Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 13 ago.
Sara' pubblicata domani, 13 agosto, la sentenza del giudice istruttore Piero Bonnet sul caso dei documenti riservati sottratti dall'Appartamento Pontificio, per il quale e' ancora agli arresti domiciliari Paolo Gabriele, il maggiordomo infedele di Benedetto XVI, nella cui abitazione sono stati ritrovati.
La pubblicazione della decisione del giudice era attesa per l'inizio della scorsa settimana. "Non c'e' nessun giallo dietro lo slittamento della sentenza", ha chiarito pero' nei giorni scorsi padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, attribuendo i tempi lunghi dell'istruttoria "alla meticolosita'" dei giudici vaticani.
Domani e' di fatto l'ultimo giorno possibile per questo atto conclusivo dell'istruttoria durata due mesi e mezzo, perche' poi cominciano le vacanze anche per la Curia e il Tribunale; dunque e' una data sicura per la pubblicazione dei risultati del lavoro di indagine svolto dagli uomini della Gendarmeria Vaticana, comandati dal generale Domenico Giani, in collaborazione con il promotore di giustizia Nicola Picardi, che ha gia' depositato la sua requisitoria, ed anche con la Commissione Cardinalizia di indagine che dieci giorni fa ha consegnato il suo rapporto conclusivo al Papa in una riunione tenutasi a Castel Gandolfo e conclusa da un appello del Pontefice ai giudici vaticani: "procedere con solerzia".
Padre Lombardi ha fissato per la tarda mattina, intorno alle 12, il briefing per i giornalisti, in cui illustrera' la sentenza che decidera' il rinvio a giudizio, che sembra scontato, o il proscioglimento di Paolo Gabriele.
In ogni caso nel testo - che recipira' in parte anche la requisitoria del promotore di giustizia Nicola Picardi, gia' depositata al Tribunale Vaticano - saranno ricostruite le modalita' del furto di documenti dall'Appartamento Pontificio e dunque si chiarira' se qualcuno ha guidato o almeno aiutato il maggiordomo spergiuro in quest'impresa che nelle intenzioni, continuano a ripetere i suoi avvocati, era a sostegno dell'azione rinnovatrice del Papa.
Dopo mesi nei quali aveva dovuto assistere impotente alle ripetute fughe di documenti riservati dall'Appartamento Pontificio, il 23 maggio scorso la Gendarmeria Vaticana compi' una perquisizione decisiva nell'abitazione di Paolo Gabriele, al termine della quale si procedette al suo arresto.
La notizia resto' riservata e solo la mattina del 25 maggio venne resa pubblica, con la comunicazione che nell'ambito delle indagini sui Vatileaks era stata arrestata una persona: "un laico", precisava il comunicato della Sala Stampa che peraltro non rivelava ancora le generalita' dell'uomo fermato due giorni prima. E solo il 25 maggio, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi confermo' che "la persona arrestata mercoledì sera per possesso illecito di documenti riservati, e' il signor Paolo Gabriele, che rimane tuttora in stato di detenzione". Era la prima volta che il nome dell'ex aiutante di camera veniva ufficialmente comunicato ai giornalisti.
Il 5 giugno si e' tenuto il primo interrogatorio formale di Paolo Gabriele nell'ambito di un'Istruttoria che restera' fino alla fine coperta dal segreto. E il 21 luglio Paolo Gabriele ottenne gli arresti domiciliari nel suo appartamento all'interno della Citta' del Vaticano.
"Ha collaborato molto ampiamente, fin dai primi momenti, con gli inquirenti e con il giudice istruttore", dichiararono i suoi avvocati: Carlo Fusco e Cristiana Arru, che hanno spiegato il tradimento degli impegno assunti con giuramento da Gabriele con lo "stress" al quale era sottoposto l'uomo, padre di tre figli, assunto anni prima come semplice pulitore e poi salito al ruolo davvero importante di assistente di camera del Papa.
