lavoro» del prete pedofilo - alla stregua di una multinazionale. Mosman ha archiviato il caso di abusi compiuti negli anni ‘60 dal reverendo Andrew Ronan, morto nel 1992. «Non ci sono fatti che creino un vero rapporto di lavoro tra Ronan e la Santa Sede», ha sentenziato il giudice spiegando che se avesse accolto il punto di vista del ricorrente, «allora i cattolici, ovunque, potrebbero essere considerati impiegati della Santa Sede». 
La notizia è rimbalzata in Vaticano sollevando una certa soddisfazione. Fonti qualificate sottolineano che in questo modo il giudice ha stabilito «un precedente importante, altrimenti si sarebbe aperta una porta molto pericolosa. Il Vaticano ovviamente sta dalla parte delle vittime - spiegano Oltretevere - il problema può sorgere con l'aggressività di certi avvocati». 
In effetti, è noto come negli ultimi anni la Chiesa cattolica americana abbia dovuto pagare ingenti cifre per i risarcimenti alle vittime, con alcune diocesi che sono persino finite in bancarotta per fare fronte ai pagamenti. Ora, il provvedimento del giudice Mosman è destinato a fare giurisprudenza mettendo un argine, almeno negli Stati Uniti, ai tentativi di rivalersi direttamente sulla Santa Sede. Oltre che di presupporre una corresponsabilità dei vertici vaticani, Papa compreso, nei crimini pedofili dei chierici.

© Copyright La Sicilia, 22 agosto 2012

Il problema non sta nell'aggressivita' di certi avvocati (che fanno il loro lavoro) ma nel silenzio costante del Vaticano su certi temi. Al limite, se e quando si parla, si pretende il rigoroso rispetto dell'anonimato.
La conseguenza e' che, a mio modesto avviso, le fonti perdono ogni credibilita' e sono tutto fuorche' qualificate. In sostanza: le affermazioni di tali soggetti non servono proprio a nulla.
R.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

No, signori, specifichiamo megio, non Papa compreso, ma Papi compresi. Passati, presenti e futuri!
L'impatto di una sentenza contraria sarebbe stato devastante nel più ampio senso del termine, altro che "aperta porta molto pericolosa", e codeste "fonti anonime qualificate" si limitano a esprimere soddisfazione con fatica, direi, magari solo perché gli è giunta voce dello stupore provocato dal gelido silenzio. Se fossi nell'avv. Lena la mia frustrazione sarebbe alle stelle.
Alessia

Andrea ha detto...

C'è anche, eccome, cara Raffaella, l'aggressività di certi avvocati.
Meglio: c'è l'aggressività degli ambienti che vedono il Papa come fumo negli occhi (negli USA e fuori), e che chiedono consiglio a certi avvocati su come incriminarLo. Ricordi che, alla viglia del viaggio pontificio in Gran Bretagna, gli "atei qualificati" Ne chiesero l'arresto?

Il fatto che lo schema del 2rapporto subordinato di lavoro" (fra preti e Papa) sia stato sconfitto è molto importante anche per la dignità della condizione sacerdotale e della Chiesa in generale

Anonimo ha detto...

Concordo con Andrea su una certa ideologia anti papista a cui altro non rimane che riversare una certa acredine dalle aule giudiziarie. Però, anche dal punto di vista giuridico, per intentare una causa quanto meno plausibile, occorre il fumus boni iuris, cioè quel minimo fondamento di diritto che permetta alla causa di stare in piedi, cosa che nella fattispecie in questione, a mio modesto avviso, era assente!
don Alessandro