E Beatrice lasciò il posto a chi fu trasfigurato
di Inos Biffi
Quando l'itinerario di Dante sta per finire e il traguardo cui mirava sta per essere raggiunto, ecco apparire la figura dell'abate cistercense, il «sene vestito con le genti glorïose» (Paradiso, XXXI, 59-60).
«La conclusione del poema sacro -- scrive Gilson -- non è altro che l'unione dell'anima con Dio, immagine della visione beatifica». Anche Beatrice allora «si ritira e lascia al suo posto quest'uomo che l'amore ha trasfigurato a immagine di Cristo, Bernardo di Clairvaux» e di cui la Chiesa celebra la memoria il 20 agosto.
«Nella Divina commedia -- è sempre Gilson a rilevarlo -- Beatrice non è né una causa assolutamente prima né un fine assolutamente ultimo.
Essa è l'inviata dell'amore divino presso Dante («Amor mi mosse, che mi fa parlare», Inferno, ii, 72): tramite la conoscenza di Dio, è l'amore di Dio, che lo deve condurre. Essa viene dall'amore e va all'amore. Ed è il motivo per cui Dante, con arte mirabile, ha sottolineato in anticipo il fatto che, dal momento in cui comincia a sentire i primi ardori dell'amore estatico, comincia anche a dimenticare Beatrice.
Ben lungi dall'offendersi per questo, Beatrice piuttosto se ne compiace, perché, simile alla fede, essa è venuta solo per potersi poi eclissare».
Avviene nel Paradiso, al canto decimo. Dante, su invito di Beatrice, si è volto a ringraziare Dio, Sole degli angeli, e allora, scrive il poeta, «sì tutto 'l mio amore in lui si mise, / che Bëatrice eclissò nell'oblio. / Non le dispiacque, ma sì ne rise, / che lo splendor de li occhi suoi ridenti / mia mente unita in più cose divise» (Paradiso, x, 59-63).
Virgilio fino al Paradiso terrestre, poi Beatrice, infine san Bernardo di Clairvaux. «È lei -- osserva sempre Gilson -- che invierà san Bernardo presso Dante («A terminar lo tuo disiro, / mosse Beatrice me del loco mio», Paradiso, XXXI, 65-66), per condurlo all'estasi finale, coronamento del suo pellegrinaggio nell'al di là, fine ultimo del poema sacro e primizia del fine ultimo dell'uomo.
Essa dunque non può condurre Dante al termine del suo viaggio. L'intento del poeta è perfettamente chiaro, e Pietro Alighieri, commentando l'opera del padre, non si è ingannato sul significato di questo passo: «L'episodio di Dante lasciato da Beatrice sta a significare che non possiamo vedere e conoscere Dio attraverso la teologia, ma attraverso la grazia e la contemplazione.
Per ciò viene impetrata dalla Vergine la grazia di vedere ciò che non è possibile percepire attraverso le scritture». Come Beatrice s'era fatta precedere da Virgilio finché la fede non era ancora necessaria, e si è sostituita a Virgilio nel momento in cui il lume naturale era divenuto insufficiente (...), essa si eclissa a sua volta davanti a san Bernardo nel momento in cui l'opera preparata dalla conoscenza deve compiersi per mezzo dell'amore».
San Tommaso d'Aquino nella Summa Theologiae scrive: «Maggiormente parteciperà del lume della gloria, chi possiede maggior carità, poiché, dove c'è carità più grande, qui maggiore è il desiderio, e il desiderio, in certo modo, rende il desiderante idoneo e preparato a ricevere il desiderato» (i, 12, 6, c). «Tutto san Bernardo -- commenta Gilson -- sta in questa affermazione»; «Nulla di più cistercense, ma anche nulla di più tomista».
Ancora una volta, Dante è proceduto non «per fredde allegorie», presentandoci «personificazioni astratte (...): Giustizia, Fede, Teologia, Filosofia», ma, «con una prodigiosa trovata artistica, un puro colpo di genio», «per simboli, cioè per personaggi rappresentativi». Nel caso di Bernardo per il personaggio che rappresentava ai suoi occhi la teologia mistica, o la «mistica unitiva».
L'abate di Clairvaux «è scelto da Dante come l'espressione più alta della teologia mistica» (Raul Manselli). E infatti è in un'esperienza mistica che il cammino di Dante si consuma.
Ora il poeta può vedere non più unicamente, come nei due precedenti regni, delle «ombre vane, fuor che ne l'aspetto» (Purgatorio, ii, 79), ma facce umane vere, accese di carità, fregiate di luce divina, accese del sorriso, che nasce e perviene dal loro intimo, facce dignitose e gentili: «Vedëa visi a carità süadi, / d'altrui lume fregiati e di suo riso, / e atti ornati di tutte onestadi» (Paradiso, XXXI, 49-51).
In particolare egli può ammirare il volto di Maria, che compare come un sorriso di bellezza («una bellezza ridente» scriveva Anna Maria Chiavacci), che si moltiplica in letizia indefinibile negli occhi degli altri santi: quel volto che è lo specchio del volto di Cristo. In nessun viso -- dirà il poeta -- si riflette il viso di Gesù come in quello di Maria, la cui chiarezza -- spiegherà Bernardo -- «sola ti può disporre a veder Cristo» (Paradiso, XXXII, 86-87).
(©L'Osservatore Romano 19 agosto 2012)
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