"Durante i 60 giorni nei quali Gabriele e' rimasto in una camera di sicurezza della Gendarmeria Vaticana - sottolinea il sito specializzato 'Il Sismografo' - e' stato interrogato a piu' riprese e a volte per molte ore. Gabriele inoltre e' stato ascoltato a lungo dai tre cardinali della Commissione creata dal Papa per far luce sulla fuga di documenti coperti dal segreto d'ufficio. L'imputato ha potuto incontrare non solo i suoi avvocati ma anche la famiglia, moglie e figli e altri parenti vicini".
Alle favorevoli condizioni della carcerazione di Gabriele non e' corrisposto un altrettanto facile iter investigativo, anzi si e' assistito a piu' tentativi di depistaggio ad opera forse dei "complici" del maggiordomo infedele. Tentativi che hanno accompagnato una vera e propria campagna stampa tesa a delegittimare sia la Curia Romana che l'inchiesta in corso.
Dopo l'arresto del maggiordomo, infatti, alcuni giornalisti accreditarono la tesi che non fosse lui il corvo o almeno che fosse solo uno dei corvi, sacrificato come capro espiatorio. E a sostegno di tale tesi fu pubblicata una sconcertante lettera di ricatto, accompagnata da un documento sbianchettato sul quale restava leggibile la sola firma di monsignor Georg Gaeswein, il segretario particolare del Papa. In sostanza si minacciava di pubblicare l'originale se non fossero stati allontanati il sacerdote tedesco e il segretario di Stato, il cardinale salesiano Tarcisio Bertone: i collaboratori, cioe', piu' stretti del Pontefice. Benedetto XVI reagi' immediatamente e con forza, riconfermando pubblicamente la sua fiducia a entrambi. E intanto dallo smartphone di Paolo Gabriele e dall'analisi dei documenti ritrovati emergeva il quadro delle responsabilita', con anche l'individuazione dell'"ambiente" nel quale e' maturato il tradimento di Gabriele.
Mentre si stringeva il cerchio, nei giorni di luglio nei quali venivano completati gli interrogatori e i riscontri, pero', prima in Germania e poi in Italia sono stati pubblicati i nomi di tre storici collaboratori del Papa - il cardinale Paolo Sardi, ex responsabile della sezione che collabora alla stesura dei discorsi, la signora Ingrid Stampa che in quella sezione lavora dopo essere stata nella segreteria del cardinale Ratzinger, e il vescovo Josef Clemens, predecessore di Gaenswein come segretario particolare dell'allora prefetto per la Dottrina della Fede - con la "notizia" che essi erano i mandanti.
"Accuse totalmente infondate", reagi' vigorosamente la Segreteria di Stato, con una durissima nota emessa direttamente dall'organismo e quindi caratterizzata dalla massima autorevolezza. Di fatto c'era stato un nuovo depistaggio, accreditato forse da dichiarazioni dello stesso Gabriele, al quale quei nomi, se davvero li ha fatti, sono stati suggeriti non prima che fossero pubblicati da Die Welt e da un quotidiano romano. L'inchiesta racconta infatti un'altra verita', quella che sara' resa nota domani, con la massima trasparenza, come desidera il Papa.
Dopo mesi nei quali aveva dovuto assistere impotente alle ripetute fughe di documenti riservati dall'Appartamento Pontificio, il 23 maggio scorso la Gendarmeria Vaticana compi' una perquisizione decisiva nell'abitazione di Paolo Gabriele, al termine della quale si procedette al suo arresto.
La notizia resto' riservata e solo la mattina del 25 maggio venne resa pubblica, con la comunicazione che nell'ambito delle indagini sui Vatileaks era stata arrestata una persona: "un laico", precisava il comunicato della Sala Stampa che peraltro non rivelava ancora le generalita' dell'uomo fermato due giorni prima. E solo il 25 maggio, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi confermo' che "la persona arrestata mercoledì sera per possesso illecito di documenti riservati, e' il signor Paolo Gabriele, che rimane tuttora in stato di detenzione". Era la prima volta che il nome dell'ex aiutante di camera veniva ufficialmente comunicato ai giornalisti.
Il 5 giugno si e' tenuto il primo interrogatorio formale di Paolo Gabriele nell'ambito di un'Istruttoria che restera' fino alla fine coperta dal segreto. E il 21 luglio Paolo Gabriele ottenne gli arresti domiciliari nel suo appartamento all'interno della Citta' del Vaticano.
"Ha collaborato molto ampiamente, fin dai primi momenti, con gli inquirenti e con il giudice istruttore", dichiararono i suoi avvocati: Carlo Fusco e Cristiana Arru, che hanno spiegato il tradimento degli impegno assunti con giuramento da Gabriele con lo "stress" al quale era sottoposto l'uomo, padre di tre figli, assunto anni prima come semplice pulitore e poi salito al ruolo davvero importante di assistente di camera del Papa.
"Durante i 60 giorni nei quali Gabriele e' rimasto in una camera di sicurezza della Gendarmeria Vaticana - sottolinea il sito specializzato 'Il Sismografo' - e' stato interrogato a piu' riprese e a volte per molte ore. Gabriele inoltre e' stato ascoltato a lungo dai tre cardinali della Commissione creata dal Papa per far luce sulla fuga di documenti coperti dal segreto d'ufficio. L'imputato ha potuto incontrare non solo i suoi avvocati ma anche la famiglia, moglie e figli e altri parenti vicini".
Alle favorevoli condizioni della carcerazione di Gabriele non e' corrisposto un altrettanto facile iter investigativo, anzi si e' assistito a piu' tentativi di depistaggio ad opera forse dei "complici" del maggiordomo infedele. Tentativi che hanno accompagnato una vera e propria campagna stampa tesa a delegittimare sia la Curia Romana che l'inchiesta in corso.
Dopo l'arresto del maggiordomo, infatti, alcuni giornalisti accreditarono la tesi che non fosse lui il corvo o almeno che fosse solo uno dei corvi, sacrificato come capro espiatorio. E a sostegno di tale tesi fu pubblicata una sconcertante lettera di ricatto, accompagnata da un documento sbianchettato sul quale restava leggibile la sola firma di monsignor Georg Gaeswein, il segretario particolare del Papa. In sostanza si minacciava di pubblicare l'originale se non fossero stati allontanati il sacerdote tedesco e il segretario di Stato, il cardinale salesiano Tarcisio Bertone: i collaboratori, cioe', piu' stretti del Pontefice. Benedetto XVI reagi' immediatamente e con forza, riconfermando pubblicamente la sua fiducia a entrambi. E intanto dallo smartphone di Paolo Gabriele e dall'analisi dei documenti ritrovati emergeva il quadro delle responsabilita', con anche l'individuazione dell'"ambiente" nel quale e' maturato il tradimento di Gabriele.
Mentre si stringeva il cerchio, nei giorni di luglio nei quali venivano completati gli interrogatori e i riscontri, pero', prima in Germania e poi in Italia sono stati pubblicati i nomi di tre storici collaboratori del Papa - il cardinale Paolo Sardi, ex responsabile della sezione che collabora alla stesura dei discorsi, la signora Ingrid Stampa che in quella sezione lavora dopo essere stata nella segreteria del cardinale Ratzinger, e il vescovo Josef Clemens, predecessore di Gaenswein come segretario particolare dell'allora prefetto per la Dottrina della Fede - con la "notizia" che essi erano i mandanti.
"Accuse totalmente infondate", reagi' vigorosamente la Segreteria di Stato, con una durissima nota emessa direttamente dall'organismo e quindi caratterizzata dalla massima autorevolezza. Di fatto c'era stato un nuovo depistaggio, accreditato forse da dichiarazioni dello stesso Gabriele, al quale quei nomi, se davvero li ha fatti, sono stati suggeriti non prima che fossero pubblicati da Die Welt e da un quotidiano romano. L'inchiesta racconta infatti un'altra verita', quella che sara' resa nota domani, con la massima trasparenza, come desidera il Papa.
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